Premesso che non sono uno specialista della decrescita, ma mi sto interessando da alcuni mesi ai temi della decrescita e della transizione, ho letto con interesse ed attenzione le obiezioni di Giovanni Mazzetti alle teorie di Serge Latouche, pubblicate in aprile dal “Manifesto” e poi riproposte sul sito di Rifondazione.
Credo infatti che le questioni che da Mazzetti vengono poste non debbano essere sottovalutate, ma che il baricentro del suo discorso, mettendo in primo piano elementi marginali, sia piuttosto spostato rispetto a quello che a mio avviso è il nucleo centrale, rivoluzionario, del discorso di Latouche e della decrescita in generale. Almeno due terzi dell’intervento di Mazzetti sono incentrati sul riferimento che Latouche fa al Paleolitico, visto come momento di abbondanza e di riduzione del tempo di lavoro. Questo riferimento al passato viene criticato, ma ripeto, NON COSTITUISCE IL NOCCIOLO DURO DELLA DECRESCITA.
Marino Badiale e Massimo Bontempelli nel loro”Marx e la decrescita. Per un buon uso del pensiero di Marx” cosi definiscono tale nucleo centrale: ” L’idea della decrescita è l’idea della graduale sostituzione del consumo di merci con quello di beni e servizi non mercificati, del consumo di beni prodotti intensivamente su larga scala e trasportati da lunghe distanze con quello di beni prodotti su piccola scala e trasportati su brevi distanze, di alti consumi di energia con bassi consumi di energia, della costruzione di nuove opere invasive dei territorio con il riuso e la manutenzione di opere già esistenti.(…) Tale idea è (..) l’idea , la cui prassi costituisce il fattore capace di far esplodere la contraddizione fondamentale del capitalismo e di far nascere una nuova, non predeterminata forma di società”.
Certo non si può negare che Latouche ricorra a riferimenti al Paleolitico, ma questi costituiscono uno dei contributi a quella che sempre Latouche definisce la “Decolonizzazione dell’immaginario” , uno sforzo collaterale assolutamente necessario per liberarsi dalla mitologia della crescita che ci sommerge , come dice lo stesso Mazzetti, “essendo immersi in una società nella quale (Tutti) sentono ripetere da anni che tutti dovremmo adoperarci per la crescita” .
Del resto le ricostruzioni che del passato paleolitico fa Mazzetti non sono condivise da tutti gli studiosi che si sono dedicati alla preistoria; oltre al Marshall Sahlins di “Economia dell’età della pietra” non si può ignorare l’affascinante ricostruzione dell’archeologa Marija Gimbutas ne “Il linguaggio della dea” :”Con la sua sorprendente assenza di immagini di guerra e dominio maschile l’arte incentrata sulla Dea riflette un ordine sociale in cui le donne, (…) giocavano un ruolo centrale. L’Europa e l’Anatolia antiche, al pari della Creta Minoica, erano una Gilania, un sistema sociale equilibrato, né patriarcale, né matriarcale” fra i 9000 e gli 8000 anni fa.
Inoltre, arrivando alle critiche più direttamente riguardanti il nucleo della decrescita, Mazzetti accusa Latouche sostenendo che “l’abbondanza alla quale L. si riferisce è l’abbondanza propria della vita animale” . Mi pare che questa obiezione sottovaluti la proposta della decrescita di opporsi alla ‘tossicodipendenza da consumismo’ per ” creare valori d’uso non quantificati né quantificabili dai fabbricanti professionali dei bisogni”. Una rifondazione anticonsumistica non c’entra con l’obiezione sopracitata.
E’ sicuramente vero che una prospettiva di decrescita sarà difficilmente accettata sia da chi detiene i poteri forti a livello internazionale e nazionale sia da chi vive coltivando sogni di consumi sempre crescenti nel cosiddetto mondo sviluppato e negli altrettanto cosiddetti paesi in via di sviluppo, ma oggi una forza politica anticapitalistica non può prescindere da una critica contro ” l’invasione, la conquista e la colonizzazione della rete delle relazioni umane da parte di visioni del mondo e schemi di comportamento ispirati ai mercati dei beni di consumo fatti a loro misura” (Z. BAUMANN, “Consumo, dunque sono”), quale emerge dal pensiero della decrescita.
I problemi da risolvere, comunque, sono enormi, da far tremare le vene ai polsi, da quello occupazionale (Lavorare meno, lavorare tutti è uno slogan affascinante, ma gli step per raggiungere questo obbiettivo sono (quasi) tutti da costruire); non sarà certo facile che i paesi che non hanno raggiunto i livelli di consumi occidentali riescano a frenare la loro corsa, anche se qualche segnale proviene in questo senso dalla Cina, solo per citare due fra le questioni da risolvere, ma il degrado sociale, economico ed ambientale del mondo e della vita dei suoi abitanti presente e soprattutto futuro non credo che possano essere risolti neanche attraverso i palliativi della crescita sostenibile.
di Alberto Melandri, Ferrara