Dopo quella per l’acqua vinta esattamente un anno fa con i referendum, “è giunto il momento di far partire quella per il suolo”. E’ questo l’invito lanciato da Carlo Petrini a “la Repubblica delle idee”. Intervistato da Maurizio Ricci nel grande Salone dei Podestà pieno in ogni ordine di posti, il fondatore di Slow Food conferma le sue doti di visionario affabulatore, mettendo le nostre abitudini alimentari al centro dell’agire politico.
“Dobbiamo trasformarci da consumatori in co-produttori perché il nostro modo di mangiare è il primo atto agricolo ed è in grado di cambiare un modello di produzione che ci sta portando sull’orlo del baratro. Dobbiamo scegliere i gruppi di acquisto solidale, i mercati dei produttori locali e soprattutto essere coscienti e informati per sostenere una nuova forma di resistenza”, sotiene Petrini. “I nostri nonni stenterebbero a crederlo, siamo una società che spende più per dimagrire che per mangiare”, dice con uno dei tanti paradossi che strappano l’applauso alla sala.
“Non ho nostalgia per il mondo antico, ma dobbiamo far tornare i giovani alla terra e al mestiere di contadino – spiega Petrini – perché c’è più saggezza e conoscenza in un contadino che in un banchiere”. “Sono loro che difendono il suolo dai dissesti idrogeologici, che razionalizzano l’uso delle risorse idriche, che conservano la memoria”. Però, avverte, è necessario mettere in campo gli strumenti economici e culturali necessari a far tornare ai giovani la voglia e l’orgoglio di coltivare la terra: “Finché sono costretti a vendere un litro di latte a 30 centesimi al litro e un quintale di grano a 14 euro questo non sarà possibile”.
Riformare il modo di provvedere al nutrimento di un Pianeta in continua crescita demografica, ne è convinto il fondatore di Slow Food, è il primo tassello per uno sviluppo sostenibile. Ma il cambio di paradigma non arriverà da improbabili accordi internazionali siglati all’imminente conferenza di Rio+20. “Il summit non porterà a nulla – profetizza – perché si potrà solo prendere atto che questa governance è fallita. Ma Rio sarà una tappa nel cammino di quelle che Edgar Morin chiama ‘le comunità di destino’. Ce ne sono migliaia in tutto il mondo e rappresentano una realtà vera e crescente, fatta di gente che sente il peso della responsabilità, anche se non ha rappresentanza perché la politica dorme e non se n’è accorta, mentre è lì che dovrebbe stare, soprattutto la mia amata sinistra”. “Eppure – conclude Petrini – la Primavera sta arrivando”.
di Valerio Gualerzi
Fonte: Repubblica