La “finanza per indignati” spiegata con parole semplici

da | 21 Giu 2012

Lavoratori, disoccupati, pensionati, artigiani; dilaga l’indignazione contro i meccanismi della finanza-casinò che colpisce tutti, ma che restano spesso misteriosi. Le tasse aumentano, i servizi non migliorano e la crisi permanente deprime i consumi e taglia i posti di lavoro.  Una realtà che produce una serie di quesiti senza risposta: come vengono spesi i nostri soldi? E, se l’andamento schizofrenico dei mercati dipende dalla speculazione, chi si arricchisce speculando alle nostre spalle? E noi, che cosa sappiamo veramente del debito pubblico o di quello spread che ha il potere di mettere in ginocchio la nostra economia? E, infine, è possibile individuare soluzioni eque, che non ricadano soltanto sulle spalle dei soliti noti? Dubbi e domande che agitano il nostro sonno e che ora trovano pieno ascolto in Finanza per indignati, il nuovo libro di Andrea Baranes che  fornisce un’analisi dettagliata e critica dell’attuale situazione, ma che propone anche qualche ipotesi per contrastare il tempo della recessione a colpi di “finanza indignata”, ovvero con le ricette anticrisi elaborate e indicate dagli economisti critici e dai movimenti di protesta di ogni parte del mondo.

E’ un’inchiesta puntuale e utilissima quella di Baranes, che spiega con parole semplici tutto quello che non abbiamo mai davvero compreso. Da come funzionano i mercati, le borse e le banche, al come si muove la speculazione e tutto ciò che ruota intorno ai nuovi strumenti finanziari, fino alla reale situazione dei conti italiani  e alla regolamentazione finanziaria europea.

Andrea Baranes ha una vasta esperienza in materia. Autore di numerosi libri sui guasti della finanza, è Presidente della Fondazione culturale Responsabilità etica ed è membro del Consiglio direttivo della rete internazionale della società civile BankTrack e, in Italia, del Comitato etico di Etica Sgr, società di gestione del risparmio del gruppo banca Etica e di Next, rete per una prossima economia. Una competenza che si traduce in capacità di parlare chiaro e che, negli ultimi capitoli di Finanza per indignati, produce numerosi spunti per comprendere gli strumenti attraverso i quali tutti noi potremmo riprenderci, consapevolmente, il nostro futuro.

La Finanza con parole semplici…
“La finanza dovrebbe essere il mercato dei soldi. Se voglio delle mele, vado al mercato, luogo di incontro tra il contadino che le vuole vendere (l’offerta) e chi desidera acquistarle (la domanda). Analogamente, le banche sono nate per raccogliere denaro e per erogare prestiti a chi ne ha bisogno. Il paragone con un mercato è ancora più calzante per le borse valori, spesso indicate proprio come “mercati finanziari”. Dovrebbero rappresentare il luogo di incontro tra chi ha dei risparmi da investire e Stati e imprese che hanno necessità di soldi per le loro attività”.

“La finanza dovrebbe quindi essere uno strumento al servizio dell’economia e dell’insieme della società. Oggi questo ruolo è stato in massima parte smarrito. E la finanza si è trasformata in un fine in sé stesso per fare soldi dai soldi nel più breve tempo possibile.

Una trasformazione accompagnata da una crescita ipertrofica delle attività finanziarie. Il giro di affari di Wall Street nel dopoguerra era pari a circa il 15% del PIL statunitense. Nel 1975 era ancora il 17%. A fine anni ’80 toccava il 35%. Dieci anni dopo il 150%. Nel 2006 superava il 350% del PIL. I soldi che circolavano sulla borsa di New York erano pari a tre volta e mezza la ricchezza prodotta negli USA”.

“Un discorso analogo riguarda il nostro Paese. Secondo i dati di Banca d’Italia, nel 2000 il valore nozionale dei derivati in Italia ammontava a 1.400 miliardi di dollari. A giugno 2009 si era passati a 10.397,3 miliardi di dollari. Un aumento di qualcosa come il 642% nel giro di nove anni. Nello stesso periodo il PIL italiano è passato dai 1.207 miliardi di euro del 2000 ai 1.520 miliardi del 2009, un aumento del 26%. In Italia i derivati sono cresciuti 25 volte più velocemente dell’economia reale”.

Come funziona la speculazione? Che fine fanno i nostri soldi?
“La speculazione consiste nel guadagnare sull’oscillazione dei prezzi di un qualsiasi titolo o bene. Compro un’azione, una valuta o un titolo di Stato, spero che il prezzo salga e lo rivendo subito dopo. E’ anche possibile operare al ribasso, guadagnando mentre i mercati calano. In ogni caso si tratta di una scommessa su un evento futuro”.

“La speculazione avviene oggi in primo luogo tramite i derivati, dei contratti finanziari che permettono di comprare e vendere qualsiasi cosa in una data futura, ma a un prezzo deciso già oggi. Nati come strumenti di copertura dei rischi, delle sorte di assicurazioni, oggi i derivati sono utilizzati in massima parte per scommettere su valute, titoli, indici o qualsivoglia altra cosa, dal prezzo del cibo o del petrolio al fallimento della Grecia o dell’Italia”.

“Gigantesche scommesse che esasperano l’incertezza e la volatilità sui mercati. Proprio quello che cercano gli speculatori, che si nutrono delle oscillazioni dei prezzi. Questo significa che da una parte gli speculatori creano instabilità, dall’altra ne approfittano per guadagnarci su. Oggi il 70% delle operazioni realizzate negli USA e oltre il 40% in Europa sono realizzate in pochi millesimi di secondo da computer, senza nessun intervento umano. Montagne di denaro alla costante ed esasperata ricerca di profitti a brevissimo termine, senza nessun legame con il mondo reale”.

“Chiariamo con un esempio. I beni e i servizi importati ed esportati nel mondo tra diverse nazioni ammontano a 20.000 miliardi di dollari all’anno. Il commercio di valute ha superato i 4.000 miliardi di dollari al giorno. Questo significa che circola più denaro in soli 5 giorni sui mercati finanziari che in un intero anno nell’economia reale, ovvero che circa il 99% delle operazioni sul mercato delle valute non è legato a beni e servizi prodotti e scambiati. Sono unicamente soldi che inseguono soldi per fare altri soldi”.

Quali soluzioni propongono gli economisti “indignati”?
“Le proposte sono diverse. In primo luogo occorre un nuovo sistema di regole e di controlli per limitare lo strapotere della finanza, per evitarne i peggiori eccessi e per sottoporla a una rigida cura dimagrante. Un altro esempio per chiarire. Il PIL del mondo è di poco superiore ai 60.000 miliardi di dollari l’anno. Una singola banca statunitense detiene strumenti derivati per un nozionale che si aggira sui 78.000 miliardi di dollari. Complessivamente quattro banche controllano un ammontare di derivati intorno ai 200.000 miliardi di dollari. “L’eccessivo” debito pubblico italiano, una delle prime dieci economie del pianeta, è circa l’1% di questa cifra. E’ semplicemente folle pensare di proseguire così”.

“Nel concreto, parliamo di diminuire la leva finanziaria, separare le banche commerciali da quelle di investimento, tassare le transazioni finanziarie, chiudere i paradisi fiscali, regolamentare i derivati, e via discorrendo. Nella maggior parte dei casi non ci sono difficoltà tecniche. Sappiamo cosa bisognerebbe fare e come procedere. E’ unicamente una questione di volontà politica. Occorre superare lo scandaloso potere delle lobby finanziare che, a dispetto dei disastri combinati negli ultimi anni, continuano a opporsi ad ogni forma di regolamentazione”.

“Questo è un primo passo necessario ma non sufficiente. Mentre “dall’alto” servono regole e controlli, “dal basso”, serve un impegno diretto di tutti noi in quanto risparmiatori e clienti delle banche o di altri attori finanziari. Quanti di noi presterebbero i propri soldi a chi volesse giocarseli al casinò? Quanti li darebbero a chi li volesse investire in un traffico di mine anti-uomo, per quanto remunerativo? Eppure quanti di noi domandano alla propria banca, fondo pensione o di investimento l’utilizzo che viene fatto del nostro denaro? Questo, una volta incanalato nei meccanismi finanziari internazionali può avere enormi impatti, tanto in positivo quanto in negativo, sull’economia e la società”.

“Abbiamo il diritto, e per molti versi il dovere, di chiedere alla nostra banca come intende utilizzare i nostri risparmi ed esigere una piena trasparenza. Evitiamo di essere, oltre che vittime, anche complici inconsapevoli di questo sistema. Se la nostra banca, il nostro gestore di fondi o la nostra assicurazione continuano a giocare con i nostri risparmi come con le fiches di un casinò abbiamo una risposta tanto semplice quanto efficace: non con i nostri soldi”.

di Silvana Mazzocchi

Fonte: Repubblica