E’ cominciata così, questa storia, con una signora, Ellen Bermann, che ha ammonito i partecipanti ad essere brevi, brandendo dal tavolino di presidenza, dove hanno troneggiato per quasi tutto il tempo, una carota bella grossa, la varietà, avente la coda piuttosto sul rettangolare, mi è parsa nantese, un finocchio tutto bianco e una bietola da coste bella verde.
Si, ce n’era bisogno, la signora Bermann ci ha anche invitato a vari esercizi di rilassamento. Ce n’era bisogno, l’evento al quale stavamo dando vita, tutti insieme, organizzato con grande fatica e una pazienza che deve essere stata notevole, dal Movimento per la decrescita felice, circolo milanese, è “Orto febbraio” giocando sulla data dell’otto del mese nel quale, presso la Nuova Stecca degli Artigiani a Milano, si è tenuto.
Ho pensato tante volte a come iniziare questo racconto, queste notti ho riflettuto a come potessi rendere pubblica questa manifestazione della quale sono stato parte attiva. C’erano centinaia di persone, decine di relatori, Maurizio Pallante, presidente del Mdf, l’assessore Chiara Bisconti, con delega al verde cittadino.
Tra i relatori figuravano i gruppi, le associazioni che nei campi più disparati, dal sociale alla scuola, al mondo delle imprese e del lavoro, dal volontariato al mondo della cultura e dell’arte avessero a che vedere, in un modo o nell’altro col tema degli orti urbani.
Non ho mai assistito, in tutti questi anni di attività intensa intorno agli orti, ad un momento così articolato, vario ed intenso allo stesso tempo. E poi, qui, in Italia e nella mia regione, quella nella quale vivo, la Lombardia.
Ero emozionato, sono emozionato: quel luogo, la Nuova Stecca degli Artigiani, sorge a sostituire la vecchia Stecca. Un edificio nel vecchio quartiere dell’Isola, a Milano, dove, oltre dieci anni fa, io e Silvia, con nostro figlio ci recavamo, una volta al mese, in treno, con le nostre piantine di salvia, di melissa, riprodotte da noi, nell’orto ed i semi che avevamo cominciato a salvare. Pochi semi ma eravamo i soli ad averne, allora, che non provenissero da un consorzio, una ditta, da un supermercato.
Ora, in quel giardino dove noi andavamo, invitati dal locale Comitato per l’Isola Bio, ci sono nuovi grattacieli, quell’angolo di Milano che anche noi venivamo ad aiutare a resistere, non c’è più.
La Nuova Stecca non è la stessa cosa di quella vecchia. Eppure… eppure l’emozione mi ha preso. E’ la prima volta che a Milano, ma io credo, in Italia, si raccolgano tante realtà così varie e qualificate, alla presenza dell’ente comunale, per tenere, così l’hanno immaginato, sognato, gli organizzatori, il primo consiglio comunale degli orti urbani.
E’ un’idea magnifica, sappiamo tutti quanti che , per definizione, quando si parla di orto, viene in mente il Voltaire de “il faut cultiver son jardin” ed aveva anche, per certi versi, pure ragione – se uno non coltiva il suo, di orto, come può disquisire su quelli altrui?- oppure viene in mente più banalmente ma anche questa è vera, la gelosia di ciascuno nel curare il proprio orticello, insomma, mettere assieme tutte queste teste, ogni crapa la sua rapa, direi, in milanese, non me lo immagino facile.
Eppure è stato possibile: il miracolo artistico ed ortistico di tenere un pomeriggio di fine settimana tutte queste persone riunite, per tre ore senza che nessuna abbandonasse la sala, è riuscito. Di che cosa si è parlato? Chi ha parlato? Farei torto a molti se dovessi essere certosino, e, certamente, gli amici del Mdf di Milano metteranno in rete gli atti del convegno.
C’erano esperienze di calibro europeo come il progetto, in atto, di Farming the city di Amsterdam, c’erano realtà assai diverse tra loro come Legambiente e l’Associazione per l’agricoltura biodinamica, le Acli-Anni verdi e gruppi meno strutturati che coltivano o hanno in animo di coltivare orti per i fini più diversi: dall’inserimento delle persone con disabilità al produrre cibo per i senzatetto e c’erano gruppi che coltivano attorno a secolari abbazie come quelle di Morimondo e Chiaravalle, e c’erano gli studenti che fanno l’orto nei terreni del Politecnico. C’erano vecchi contadini dal dialetto stretto e con i calli alle mani. Tutto un mondo che ha esposto, nei tre minuti concessi, la propria esperienza in relazione a questa rete degli orti urbani milanesi che si creerà.
E c’ero io, per Civiltà Contadina, e c’ero e non sapevo davvero cosa dire… Credetemi, ero felice, in questa città, capoluogo della mia regione, dove sto vivendo la seconda metà della mia vita, dove è nato mio figlio ed è nato “un fiore ed un campo” ci dicevamo, io e sua madre, a dover parlare di semi, i nostri semi…
I semi che si raccolgono alla fine, quando la pianticella, fiorita, ci dona il suo primo frutto, il più bello e da quello, come da millenni, estraiamo i semi da conservare. Non so se ho parlato di questo, non lo so, so che mi è arrivata la carota, afferrata al volo e mangiata, tutta, rosicchiata così, nature. So che ho ricordato il carissimo Gianfranco Zavalloni al quale siamo tutti debitori per il suo bellissimo Manifesto degli Orti di pace. So che ho ricordato piazza Duomo durante la guerra, con i cavoli piantati tra il porfido…
E so che che chi mi ha invitato ne è stato felice ed io scusandomi per l’emozione che mi ha preso, ho ringraziato per tutto questo sogno che dovremo realizzare di una città verde, l’Assessore ha promesso di fare di Milano una delle città più vivibili al mondo, io ci voglio credere.
Si, grazie per la carota, grazie per averci condotto a parlare di orti, grazie per la stima che ci avete manifestato. Questo “Orto febbraio” ce lo ricorderemo tutti. E’ stato l’inizio e che la primavera che arriva, noi tutti, la si sappia accogliere, ciascuno col suo gruppo, seminando i fiori che Ella, la Primavera, aspetta di trovare nei nostri giardini di città. E dai, e sia, di febbraio la primavera si può soltanto sognare, ma, prima o poi, arriva e che i Navigli pullulino di ninfee, che i giacinti d’acqua possano riprendersi la Darsena.
Quello che riusciremo a fare a Milano sarà importante ben oltre questa città, ci siamo assunti la responsabilità, ora, sotto con le vanghe, col cuore e con le mani, nella terra, la nostra terra.
di Teodoro Margarita (Civiltà Contadina)
Fonte: blog “I Semi e la Terra” su AAM Terra Nuova