Caro professor Monti, ci ripensi: la Torino-Lione non serve a niente e in più contribuisce a mettere in crisi l’Italia. Dopo l’appello di 150 docenti universitari al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a mobilitarsi sono ora quattro super-tecnici, decisi a chiedere al premier quello che finora è sempre mancato: spiegazioni accettabili. Presentata come infrastruttura strategica, la linea Tav a cui la valle di Susa si oppone non è soltanto devastante per il territorio, ma è soprattutto inutile per l’economia italiana e addirittura dannosa, perché farebbe crescere il debito sottraendo risorse a settori-chiave per il rilancio che il governo Monti dichiara di inseguire. Meglio perderlo, quel treno, perché non porta da nessuna parte.
Ne sono convintissimi il professor Sergio Ulgiati dell’università Partenope di Napoli, il climatologo Luca Mercalli, il trasportista Marco Ponti del Luca MercalliPolitecnico di Milano e Ivan Cicconi, esperto di infrastrutture e appalti pubblici, autore del “Libro nero dell’alta velocità” che svela i colossali sprechi nascosti nella rete Tav italiana. Un buco nero, a danno della finanza pubblica e senza vantaggi per l’economia del paese, fino al paradosso estremo della Torino-Lione, segmento contestatissimo e ormai leggendario per la sua dimostrata inutilità: «Una questione di metodo e di merito sulla quale non è più possibile soprassedere, nell’interesse del Paese», sottolineano i quattro tecnici. Un problema di attualità sempre più scottante, «nella presente difficile congiuntura economica» che il governo Monti è chiamato ad affrontare.
Il progetto, «inspiegabilmente definito “strategico”», secondo Ulgiati, Mercalli, Ponti e Cicconi è una frana totale, un disastro annunciato: infatti «non si giustifica dal punto di vista della domanda di trasporto merci e passeggeri, non presenta prospettive di convenienza economica né per il territorio attraversato né per i territori limitrofi né per il Paese, non garantisce in alcun modo il ritorno alle casse pubbliche degli ingenti capitali investiti (anche per la mancanza di un qualsivoglia piano finanziario), è passibile di generare ingenti danni ambientali diretti e indiretti, e infine è tale da generare un notevole impatto sociale sulle aree attraversate, sia per Marco Pontila prevista durata dei lavori, sia per il pesante stravolgimento della vita delle comunità locali e dei territori attraversati».
I dati parlano chiaro: nel decennio tra il 2000 e il 2009, e cioè prima ancora della crisi, il traffico complessivo di merci dei tunnel autostradali del Fréjus e del Monte Bianco è crollato del 31%. Nel 2009 è addirittura retrocesso al valore di 18 milioni di tonnellate di merci trasportate: lo standard di 22 anni prima. Nello stesso periodo si è dimezzato anche il traffico merci sull’attuale ferrovia del Fréjus, «anziché raddoppiare come ipotizzato nel 2000 nella Dichiarazione di Modane sottoscritta dai governi italiano e francese». La nuova linea ferroviaria Torino-Lione, tra l’altro, non sarebbe nemmeno ad alta velocità per passeggeri: transitando quasi interamente in galleria, i treni dovranno rallentare fino a 120 chilometri orari. Inoltre, per effetto del transito di treni passeggeri e merci, l’effettiva capacità della Torino-Lione «sarebbe praticamente identica a quella della linea storica, attualmente sottoutilizzata nonostante il suo ammodernamento terminato un anno fa e per il quale sono stati investiti da Italia e Francia circa 400 milioni di euro».
Un’opera faraonica, dunque, ma priva di vantaggi per l’Italia: l’enorme capitale pubblico investito sarebbe totalmente sprecato. Non esistono neppure piani finanziari e, cifre alla mano, il “ritorno” sarebbe più che trascurabile. Molto meglio, per rilanciare l’economia, risolvere la congestione del traffico nelle aree metropolitane e riabilitare il sistema ferroviario “storico”. «Altre forme di spesa pubblica presenterebbero moltiplicatori molto più significativi». E’ ora di ripensare le grandi opere, che costano moltissimo e presentano tempi biblici. Peggio che mai i progetti ormai obsoleti dei “corridoi europei”, «con forti significati simbolici, ma privi di supporti funzionali». Altro capitolo negativo, l’energia: tra cantieri, Sergio Ulgiativiadotti e gallerie, la Torino-Lione non ha nessuna possibilità di contribuire a ridurre l’effetto serra.
Il super-treno che la valle di Susa non vuole, insistono i quattro tecnici, servirebbe solo a sottrarre risorse vitali al benessere reale del paese. Se in passato si pensava che i grandi progetti iper-tecnologici fossero altamente remunerativi, è ora di prendere atto che così non è: «Gli investimenti per grandi opere non giustificate da una effettiva domanda, lungi dal creare occupazione e crescita, sottraggono capitali e risorse all’innovazione tecnologica, alla competitività delle piccole e medie imprese che sostengono il tessuto economico nazionale, alla creazione di nuove opportunità lavorative e alla diminuzione del carico fiscale».
La Torino-Lione, che costerebbe 20 miliardi di euro (con prevedibile lievitazione fino a 30 miliardi e oltre, vista la storia della nostra rete Tav), penalizzerebbe l’economia italiana aggravando il debito per un ammontare pari a quello della manovra del governo Monti. «E’ legittimo domandarsi come e a quali condizioni potranno essere reperite le ingenti risorse necessarie a questa faraonica opera, e quale sarà il ruolo del capitale pubblico», osservano i firmatari dell’appello, ripreso dal sito No-Tav, segnalando il rischio che si generino «sacche di debito nascosto, la cui copertura viene attribuita a capitale privato, di fatto garantito Ivan Cicconidall’intervento pubblico».
Inoltre, la sostenibilità dell’economia e della vita sociale non si limita al solo territorio, ma «coinvolge anche le conquiste economiche e le istituzioni sociali, l’espressione democratica della volontà dei cittadini e la risoluzione pacifica dei conflitti». In questo senso, scrivono Ulgiati, Mercalli, Ponti e Cicconi, «l’applicazione di misure di sorveglianza di tipo militare dei cantieri della nuova linea ferroviaria Torino-Lione ci sembra un’anomalia», che i quattro chiedono «vivamente di rimuovere al più presto, anche per dimostrare all’Unione Europea la capacità dell’Italia di instaurare un vero dialogo con i cittadini, basato su valutazioni trasparenti e documentabili, così come previsto dalla Convezione di Århus2».
Per queste ragioni, i tecnici chiedono al premier di «rimettere in discussione in modo trasparente ed oggettivo le necessità dell’opera». Un eventuale ripensamento, spiegano, «consentirebbe al Paese di uscire con dignità da un progetto inutile, costoso e non privo di importanti conseguenze ambientali», dal momento che la Torino-Lione «potrebbe essere completata solo assorbendo ingenti risorse da altri settori prioritari per la vita del Paese». Finora, ad ogni livello, le istituzioni hanno sempre evitato di dare spiegazioni, evitando semplicemente di rispondere alle tante documentate domande. Proprio questa mancanza di trasparenza ha fatto crescere l’esasperazione. Ora tocca a Mario Monti: risponderà?
Fonte: Libre