Crescono in modo anomalo i tumori alla tiroide. E in migliaia non possono più giocare all’aria aperta.
Sono passati tre anni dalla tripla catastrofe che colpì il Giappone, l’11 marzo 2011. Un terremoto di magnitudo 9 provocò un’onda anomala di 11 metri che spazzò via tutto e portò alla distruzione della centrale nucleare di Fukushima Daiichi. Diciottomila morti. Migliaia di edifici ridotti a frammenti grandi come fiammiferi, gli abitanti rapiti dal mare divenuto mostro. Terra contaminata dalle radiazioni nel raggio di 30 chilometri dalla centrale. Inabitabile. Inavvicinabile. Da cui 160.000 sfollati sono dovuti partire, affrontando il timore di chi se li trovava vicino: irradiati, potevano irradiare?
Nelle zone limitrofe, come nella città di Koriyama, la vita quasi normale è possibile, pur con aree nelle quali non è consigliato andare. In particolare ai bambini: loro sono più vulnerabili davanti alle radiazioni. Un pericolo onnipresente ma invisibile, che è più forte fra alberi e piante, e meno acuto in mezzo ad auto e cemento. Un mondo capovolto, che ha ribaltato le infanzie di migliaia di piccoli. Da tre anni non giocano nei prati, nei parchi o nei boschi: la terra è pericolosa, le foglie, anche, le radiazioni vi si accumulano più che non sulle superfici artificiali. Le mamme si premurano che escano con la mascherina e che siano ben coperti di plastica quando piove.
Periodicamente, sul Web, sono pubblicate allarmanti mappe che mostrano una lingua infuocata – rossa, arancione, gialla, verde – che si spinge nel mare, e ci dicono essere «l’acqua radioattiva di Fukushima». Gli esperti cercano di riportare alla razionalità, spiegano che le mappe colorate sono fallaci, che la pericolosità di Fukushima non ha bisogno di essere esagerata, che il mare è grande e l’acqua si disperde nella sua massa sterminata.
Eppure. Gli esperti dicono che per sviluppare un cancro alla tiroide ci vogliono diversi anni, ma i bambini di Fukushima ne sono affetti in numero ben più alto della media nazionale, che è di 2 casi su un milione fra i bambini di 10-14 anni. Nella prefettura, fra settembre e febbraio i casi confermati fra i minori di 18 anni sono passati da 59 a 75 ed è allarme. Finora sono stati controllati 254mila minori su 375mila. Ma gli stessi esperti dicono che potrebbe essere dovuto al fatto che qui i bambini sono costantemente testati, e forse, se l’intera popolazione giapponese fosse esaminata così di frequente, si avrebbero gli stessi risultati.
Ma se le famiglie che abitavano proprio intorno a Fukushima sono state costrette a traslocare, luoghi come Koriyama sono immutati, e vi si convive con radiazioni un po’ più alte del normale. Più a Nord, nel Tohoku, alcuni villaggi mangiati dal mare sono scomparsi per sempre, e la ricostruzione è avvenuta solo nei centri maggiori. Il Giappone, davanti alla catastrofe, ha di nuovo mostrato il suo volto stoico.
Ilaria Maria Sala
Fonte: La Stampa