“Per introdursi negli spazi vernacolari il primo homo oeconomicus ha adottato due metodi, uno ricorda l’azione del retrovirus HIV e l’altro le strategie dei trafficanti di droga. In pratica si tratta della distruzione delle difese e della creazione di nuovi bisogni. Il primo obiettivo è stato raggiunto attraverso la scuola, il secondo attraverso la pubblicità, ma è soprattutto l’assuefazione a creare la tossicodipendenza. La crescita, attraverso il consumismo, è diventata nel contempo un terribile virus e una droga”.[1]
Serge Latouche
Latouche considera la scuola uno dei due principali fattori che ha portato la società della crescita a colonizzare nella sua interezza la società occidentale, paragonandola all’azione di un virus letale. Questa è, però, l’unico virus che dobbiamo temere?
Penso, infatti, che il “virus della crescita” infetti i giovani molto di più attraverso lo sport agonistico che mediante il sistema scolastico. E’ attraverso un pallone da calcio che ci viene inculcata l’ideologia del sistema, fin da piccolissimi. Non giochi per divertirti, ma per vincere a tutti i costi, per essere il migliore! Se non vinci, se non sei bravo, non sarai mai nessuno e tutti ti passeranno sopra! Starai in panchina a fare la riserva tutta la vita, emarginato dai tuoi compagni e dal tuo allenatore. Sarai per sempre uno sfigato. Devi quindi lottare ad ogni costo, competere strenuamente con i tuoi compagni per questo, nella speranza di diventare uno di quegli idoli che vedi giocare la domenica in televisione.
Un mio allenatore, per giustificare le cose più crudeli, ci ripeteva spesso: “il calcio è scuola di vita”. Allora gli credevo, ma in fondo mi chiedevo: “ma sarà proprio così la vita?”. Ora ho capito che non è così e che la vita può essere ben altro. In fondo, però, il mio allenatore non aveva poi totalmente torto. Il mondo che ci si trova davanti, una volta adulti, funziona proprio così! Il calcio, come la maggior parte degli sport agonistici, è davvero scuola di vita, non perché ci insegna come sarà necessariamente la vita adulta, ma nel senso che plasma precocemente il nostro immaginario attraverso il “virus della crescita” e fa si che, in futuro, non potremo che vivere quel particolare tipo di vita. Ci educano alla competizione, al successo ad ogni costo, al “tutto è possibile”, alla vita che ci viene propinata dai mass media ogni secondo. In questa maniera, tramite lo sport, l’ideologia della crescita riesce a far presa nel cuore di un bambino già da piccolo, quando la scuola non riuscirebbe in alcun modo ad esercitare una simile influenza (idem per l’adolescente), e laddove peraltro lo spirito di competizione risulta essere molto meno esasperato. Nel futuro questo tipo di comportamenti, incastonati nelle profondità del nostro cervello, si ripeteranno in maniera quasi naturale, semplicemente mutando il loro obiettivo, che diventerà inizialmente il successo scolastico e poi quello lavorativo.[2] Il cerchio si chiude, purtroppo a volte, con alcune persone che non riescono ad avere successo né nello sport, né nella scuola, né nel lavoro. Cercano allora di risolvere il loro complesso di inferiorità facendo gli allenatori dei bambini (perché non abbastanza bravi per gli adulti). Fanno ciò come se allenassero la nazionale italiana e creano spesso dei “mostri” per rincorre un surrogato di quel successo che non sono mai riusciti ad ottenere nella loro vita.
Il vero sport, quello fatto per divertirsi e stare insieme,[3] quello della competizione sana che rientra nella sfera del gioco, quello che ci fa bene e ci fa imparare a rapportarci con il nostro corpo e con gli altri (e che tendenzialmente costa poco o niente), viene purtroppo abbandonato quasi da tutti, da una parte per l’inattività e dall’altra per l’agonismo.
Jean-Louis Aillon (Mdf Torino)
[1] S. Latouche, La scommessa della decrescita, Serie bianca Feltrinelli, Milano 2007, p 107.
[2] Questo accade anche per chi resta in panchina, per chi nello sport non ha mai eccelso. I dis-valori, infatti, passano lo stesso, anche in chi getta la spugna. Costoro, però, a causa delle frustrazioni subite (e del relativo rancore), rincorreranno ancora con più forza e determinazione il successo ad ogni costo!
[3] In origine la parola sport aveva, infatti, molto più a che fare con il divertimento e con lo svago, che con la competizione di tipo agonistico. Questo termine non deriva dall’inglese, ma dal termine latino “deportare” che tra i suoi significati aveva anche quello di uscire fuori porta, cioè uscire al di fuori delle mura cittadine per dedicarsi ad attività sportive. Da questo termine deriva il termine francese “desporter” (divertimento, svago); da cui prese origine nell’inglese del XIV secolo il termine “disport” che solo successivamente, intorno al XVI secolo, venne abbreviato nell’odierno sport. Il termine in italiano che più si avvicina all’etimo francese è “diporto”, che significa svago, divertimento, ricreazione.
Harper, Douglas. “sport (n.)”. Online Etymological Dictionary. Retrieved 20 April 2008.