Nei trasporti ci sono tante cose utili da fare. Oggi, però, le scelte in questo campo devono guardare anche ai contenuti occupazionali e al contenimento del deficit. Per le ferrovie, servirebbero piccoli interventi, rapidamente cantierabili, che mirino a risolvere i problemi locali. Invece, si continuano a preferire opere ad alta intensità di capitale, con periodi di completamento molto lunghi e incerti. E allora è urgente una spending review del settore, che segni discontinuità con il passato.
È certo presto per valutare la politica infrastrutturale del governo Monti. Dunque è presto anche per giudicare di quanto si discosta dall’approccio del governo passato, caratterizzato da elenchi di “grandi opere” mediaticamente visibili, ma in generale scarsamente meditate e soprattutto mai seriamente valutate.
NON È UNA SPESA ANTICICLICA
I primi segnali di politica infrastrutturale sembrano per ora confermare il passato, il che nel brevissimo periodo è probabilmente inevitabile. Ma in genere le “grandi opere” sono state caratterizzate da costi stratosferici per l’erario, di cui nessuno in questi anni ha dato conto, con poche scelte funzionalmente felici (la linea alta velocità Milano-Roma), altre di dubbia utilità (la linea alta velocità Roma-Napoli) e altre ancora catastrofiche (la linea Milano-Torino sopra tutte).
Ma erano comunque altri tempi. Ora, gli aspetti finanziari e quelli anticiclici incombono. E le grandi opere finanziate dall’ultimo Cipe sembrano davvero molto discutibili da entrambi questi punti di vista. Si tratta principalmente di nuove tratte ferroviarie di alta velocità (la Milano-Genova e la Napoli-Bari), molto costose e con ritorni finanziari probabilmente nulli. (1)
Anche gli aspetti anticiclici lasciano perplessi: si tratta di opere ad alta intensità di capitale, con periodi di completamento molto lunghi e incerti. Esattamente il contrario di quello che serve oggi per la crescita a breve dell’occupazione e della domanda interna.
Cosa si potrebbe fare per accentuare il carattere anticiclico della spesa? Ovviamente, opere rapidamente cantierabili, piccole e che mirano a risolvere i problemi locali. Tra l’altro, la letteratura internazionale mostra che anche dal punto di vista funzionale le manutenzioni e le piccole opere “mirate” tendono ad avere redditività economica più elevata, contenuti anticiclici a parte. (2)
GRANDI OPERE E AMBIENTE
Anche la decisione di investire in opere che gli utenti non sono disposti a pagare, come quelle ferroviarie per le relazioni di lunga distanza, dovrebbe far riflettere sulla loro priorità. Vengono spesso addotte motivazioni ambientali per giustificare tali scelte, nell’assenza di altre argomentazioni. Ma studi recenti hanno evidenziato che le emissioni di gas serra nella fase di costruzione di grandi opere ferroviarie ne vanificano gran parte dei possibili benefici ambientali netti. Diverso sarebbe il risultato spendendo le stesse risorse per il potenziamento tecnologico delle infrastrutture esistenti, stradali e ferroviarie. Rimanendo per esempio in campo ferroviario, le cose più utili (lo ha dichiarato più volte lo stesso amministratore delegato di Ferrovie) sono le opere che riguardano la capacità dei grandi nodi (Torino, Milano, Genova, Roma e Napoli), assai più critica anche per i servizi locali che non le tratte esterne, spesso sottoutilizzate. Tra l’altro, spesso si dimentica che anche l’ad ha sollevato in pubblico forti perplessità sulla logica di alcune “grandi opere” ferroviarie oggi sul tavolo.
Alla luce della nuova situazione finanziaria, appare davvero urgentissima una spending review che segnali una forte discontinuità con le logiche dal governo precedente.
SE MANCA LA VALUTAZIONE
Le considerazioni finali del governatore Mario Draghi a maggio 2011 e una corposa ricerca della Banca d’Italia dell’aprile 2011 hanno messo in luce come la totale assenza di una prassi di valutazione economica, trasparente, comparativa e “terza”, sia uno dei fattori della scarsa funzionalità della politica infrastrutturale dell’Italia. D’altronde, le politiche anticicliche richiedono necessariamente tempi brevi di attuazione, mentre le “grandi opere” hanno tempi molto lunghi di avvio, di realizzazione e di messa in servizio. E l’apertura immediata e “incauta” di molti cantieri per opere su cui sussistono dubbi funzionali, e anche incertezze sui fondi per portarle a termine, può dar luogo a notevoli sprechi di risorse scarse.
Il caso del tormentato (e assai dubbio) progetto della linea Torino-Lione è emblematico: in seguito a una serie di perplessità sulla sensatezza di questa spesa, espresse anche su lavoce.info, il progetto è stato trasformato radicalmente e ora si parla di una realizzazione “per fasi”, in funzione della crescita reale della domanda. Non sarebbe forse una logica da estendere a tutte le “grandi opere”? Non è una “buona pratica” da generalizzare con un approccio molto più attento agli aspetti funzionali e finanziari degli interventi, invece che a quelli mediatici?
Le cose utili da fare nei trasporti sono moltissime, ma oggi devono essere direttamente connesse anche ai contenuti occupazionali e al contenimento del deficit, altrimenti ci troveremo presto, anzi ad alta velocità, in Grecia.
(1) Diciamo costi finanziari “probabilmente” nulli perché non è dato conoscere i piani finanziari delle opere, cioè il rapporto costi-ricavi. Di analisi costi-benefici nemmeno parliamo, per carità di patria.
(2) Vedi l’inglese “Piano Addington” e gli studi della Banca Mondiale.
Fonte: Lavoce.info