Filosofi, sociologi, critici d’arte sostengono che, a partire dal secondo dopo-guerra, le società democratiche e capitaliste occidentali siano entrate nell’epoca postmoderna. Il termine vuole segnalare una rottura all’interno del solco della stessa modernità. Tratti fondamentali del nostro tempo sarebbero lo scetticismo e l’individualismo.
Con il primo s’intende il processo, cominciato con l’Epoca dei Lumi, di secolarizzazione – nell’epoca moderna, rivolto contro le religioni, le superstizioni, le gerarchie; nell’epoca postmoderna, contro la razionalità emancipatrice stessa, il concetto illuminista di progresso.
Con il secondo ci si riferisce non tanto all’egocentrismo, al narcisismo così diffuso nelle nostre società opulente e volubili, quanto all’inalienabile valore di cui gode il singolo a livello economico, politico, filosofico: l’individuo non solo possiede e pretende che gli sia garantito il diritto alla vita, alla salute e al lavoro, ma anche quello al piacere e alla realizzazione personale.
Per descrivere la nostra epoca, il filosofo americano di origini giapponesi, Francis Fukuyama, nel 1992 ha avanzato l’ipotesi secondo la quale, con l’avvento delle democrazie occidentali, gli esseri umani avrebbero trovato la forma di governo, se non perfetta, senz’altro migliore. Motivo per cui hanno cessato di lottare per un mondo più giusto, più equo, più libero. E se la Storia è la storia delle battaglie delle masse oppresse contro le oligarchie opprimenti, allora – secondo Fukuyama – in Occidente la Storia è finita.
Il filosofo pensa all’agio diffuso a cui le democrazie occidentali capitaliste hanno abituato i loro cittadini. Il benessere ci ha fatto forse diventare simili all’“ultimo uomo” di Nietzsche, panzoni e indolenti, timorosi e cagionevoli, edonisti e miscredenti. Se da un lato è difficile stabilire se capitalismo e democrazia siano la causa di scetticismo e individualismo, oppure il contrario, indubbio è che il comfort abbia contribuito a dissuaderci dalla lotta, dall’adesione a grandi progetti politici, dal bisogno di sposare un’ideologia forte.
Alla luce dei disordini scoppiati in Grecia a causa della crisi, delle proteste spagnole degli Indignados, del fenomeno di Occupy Wall Street in America, dell’avvento del Movimento 5 Stelle in Italia, e indipendentemente da quanto ognuno di noi possa identificarsi o meno con questi fenomeni, la domanda da porsi è la seguente: e ora che l’agio è finito?
È verosimile che un ritorno a ideologie forti – di salvazione terrena laica, ma pur sempre dogmatiche, come lo è stato il comunismo –, sia improbabile: tutti questi movimenti lo dimostrano. Avendo noi compiuto molto cammino sulla strada del disincanto, riterremmo tornare indietro un risibile autoinganno. Eppure, ci sarebbe di nuovo qualcosa contro e per cui combattere: ad esempio, le ineguaglianze del sistema capitalista, l’accesso ai territori e alle risorse, un aumento della democrazia, insomma una transizione verso una società e un’economia della Decrescita – orizzonte che volenti o nolenti ci aspetta.
Persino gli “ultimi uomini” d’Occidente cominciano, come i campesinos ecuadoregni o boliviani che li hanno preceduti, a mobilitarsi contro la tirannia delle banche, le devastazioni ambientali e sociali dell’industria, la politica serva degli interessi economico-finanziari delle multinazionali, quindi la competitività disumana, il dilagare della legge del più forte che non tutela chi non riesce, la chiusure delle piccole imprese…
Nonostante la questionabilità di ogni etica, e a dispetto dell’abbrutimento indolente dell’agiato che non crede più in niente, che non possiede più un concetto assoluto di verità e che ha nella tolleranza il suo principio primo (conseguenza naturale del suo relativismo indifferente), l’uomo e la donna postmoderni individuano ancora qualcosa per cui indignarsi, scendere in piazza, urlare contro. Talora anche per incendiare cassonetti e negozi, frantumare bancomat e vetrine, prendere d’assalto comuni e palazzi del potere. Ed è per la mera sopravvivenza quotidiana.
Allorché la semplice esistenza non è più garantita, non c’è bisogno di un ritorno in massa a un’ideologia forte né tanto meno a una religione ultraterrena, per capire che è successo qualcosa: è sufficiente, io credo, il solo diritto alla vita, l’inarrestabile e prorompente istinto di conservazione animalesco, il diritto a un minimo di dignità, per rimettere in moto la Storia e gettare alle ortiche la piattezza dell’“ultimo uomo”.
Che la postmodernità stia per finire?
Fabrizio Li Vigni