Era il 1963 quando Bob Dylan cantava “radunatevi gente, ovunque voi siate, ed accettate che l’acqua intorno a voi e’ salita” perche’ “i tempi stanno cambiando” e “sara’ una pioggia dura quella che cadra’ ”.
Ora, quasi cinquant’anni dopo, forse quell’acqua e’ arrivata al punto in cui anche i piu’ recalcitranti a riconoscere l’evidenza saranno costretti ad aprire gli occhi, ed e’ significativo che qualcuno, autoelettosi ad avanguardia avanzata di questa evidenza, si presenti come il “blocco nero”; sintomo inquietante del buio che sta al posto della capacita’ di immaginare alternative reali.
Il 15 ottobre non sono andato alla manifestazione: mentre si svolgevano i fatti di Roma stavo partendo per Bangkok, per accompagnare un gruppo di turisti in Laos, lavoro che svolgo occasionalmente per un operatore di Turismo Responsabile. Nel Laos (da dove ora scrivo) e soprattutto in Thailandia, durante le ultime settimane ci sono state piogge torrenziali, ben oltre l’ordinario, con conseguenti frane, alluvioni, allagamenti, per un totale di circa 400 morti (contando anche quelli in Cambogia e Vietnam). Sara’ forse troppo semplicistico attribuire questi disastri – come tanti altri che si susseguono – al cambiamento climatico provocato dall’uomo? Vorremo aspettare che squilibri diventati ormai irreversibili ce ne diano le prove scientifiche insieme a milioni di morti e di profughi?
Fatto sta che qui la gente dice che questa non e’ una cosa normale. Come non lo e’, ad esempio la siccita’ ad ottobre che ho lasciato a casa, il caldo esagerato ad agosto ed il freddo che c’e’ stato fino a giugno quest’anno da noi. La gente di Bangkok ha cercato di proteggere l’entrata di case e negozi ammucchiando sacchetti di sabbia, ma ormai l’allagamento ha coperto parte della citta’ e tutti seguono con apprensione il bollettino meteo per prepararsi a cio’ che avverra’ nei prossimi giorni. Ognuno si chiede se tocchera’ pure a casa sua.
Nei giorni scorsi io, invece, su internet cercavo notizie su qualcosa che era gia’ avvenuto, un altro tipo di “alluvione” che ha invaso il cuore di Roma pochi giorni fa. Ma qui e’ meno facile capire la sostanza che ha allagato la capitale, una cosa che sarebbe utile per immaginare previsioni del tempo che seguira’. Le acque che stanno salendo da noi sono quelle della crisi, dei crolli finanziari e dei bilanci statali, dell’insostenibilita’ conclamata del modello economico imperante e della pressione e del senso di impotenza a cui sono soggette le persone comuni. Mi sembra il 15 ottobre a Roma si sia trattato essenzialmente di un’ondata di rabbia ormai inarginabile di fronte alla sfacciataggine con cui vengono privatizzate (legalmente e non) le risorse pubbliche, al divaricarsi delle condizioni di vita tra i ceti sociali, ad una democrazia sempre piu’ di facciata gestita sopra la testa della gente, allo strapotere impunibile di banche e finanzieri. Una rabbia ormai incontenibile perfino in un paese altrimenti cosi’ anestetizzato, ipnotizzato da chiacchiericci detti talk show e da false mitologie rappresentate nelle pubblicita’.
Una rabbia quantomai giustificata e comprensibile, ma finora – e purtroppo – temo, poco piu’ che rabbia. Di proposte effettivamente alternative e credibili se ne sentono poche e quelle poche trovano un seguito ancora molto debole, mentre e’ a queste che bisognerebbe pensare invece che farsi agganciare dalle trappole mediatiche. Purtroppo in questa pseudo-cultura in cui regna la colonizzazione dell’immaginario (Latouche) il tema del giorno ce lo danno media ed opinion makers prezzolati – e tutti li’ ad accodarsi come in un riflesso condizionato. Cosi’, dopo il corteo del 15, il centro dei problemi italiani sembra siano diventati quelle poche centinaia di “violenti” etichettati “black bloc”: l’immancabile “emergenza” di turno rispetto alla quale tutti sentono di dover esprimersi e misurare la propria distanza.
Le acque mentre salgono diventano anche piu’ torbide (ci va in mezzo di tutto) e bisogna fare chiarezza; non lasciarsi trarre in inganno. I cosidetti blackbloc saranno forse degli infiltrati strumentali ed eterodiretti o dei teppisti fascistoidi o degli ingenui sprovveduti con la sensazione di aver nulla da perdere, tante frustrazioni ed ancor piu’ voglia di menare le mani, ci sara’ semplicemente gente incazzata che non ha piu’ voglia di farsi prendere in giro ne’ di prenderle soltanto e zitti….o piu’ probabilmente ci saranno tutte queste cose insieme. Ma non credo sia questo il problema per chi vuol radicalmente cambiare le cose in questo mondo ed impegnarsi per costruirne uno altro e possibile, pulito e sostenibile. Chi si riconosce in questa prospettiva non solo non dovrebbe farsi illusioni sulla praticabilita’ di una lotta violenta in questa fase storica, ma dovrebbe pure essere consapevole del carattere insufficiente, primitivo, velleitario e, in ultima analisi, superfluo che essa avrebbe di fronte alla portata e alla profondita’ dei cambiamenti che oggi ci si presentano come necessari e non piu’ rimandabili.
Questo significa certamente esprimere una estraneita’ netta rispetto a chiunque usi strumentalmente i cortei di massa, di ispirazione non violenta, per compiere atti che non avrebbe il coraggio o la capacita’ di realizzare da solo, cosi’ come non sarebbe neanche lontanamente in grado di raccogliere un numero di persone significativo in una piazza, ne’ di esprimere qualcosa che assomigli ad un progetto politico. Questa estraneita’ non equivoca dovrebbe esprimersi con l’allontanamento fisico (dicasi “a calci in culo”, se necessario) da parte degli stessi organizzatori, ancor prima che della Polizia, di chiunque si presenti ad un corteo con chiare intenzioni bellicose. E’ bene distinguere nettamente le due pratiche politiche e di lotta e che chi vuol seguirne una violenta si organizzi cortei o altre iniziative per proprio conto.
Su questo non ci dovrebbero essere indecisioni o malintesi concetti di pluralismo e “liberta’”. Sono scelte che vanno prese a monte: se si vuol praticare una lotta violenta occorre dotarsi di una organizzazione/gerarchia/tattiche di tipo militare, altrimenti si va solo a prendere un sacco di botte. Le BR ci hanno provato e sappiamo come e’ andata a finire, con le conseguenze legali (per loro) e politiche (per tutti) che hanno condizionato la storia italiana per tutti gli anni a seguire (per non pensare a cosa sarebbero state capaci di fare le BR semmai fossero riuscite in quel modo a prendere il potere – ed oggi siamo di fronte a questioni ben piu’ ampie e complesse di allora).
Detto questo, pero’, e restando all’esempio dell’epoca degli anni ‘ 70, non era affatto fuori luogo allora lo slogan “ne’ con lo Stato, ne’ con le BR”, cosi’ come, dopo l’11 settembre 2001 “ne’ con gli USA, ne’ con Bin Laden”, sarebbe stata una risposta appropriata al “siamo tutti americani” che andava per la maggiore nella propaganda di quei giorni.
Voglio dire: una volta che nelle parole e nei fatti abbiamo dichiarato la nostra estraneita’ rispetto alle pratiche di lotta violente, dobbiamo noi, proprio noi che vorremmo veder crollare il sistema delle speculazioni finanziarie e dello strapotere delle banche, pronunciare mezza parola contro chi le volesse colpire con qualsiasi mezzo al di fuori delle nostre iniziative?
Dovremmo essere noi, che consideriamo gli eserciti come il braccio armato degli interessi della super-casta globale, ad esprimere una parola di condanna se qualcuno con eventuali azioni sue proprie dovesse bruciare un archivio del ministero della Difesa? Dovremmo forse essere noi a sentirci in qualsiasi modo solidali con coloro che hanno costruito giorno per giorno per puro profitto personale i drammi umani e i disastri ecologici che pesano e peseranno su tutti noi, i nostri figli e nipoti?
Certo che no!! alla solidarieta’ verso queste persone e centri di potere e di interesse siamo e saremo estranei almeno quanto ripetto ai gruppetti di backbloc – e senza mancare di vedere l’enorme sproporzione tra i danni minimi causati da questi ultimi e quelli di ben altra portata dei primi.
Bisogna aver chiaro cos’e’ una linea di lotta non violenta e non antagonista, ma al tempo stesso radicalmente alternativa: cosi’ com’era nella concezione di Gandhi si trattava di una cosa dalle conseguenze altrettanto dure di una guerra; neanche un colpo veniva inferto al nemico, ma ogni forma di collaborazione gli era negata alla radice; veniva lasciato alle conseguenze delle sue azioni, almeno finche’ non vi avesse personalmente e fattivamente posto riparo.
Prima che le acque si facciano troppo torbide per distinguere chi e’ chi e cosa significano le parole, e’ importante aver chiaro quale e’ il problema che ci ha fatto muovere, dove sta la sua origine e dove va rivolta l’attenzione. Non e’ certo il caso di farci fregare dagli appelli alla difesa della democrazia (questa si’, quando conviene, bene comune da proteggere) utili a far passare fantasiose “novita’” giudiziarie come la “flagranza differita” di reato o la fidejussione obbligatoria per coprire gli eventuali danni causati da un corteo – cosi’, se negli USA occorre essere molto ricchi per una campagna presidenziale, ora in Italia questo sara’ indispensabile anche solo per indire una manifestazione. Ne’ dobbiamo certamente dar credito ad uno che ha lavorato una vita per Goldman Sachs, diventa presidente della BCE, rappresenta al massimo livello gli interessi di banche e finanzieri per conto dei quali si prepara a mettere le mani anche sul governo italiano (magari indirettamente tramite prestanomi “tecnici” e “di sinistra”) e ci viene a dire che “capisce” le ragioni degli ‘indignati”. Meno male che c’e’ uno che “capisce”….anche Berlusconi all’inizio rappresentava il “nuovo” in antitesi ai politici corrotti.
Una cosa che va detta chiara e netta e’ che con questa gente NON siamo sulla stessa barca e che chi ancora ci sta e’ bene faccia presto ad abbandonarla e quindi a rifiutarsi di pagare la crisi e i costosissimi quanto inutili inganni con cui vorrebbero puntellare il loro sistema ormai giunto al collasso. E’ invece di costruire reti alternative ed indipendenti di scambi e di servizi che abbiamo bisogno; di togliere strutturalmente sostegno e base ai poteri dominanti; di cominciare a far funzionare un’economia altra che dia luogo ad un mondo altro e possibile; di metterci realmente in condizione di fare a meno di questi mistificatori e dei meccanismi che li tengono al potere.
Questo comporta una strada lontana anni luce da quella di gruppetti violenti e disperati, ma significa altrettanto che non avremo bisogno di dire neppure mezza parola di condanna quando qualcuno di essi andra’ a prendere a casa chi ha delle responsabilita’ per dargli cio’ che si merita. Ai potenti di oggi, perdenti di domani (vedi Gheddafi, ultimo esempio) bisogna al piu’ presto togliere la base (che siamo noi quando ci adeguiamo e partecipiamo al loro sistema) e lasciarli al loro destino per quando la storia se li scrollera’ finalmente di dosso. Non sono i blackbloc il problema nostro, ricordiamoci chi e’ il problema, cosa e’ il problema: il problema e’ la violenza? Si’, ma quella vera, quella che pesa sul pianeta e su milioni di esseri umani. Non lasciamoci deviare dagli specchietti per le allodole.
Questo, se davvero vogliamo un mondo diverso, piu’ equo e sostenibile; se non stiamo dando solo sfogo ad una rabbia immediata, causata dalla crisi, ma pronti a farci recuperare dalla prossima coalizione partitica di turno con le sue promesse d’occasione; se veramente ora abbiamo aperto gli occhi e non siamo solo in attesa di poter tornare al piu’ presto dove eravamo appena ieri quando i disastri del mondo – causati dal nostro modello economico e stile di vita – non avevano ancora iniziato ad intaccare anche il nostro portafoglio.
Se non siamo solo in attesa che le acque si riabbassino e magari vadano semplicemente ad affogare qualcun altro da qualche altra parte.