Venezia, al via conferenza internazionale su decrescita: “Tema non rinviabile”

da | 19 Set 2012

Crescere all’infinito in un ambiente dalle risorse finite? Non è possibile, meglio farsene una ragione. A meno che si voglia andare dritti verso la catastrofe. Ambientale, sì, ma anche economica e sociale. Per evitarlo, resta solo una possibilità: rivedere dalla base l’attuale modello di sviluppo. È questo, in sostanza, il messaggio della terza conferenza internazionale su “La grande transizione: la decrescita come passaggio di civiltà”. Che, dal 19 al 23 settembre, porterà a Venezia centinaia di persone da tutto il mondo e numerosi ospiti d’eccezione: da Serge Latouche a Rob Hopkins, da Helena Norberg-Hodge ad Alex Zanotelli. Tutti d’accordo sulla soluzione da opporre a una crisi ormai irreversibile: la presa di coscienza che la nostra civiltà consuma troppe risorse rispetto a quelle che il pianeta è in grado di rigenerare, e produce troppi rifiuti rispetto alle sue capacità di metabolizzarli. A Venezia, per 5 giorni, le teorie più eretiche si intrecceranno con le buone pratiche di chi si impegna nella tutela dell’ambiente, della società e dei diritti.

C’è chi la chiama “transizione”, chi “prosperità senza crescita”, chi ancora “semplicità volontaria”. Sta di fatto che la decrescita, termine che suscita le più sprezzanti reazioni nella maggior parte degli economisti, ha iniziato a farsi strada nell’immaginario collettivo. Lo conferma il successo annunciato di un evento che, dopo le edizioni di Parigi e Barcellona degli scorsi due anni, sta portando nel capoluogo veneto migliaia di persone da ogni parte del pianeta. I visitatori “decrescenti” verranno infatti da 45 Paesi, letteralmente con ogni mezzo: c’è chi arriva da Barcellona in bicicletta; chi dalle regioni del nord Italia a piedi lungo il Po; c’è addirittura chi arriverà cavalcando un asino. Obiettivo comune: ridurre al minimo l’impatto ambientale dei propri spostamenti, facendo però presente che decrescere non significa “tornare al carro trainato da buoi” o vivere di rinunce, ma “capire che si è passato il limite”.

Un dettaglio importante, che una volta compreso da sempre più persone ha portato l’evento veneziano a registrare il tutto esaurito: “Abbiamo raggiunto il numero massimo possibile di partecipanti (600)”, scrive l’organizzazione sul suo sito: “Limite necessario per un produttivo e partecipato svolgimento”. E per chi non è riuscito ad iscriversi? Nessun problema, oltre alla diretta video degli incontri, è previsto un vasto programma di “eventi paralleli”, seminari, laboratori e workshop con una sola parola d’ordine: gettare le basi per un mondo più sostenibile.

Un’ambizione non da poco, ma necessaria. Ne sono convinti i numerosi partner della conferenza (73 solo in Italia), fra cui associazioni nazionali e non come Arci, Research & Degrowth e New Economics Foundation, atenei come l’Università di Architettura di Venezia e l’Università di Udine, o enti locali come il Comune di Venezia, che hanno promosso nell’ultimo anno quella che poteva sembrare un’impresa impossibile: unire gli intenti di quelle realtà che, sia nel nord che nel sud del mondo (sono attese delegazioni anche dal Salvador e dalla Sierra Leone), ritengono indispensabile sfidare “il dogma della crescita economica e del Pil”.

Siamo arrivati al “dopo-sviluppo”, avvertono i partecipanti, per cui la crescita infinita dei consumi, dei profitti o dello sfruttamento delle persone e delle risorse non è solo un’idea ingannevole, ma anche deleteria. Basti vedere i risultati in termini ambientali, sociali ed occupazionali che si stanno raccogliendo nei Paesi più industrializzati. “I cantori della crescita mancano di realismo e capacità di riflessione, e confondono una critica costruttiva e articolata alla tecnologia, al pensiero calcolante e all’industrialismo con un ritorno a stadi premoderni della storia dell’umanità”, scrivono gli esperti reclutati per rispondere alle Faq sulla decrescita: “Nella necessità di rispettare i cicli e i ritmi della natura, degli ecosistemi e di tutto il vivente non vi è nulla di estremista, ma piuttosto l’assunzione di responsabilità di fronte alle gravi emergenze del nostro tempo”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it