La decrescita (felice) in Italia

da | 8 Lug 2013

Si può uscire da questa crisi, senza creare nuovi debiti, con nuova occupazione e soprattutto più ricchi di relazioni e di tempo? Sì, a patto di bandire la parola crescita dal vocabolario comune, di stornarla dal frasario della politica e dell’economia. Parola del Movimento per la decrescita felice.

Può sembrare un paradosso, ma in piena recessione il movimento alla cui testa viene impropriamente posto l’economista francese Latouche, e da cui i proseliti della decrescita nostrani rimarcano differenze e autonomia, sta prendendo piede anche in Italia. “Tra la decrescita e la recessione c’è lo stesso rapporto tra chi mangia meno di quanto vorrebbe perché ha deciso di fare una dieta per stare meglio, e chi è costretto a farlo perché non ha abbastanza da mangiare”, commenta Andrea Bertaglio, giornalista ed ex vicepresidente dell’organizzazione italiana, per spiegare l’improvviso appeal della decrescita felice nel nostro Paese.

Decrescita in Italia. Trenta circoli in tutta Italia con centinaia di iscritti, altri trenta in formazione, il Movimento nato in Italia nel 2007 può contare su un numero crescente di persone che si affaccia ai  loro club. Medici, professionisti, ex dirigenti, artigiani, casalinghe, studenti, “persone accomunate dalla volontà di cercare soluzioni per uscire dalla crisi e che hanno capito che è inimmaginabile una crescita illimitata nei Paesi avanzati”. Ragionamenti che hanno attratto settori della politica, a cominciare dal Movimento 5 Stelle, “da cui però ci divide ancora un abisso”, osserva Maurizio Pallante, fondatore e presidente del Movimento italiano.

Produrre da sé. Ex insegnante in pensione, un passato da assessore a Rivoli e di saggista sui temi del risparmio energetico, Pallante ha lasciato Torino per la campagna del Monferrato artigiano (Asti) 14 anni fa. “Qui ho potuto trovare una dimensione relazionale adatta a me – racconta – con una casa dotata di raccolta delle acque piovane, tetto coibentato, riscaldamento con camini speciali e un risparmio quest’anno di mille euro di elettricità; e un orto in cui coltivare i prodotti della casa”.  L’autoproduzione e lo scambio non mercantile fanno parte del bagaglio di proposte avanzate dal Movimento e che un indicatore come il Pil, basato sulla transazione monetaria, non registra.

Efficienza. Un’altra parola d’ordine è lotta agli sprechi che, ad avviso degli epigoni della decrescita, farebbe uscire dal dilemma le economie occidentali, strette tra l’austerity che genera disoccupazione di massa e sostegno alla crescita con aumento del debito sovrano. “L’unico modo per superare la crisi – prosegue Pallante, – è quella di una decrescita selettiva delle merci che non sono beni: oggi la media delle nostre abitazioni consuma il triplo di quelle tedesche. Un programma di ristrutturazioni degli edifici si ripagherebbe da solo in pochi anni e avrebbe il doppio vantaggio di importare in futuro meno combustibile e risparmiare risorse per rilanciare l’occupazione”. Il giudizio severo è rivolta anche alla politica. “Per finanziare la Tav Torino-Lione spendiamo 8,2 miliardi per dare lavoro a 6 mila persone, appena 0,73 addetti per milione di euro. Ogni milione di euro investito invece nell’efficienza energetica darebbe 14 posti di lavoro, senza contare le ricadute positive sull’ambiente”.

La crescita che non fa crescere.  La critica al paradigma della crescita è feroce. “In quarant’anni il nostro prodotto interno lordo è triplicato, ma la nostra occupazione è rimasta stabile, perché la crescita impone tecnologie più performanti per fare sempre di più con meno persone. Il risultato – osserva Pallante – è un debito strutturale che serve a riequilibrare l’offerta con la domanda e senza di cui non avremmo crescita. E ora di cambiare strada”.

Antonio Fico

Fonte: Liberetà