Caorso, la bonifica della centrale. “Il reattore richiederà tempo e soldi”

da | 18 Giu 2012

Quasi diecimila tonnellate di componenti metallici: il peso della tour Eiffel. A tanto ammonta il materiale smantellato e decontaminato dell’edificio turbina nella centrale nucleare di Caorso, in provincia di Piacenza. “Si tratta del più grande intervento di bonifica di materiale contaminato realizzato in Italia”, sottolinea la Sogin, Società gestione impianti nucleari. Ora tocca all’edificio reattore, quello più problematico a livello di rischi e di costi. Ma anche di collocazione del materiale di risulta. “Per terminare la bonifica dei siti nucleari – spiega Giuseppe Nucci, ad della società statale – sono previste attività per 5 miliardi di euro e circa 2,5 miliardi per la realizzazione del Parco Tecnologico, comprensivo del Deposito Nazionale per i rifiuti radioattivi”.

La costruzione del Deposito, infatti, non è neppure iniziata, nonostante la legge (368/03) la ritenga da anni “indifferibile ed urgente” e da completare “entro e non oltre il 31 dicembre 2008”. L’uscita dal nucleare in Italia ha compiuto un importante passo avanti. Nella centrale di Caorso, dopo la rimozione delle turbine e del turboalternatore, anche l’edificio turbina è stato smantellato: 6.500 tonnellate di materiale metallico, il 62% di tutto quello presente nell’impianto. Decontaminato con “specifici trattamenti di sabbiatura e idrolavaggio”, ha visto compiere su di esso ben 77mila misure radiologiche. Un lavoro svolto “nella massima sicurezza e nel rispetto delle procedure radio-protezionistiche”, afferma la Sogin, condotto sotto la supervisione dell’Ispra e dell’Arpa Emilia Romagna. I componenti sono stati separati tra contaminati e non contaminati, contrassegnati e quindi tracciabili, portando ad un incoraggiante 98% il metallo decontaminato che potrà finire in fonderia. Ma non è tutto oro quello che luccica.

“La turbina e il suo edificio sono componenti relativamente esterni rispetto al reattore nucleare vero e proprio”, puntualizza Gian Piero Godio, responsabile del settore energia di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta: “Pertanto il loro smantellamento, giusto e necessario, rappresenta ben poca cosa rispetto a quello della parte veramente ‘nucleare’ della centrale, che è ancora tutta lì”. C’è poi l’eterno problema dei depositi, ricorda Godio: “La strategia della Sogin, in ogni suo centro, è quella di trasformare i siti in depositi di se stessi, nonostante la totale inidoneità di queste aree”. Ovvero quasi ogni suo centro. Caorso, a differenza degli altri siti nucleari italiani, ha infatti ottenuto, grazie alle prescrizioni imposte dalla Regione, che non si possano realizzare sul posto nuovi depositi nucleari, e che i materiali radioattivi derivanti dalla disattivazione possano essere collocati solamente nei depositi già esistenti sul sito. In altre parole, precisa Godio, “quello che non si riesce a fare stare lì dovrà essere portato altrove”.

E i miliardi di euro che i contribuenti italiani dovranno sborsare ancora da qui al 2025? Un problema anche per Caorso. “È l’edificio del reattore che richiederà più tempo e soldi”, aggiunge Giordano Mancini, ex addetto al controllo della qualità di Ansaldo Nira (Nucleare Italiana Reattori Avanzati): “Se le centrali non hanno avuto guasti gravi come quello di Three Mile Island o incidenti catastrofici come Chernobyl o Fukushima, si smontano senza particolari problemi di sicurezza. Sono progettate per il decommissioning”. Ma “ci vorranno ancora molti soldi e parecchi anni, perché quando si mettono le mani sul ‘pentolone’ (il vessel del reattore) le radiazioni ci sono e il lavoro si fa lentissimo e delicato”. Inoltre, sottolinea, “il problema vero, oltre ai costi, è la collocazione delle scorie radioattive da fissione – conclude Mancini, a suo tempo impiegato anche nella costruzione della centrale di Latina – ovvero gli scarti del combustibile esaurito, ricco di plutonio, xeno e altri veleni neutronici”. Problema “vero” e da non sottovalutare, vista la quantità di rifiuti radioattivi ospedalieri, industriali e di ricerca a tutt’oggi prodotti in Italia. Che, in assenza del Deposito nazionale, resta ancora tutto da risolvere.

Fonte: ilfattoquotidiano.it