Il ministero dell’Ambiente? È il meno finanziato, e sopravvive a malapena

da | 29 Ott 2012

Nei giorni scorsi i presidenti di un folto gruppo di Associazioni che si occupano di ambiente (Accademia Kronos; Ambiente e Lavoro; Amici della Terra; Anev; Associazione Italiana Insegnanti di Geografia; Cts; Enpa; Fai; Federproprietà; Fiab; Fipsas; Fondazione Sorella Natura; Greenaccord; Inu; Italia Nostra; Lac; Legambiente; Lipu; Mareamico; Marevivo; Mountain Wilderness; Oipa; Pro Natura; The Jane Goodall Institute Italia; Wwf) hanno scritto al presidente del Consiglio dei ministri dell’Economia e delle finanze – Vittorio Grilli – della Funzione pubblica – Filippo Patroni Griffi – e dell’Ambiente  – Corrado Clini –  per evidenziare le molte preoccupazioni sulle politiche, gli interventi ed i provvedimenti di spesa del governo tecnico in campo.

Le 25 associazioni, mentre viene avviata la nuova sessione di bilancio per il 2013, «si dichiarano fortemente preoccupate per quella che appare di fatto una progressiva “liquidazione” del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e degli Enti da questo vigilati che ha origine nei provvedimenti sulla contrazione della spesa pubblica approvati nel 2010. Al Ministero dell’Ambiente, è bene ricordarlo, vengono storicamente destinati meno finanziamenti, di conseguenza, risulta essere il più penalizzato tra i Dicasteri che in vario modo hanno la responsabilità di gestire materie di esclusiva competenza dello Stato in base al dettato della nostra Costituzione o intervengono in campi analoghi (Ministero dei beni e delle attività culturali e Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali). Ci domandiamo, inoltre, quale attenzione il Governo in carica voglia riservare alle politiche e agli interventi ambientali considerato che (a partire dalle attività di prevenzione e pronto intervento in caso di inquinamento marino da petrolio per arrivare ai controlli in materia ambientale ed alle aree naturali protette) l’operatività delle strutture preposte alla tutela dell’ambiente e l’articolazione del presidio istituzionale sono continuamente messe in discussione e sempre più indebolite».

Una tendenza che, secondo ambientalisti, animalisti e rappresentanti del mondo della cultura «non è stata né contenuta, né invertita dal Governo in carica, che attraverso le “riduzioni lineari” prodotte dal decreto sulla spending review ha portato il bilancio di questo dicastero a poco più di 450 milioni di euro. Ciò significa che nell’arco di 4 anni le risorse destinate al Ministero del’Ambiente sono state ridotte di ¾: infatti, nel 2008 il bilancio del Ministero era di 1 miliardo e 649 milioni (ultima manovra del Governo Prodi) e nel 2009, primo anno del Governo Berlusconi, era di 1 miliardo e 265 milioni. Tutto questo è avvenuto senza dedicare quella attenzione specifica che è stata invece, giustamente, riservata al Ministero dei beni e delle attività culturali, che pur partendo da un bilancio 3 volte superiore rispetto a quello del Ministero dell’ambiente (1.4 mld di euro a fronte di 450 mln di euro), nel 2013 non subisce alcun taglio. Nella sostanza siamo costretti, con rammarico, a constatare che, a partire dalla manovra estiva (dl 98/2011) del Governo Berlusconi e successivamente con la Legge di stabilità 2012 ed il decreto legge sulla Spending Review, si interviene dando continuità ad una drastica riduzione della capacità operativa del Ministero dell’Ambiente e degli Enti da esso vigilati, mettendone in discussione, di fatto, la stessa esistenza. Ricordiamo che l’art. 3 della Legge di Stabilita 2012 stabiliva, che, “ai fini dell’attuazione di quanto previsto dall’articolo 10, comma 2 del decreto 6 luglio 2011 n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111, gli stanziamenti relativi alle spese rimodulabili dei Programmi dei Ministeri sono ridotti in termini di competenza e di cassa degli importi indicati nell’Elenco n. 1, allegato alla presente legge».

Poi le associazioni passano ad una puntuale disanima degli stanziamenti, o meglio dei tagli: «nell’Elenco 1 il Ministero del’Ambiente ha una riduzione di 124,118 milioni di euro nel 2012, di 45,210 milioni di euro nel 2013 e di 58,800 milioni di euro nel 2014. Un taglio nel triennio di 228,128 milioni di euro. Ciò ha portato all’inizio del 2012 il bilancio del dicastero per il 2012 a 434.543.848 euro; il bilancio del 2013 a 504.402.890 euro; il bilancio del 2014 a 492.683.007 euro. Bisogna tener conto, poi, che nel corso del 2012 ci sono stati ulteriori aggiornamenti delle previsioni di spesa che portano nel 2013 il bilancio del Ministero dell’Ambiente a 479.580.950 euro, nel 2014 a 466.479.390 e nel 2015 a 487.598.260 euro (in cifre tonde). Da queste ultime cifre bisogna partire per calcolare le ulteriori riduzioni di spesa previste nell’Allegato II, di cui ai commi da 12 a 15 dell’art. 6, del decreto legge n. 95/2012 sulla “Spending Review”, nel quale compaiono ulteriori tagli per 23 milioni di euro nel 2013, 21 milioni di euro nel 2014 e 29,6 milioni di euro nel 2015. Per dare un’idea di cosa ciò concretamente significhi va considerato che nel 2012, escluse le spese per il funzionamento che sono nel Bilancio di previsione 2012 di detto dicastero (Tabella n. 9), i tagli previsti dalla Legge di Stabilità 2012 erano già andati ad incidere per 124 milioni sui 180 milioni di euro circa, destinati ogni anno ad interventi (per la prevenzione dell’inquinamento marino da idrocarburi e l’intervento in caso di emergenze, per le aree naturali protette marine e terrestri, l’efficienza e il risparmio energetici, l’attuazione del Protocollo di Kyoto, le bonifiche, ecc.). Situazione che si aggraverà quando i tagli previsti dalla spending review saranno effettuati sui vari capitoli del bilancio 2012 del Ministero. In pratica, rileviamo che nel nostro Paese c’è un Ministero, di gran lunga all’ultimo posto tra i dicasteri con portafoglio, che sopravvive a sé stesso, avendo a malapena, le risorse per pagare il personale e vede praticamente azzerata la sua capacità operativa, mettendo in seria discussione nei fatti non solo la sua vocazione alla tutela dell’ambiente, del territorio e del mare, ma la sua stessa esistenza».

Gli “ambientalisti” si domandano anche se  il governo Monti con la manovra «voglia mettere in sicurezza le cifre destinate più in generale agli interventi in campo ambientale a cui è stata destinata, a legislazione vigente, dalla Legge di Stabilità 2012 la cifra risibile di 52,026 milioni di euro (per pagare gli interventi sulla difesa del mare, sulle aree naturali protette, sulla Cites convenzione internazionale per le specie in via di estinzione e le attività dell’Ispra, l’istituto di ricerca del Ministero dell’ambiente) equivalenti allo 0,9% del totale della manovra 2012 (da 5,653 miliardi di euro nel 2012), cifra che raggiunge quota 2.2% se si aggiungono, impropriamente, i 75,833 milioni di euro che sono stati previsti dalla Legge di Stabilità 2012 in Tabella B quale accantonamento (come si sa, previsione puramente figurativa). Siamo informati ovviamente che il Governo in carica, con Delibere Cipe o altri provvedimenti sta cercando puntualmente di far fronte alle emergenze (ci riferiamo agli stanziamenti effettuati per affrontare il rischio idrogeologico o a quelli annunciati per l’Ilva di Taranto), ma ci domandiamo se si possa considerare il presidio delle politiche ambientali come una variabile indipendente dalle politiche ordinarie di spesa con il rischio concreto che di fatto non sia garantita l’operatività ordinaria della struttura amministrativa preposta alla tutela dell’ambiente».

La lettera segnala ad esempio che «già nel 2013, facendo riferimento però alla situazione pre-spending review, mancheranno 9 milioni di euro (ce ne sono solo 16 di 25) per pagare la seconda annualità della Convenzione biennale (2012-2013) tra il Ministero dell’Ambiente e la società consortile Castalia che mette a disposizione 40 mezzi navali per far fronte alle emergenze dell’inquinamento marino, ed è a rischio anche il milione e mezzo necessario a pagare l’attività preventiva di vigilanza antinquinamento in alto mare garantita dalle Capitanerie di Porto. Questo succede quando improvvidamente si vuole dare carta bianca alla ricerca dell’oro nero nei nostri mari aumentando esponenzialmente il rischio per le nostre coste e per i nostri mari. Se si aggiunge a questa contrazione di spesa la grave e irrisolta incertezza che ancora permane sulla mission e quindi sulla funzione di Isra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), così come configurate dal Decreto 21 maggio 2010 n. 123, viene da domandarsi se si voglia o no garantire un sistema di controlli ambientali coordinato su scala nazionale, invece di accontentarsi di avere l’ennesimo soggetto istituzionale che interviene nel campo della ricerca.

Le associazioni chiedono un’attenzione particolare per le aree naturali protette, come i Parchi nazionali e le Aree marine protette, ed i loro Enti di gestione vigilati dal ministero dell’Ambiente, «che costituiscono i presidi territoriali preposti alla “Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, materia esclusiva dello Stato in base all’art. 117 della Costituzione, comma II, lettera s (Titolo V della parte seconda della Costituzione)» e ricordano che «Il sistema nazionale delle aree naturali protette è stato messo in discussione dalla Legge di Stabilità 2012, che ha compromesso nell’anno in corso la funzionalità ordinaria di 1/3 delle Aree Marine Protette, situazione aggravata ulteriormente dalle pesanti ricadute della spending review. Riteniamo che il Governo debba seriamente meditare su quali possano essere gli effetti sul sistema delle aree naturali protette della norma del d.l. 95/2012 che prevede in particolare una riduzione delle dotazioni delle piante organiche non inferiore al 10 per cento della spesa complessiva relativa al numero dei posti in organico di tale personale. Non crediamo serva ricordare che le aree naturali protette sono il presidio più avanzato, non solo per tutelare genericamente il “patrimonio naturale” del Paese, ma per garantire concrete azioni di contrasto alla speculazione e all’abusivismo edilizio, al dissesto del territorio, all’inquinamento di aria, acqua e suolo, alla perdita di biodiversità. Garantire una gestione efficace ed efficiente del sistema nazionale delle aree naturali protette è inoltre un obbligo per il nostro Paese in base all’art.8 della Convenzione internazionale sulla diversità biologica adottata dal Parlamento nel 1994 ed in relazione all’attuazione delle direttive dell’Unione Europea per la conservazione della biodiversità».

L’appello al governo riconosce l’impegno del ministero dell’Ambiente per difendere l’ammontare delle spese obbligatorie per la gestione dei Parchi Nazionali, «ma ci domandiamo – scrivono i firmatari – quali conseguenze avranno queste ennesime contrazioni di spesa sulla effettiva operatività degli Enti, con l’utilizzo dei fondi assegnati reso sempre più difficile anche in considerazione di una sempre maggiore complicazione delle procedure amministrative e burocratiche per la gestione delle risorse oggi garantite per le stesse spese obbligatorie.  Condividiamo l’esigenza di una seria valutazione dell’efficienza e dell’efficacia dei programmi di azione e delle attività degli Enti Parco, ma riteniamo paradossale che alla debolezza complessiva del presidio ambientale garantito dalla Pubblica Amministrazione si aggiunga l’aggravante del rendere ancora più evanescente la già scarsa capacità di intervento degli unici Enti che in base alla normativa vigente hanno la competenza esclusiva della conservazione del nostro patrimonio naturale, in attuazione delle diverse Convenzioni internazionali e Direttive comunitarie in materia di tutela e valorizzazione sostenibile della biodiversità».

Le 25 associazioni concludono: «Su tutti questi aspetti che riguardano un’adeguata ed effettiva tutela dell’ambiente, richiamata dalla nostra Costituzione, chiediamo al Governo in carica, nella sua collegialità, una seria riflessione a cui volentieri vorremmo contribuire, dichiarando subito la nostra disponibilità ad incontri di approfondimento».

Fonte: Greenreport.it