Di seguito riportiamo alcune riflessioni di Filippo Schillaci, decrescita da lungo tempo e attivo sui temi della decrescita felice da altrettanto tempo.

Filippo, oltre a praticarla la decrescita, ama anche scrivere di temi di decrescita felice e quindi ci rende partecipi in questo suo scritto e in quelli a seguire della sua esperienza. Esperienze ed opinioni con le quali sarebbe opportuno – come con tutte – confrontarsi e discutere. Questo sia per approfondire le tematiche della decrescita felice, sia per esprimere il proprio parere favorevole o contrario. In sostanza aprire discussioni costruttive per quel nuovo paradigma culturale di cui tanto si parla. Siamo un grande cantiere aperto e le soluzioni da adottare variano da luogo in luogo e da persona a persona. Non esistono quindi ricette univoche ma le possibili soluzioni o innovazioni possono avvenire solo se Insieme partecipiamo attivamente.

Di seguito lo scritto di Filippo Schillaci

Pensavo che sarebbero bastati pochi mesi invece ci sono voluti 3 anni, pensavo che l’argomento fosse importante, invece lo è ancora di più, pensavo che fosse un argomento e invece è un vasto insieme di tematiche, variegate e strettamente interconnesse. Pensavo infine di concepire la ricerca come un viaggio; e così è stato. Un lungo viaggio fra biblioteche, luoghi e persone in cerca di una cosa sola: fatti. Di un’immagine esatta della realtà ma anche dell’immaginario sociale che è stato costruito attorno a essa e che spesso, molto spesso, anzi sempre ne altera la fisionomia fino a renderla irriconoscibile.

Parlo della ricerca, iniziata nell’estate del 2010 e conclusa nell’ottobre scorso con la pubblicazione di Un pianeta a tavola, sull’impatto ambientale del settore agroalimentare o, per dirla con parole meno astratte, sul peso che esercitiamo sul pianeta col semplice atto di sederci a tavola. Sapevo già che è un peso enorme, non sapevo ancora che è il maggiore.

Un’altra cosa mi era chiara: che “il protagonista sei tu”. Ho scritto proprio così all’inizio di tutto. Si comincia da te e si arriva a te. Ho letto di recente un articolo sui cambiamenti climatici: preciso, esatto, denso di dati e fatti assolutamente convincenti. Ma non mi è piaciuto. Non mi è piaciuto perché non ci ho trovato nessuna traccia di me, di te, di noi. Tutta l’attenzione dell’autrice era concentrata su “loro” che hanno deciso di incrementare le estrazioni di carbone, di aprire nuovi impianti estrattivi, nuove centrali… loro, sempre e solo loro, ma chi sono “loro”? Sembra, nel leggere simili articoli, che quanto sta avvenendo sulla Terra sia opera di entità distanti, astratte, inconoscibili e irraggiungibili. Immense e trascendenti. Di fronte a una simile visione delle cose il fatalismo, la resa, è d’obbligo. E se invece colui che fa tutte queste cose fossi io? E se dunque fosse nelle mie mani il potere di cambiarlo? Ecco, è da questa considerazione che sono partito. Fin dai tempi di Vivere la decrescita non ho mai cessato di porre l’accento sul concetto di responsabilità personale e, anche se nel frattempo ho imparato alcune cose che allora non sapevo, lo faccio ancora. Dunque tutto dipende da me? In un certo senso. Perché se è vero che il cibo è un bene di primissima necessità, se è vero che sedersi a tavola è un atto necessario, è anche vero che c’è modo e modo di farlo. Ci si può muovere sulla Terra come un tirannosauro imbizzarrito o con la leggerezza di una farfalla, e questo lo sappiamo tutti, lo sapevo anch’io. Ho imparato poi che ci si può muovere sulla Terra come un tirannosauro imbizzarrito credendo sinceramente di muoversi con la leggerezza di una farfalla, e questa è la condizione più insidiosa… ma non balziamo avanti anzitempo.

Sono partito da te dunque, e ho cominciato a mettere a fuoco il paesaggio che ti circonda. Era chiaro che dovevo muovermi in due direzioni: la prima era quella degli studi scientifici, la seconda quella delle persone e dei luoghi. Ho percorso entrambi questi itinerari. Ma soprattutto sapevo che, nella mia qualità di “esperto di nulla” il mio compito, nel percorrere l’uno e l’altro, era quello di porre domande. Anche per questo accade dunque che questo non sia un libro solo “mio” ma che nasce dai contributi di numerose altre persone. Coloro che hanno scritto di propria mano non pochi capitoli, coloro che, col mio microfono davanti, mi hanno raccontato le loro esperienze, coloro che non ho mai conosciuto e che hanno realizzato i numerosi studi nella cui lettura mi sono immerso, giorno dopo giorno, mese dopo mese. Sono più i chilometri che ho percorso sul territorio italiano o quelli che otterremmo mettendo una dietro l’altra tutte le righe dei testi che ho letto? Non lo so, ma certamente sono tanti entrambi.

Credo di poter dire infine che il lungo viaggio che ho compiuto nell’inseguire le risposte abbia dato i suoi frutti.

Si parte, dicevo, da te: da un qualsiasi negozio e da te che entri e vi compri qualcosa, si giunge a sondare i meandri dell’inconscio, dove si annidano le vere ragioni delle nostre scelte alimentari (e delle tenaci resistenze al loro cambiamento). Fra questa partenza e questo arrivo (se arrivo è) ci sono molte, molte pagine di dati e deduzioni, alcune in fondo già note, altre sorprendenti. Ma anche, dietro ogni pagina c’è qualcosa, una vicenda, una persona, un libro che in essa non ha trovato posto ma che ha contribuito a generarla. Parleremo dunque nelle settimane, forse nei mesi seguenti, di questi retroscena della realizzazione di Un pianeta a tavola, come fossero i backstage di un film. Perché in un certo senso è esattamente ciò che sono.