Il giorno più bello sarà quando non si parlerà più di decrescita felice. Il giorno più bello sarà quando il movimento per la decrescita felice non avrà più motivo di esistere. E questo perché significherà che l’idea e la pratica della decrescita felice sarà così ben piantata nell’educazione delle persone tutte, che distinguerla sarebbe inutile. Tuttavia fino ad allora credo che il cammino sarà ancora tanto da fare, e anche difficile.
La decrescita felice, prima ancora di essere una teoria economica è principalmente uno stile di vita. E’ molto importante sottolineare questo aspetto, perché la decrescita felice è ancora un cantiere aperto. Un cantiere a buon punto sicuramente, ma altrettanto aperto. C’è ancora molto da costruire, perché molto ancora c’è da fare nella società italiana e mondiale.
Sicuramente uno dei punti principali da affrontare è quello lavorativo. Una società si regge da sempre sul concetto di lavoro. Questo è importante non solo per il salario che può produrre ma anche per il valore che può apportare alla società. Nell’attuale situazione storica è certamente l’aspetto della retribuzione che deve avere l’attenzione principale. Siamo in un momento di cambiamento molto traumatico e ci sono delle emergenze da affrontare. Detto in altre parole : Prima di spiegare perché è importante mangiare è bene dare da mangiare a chi ha fame.
Anche per questo motivo diventa sempre più urgente per le parti in causa, trovare del tempo necessario per sedersi attorno a dei tavoli per capire cosa progettare, cosa produrre, come produrlo e perché produrlo. Il rilancio serio di un’economia di un grande Paese come il nostro, deve passare anche attraverso queste scelte. Prima tra tutte quella di ridurre fino ad eliminarle del tutto gli sprechi di energia con i relativi costi.
Questo è uno dei punti fondamentali, urgenti e non più rinviabili. Acconto a questo abbiamo tutto uno strato che fa da base alla decrescita felice, che come ho scritto, prima ancora che essere una teoria economica è uno stile di vita. Uno stile di vita non univoco, non vincolante, non oppressivo. E’ un vero atto di liberazione interiore prima ancora che esteriore.
Uno degli aspetti importanti da recuperare è il rapporto con il pianeta Terra. E quando scrivo pianeta Terra intendo tutta la terra, con tutto quanto essa contiene. Per secoli – complice un cattivo antropocentrismo di origine anche religiosa – abbiamo inteso il nostro posto nel mondo come quello del re o del padrone che con la facile scusa del custodire (nobile arte di difficile attuazione) abbiamo sfasciato quante più cose possibili. Abbiamo inteso il nostro essere nel mondo come l’imporre la nostra impronta nel modo più chiaro possibile. Tutto è stato giustificato dal semplice fatto che sarebbe stato utile alla razza umana. Mai però ci siamo seriamente chiesti quali conseguenze a lungo termine, determinate scelte, avrebbero potuto portare alle restanti razze e per via indiretta anche la stessa razza umana. Una miopia – più o meno volontaria – causata dalla nostra sottomissione all’idolo del potere e dell’arricchimento per se stesso. Mi domando dove sia la vera superiorità della razza umana?
Eppure antropologicamente, il più forte dovrebbe comportarsi molto diversamente per poter esercitare il suo ruolo di razza superiore. E’ vero infatti che l’atto di pensare e di usare gli arti per creare è quello che più caratterizza gli uomini dal resto degli animali, ma tale potere andrebbe esercitato in modo molto diverso. Altrimenti la differenza è davvero difficile da trovare. E’ un servizio quello che gli uomini devono svolgere in questo mondo. Chi ha più forza, intelligenza, capacità, deve mettere questi doni a servizio di chi non li possiede perché è in tal modo che ne trarrà giovamento esso stesso. Se avessimo messo la nostra tecnica e la nostra tecnologia a servizio del Pianeta, quante guerre in meno avremmo? Quante più risorse rinnovabili e non rinnovabili avremmo ancora a disposizione? Quante specie di animali e di vegetali avremmo ancora a nostra disposizione? E quante di queste specie ora scomparse si sarebbero potute evolvere ancora di più? Si calcola che almeno in Italia dal Boom economico ad oggi sia centinaia di migliaio le specie di soli semi persi definitivamente. Pensiamo poi solamente ai danni alla nostra stessa salute che abbiamo causato. I tumori o le infertilità causati da inquinamento atmosferico dovrebbero provocare una solenne ribellione della tanto declamata superiorità della razza umana.
La realtà invece è molto differente. La realtà è che la nostra reale superiorità è stata asservita ad altro. Abbiamo abdicato al nostro essere realmente Re o Regine della terra, rifiutando di metterci a servizio di questa ma volendola asservirla, ci siamo ritrovati con il sorprendente risultato che i primi schiavi di questa situazione siamo noi stessi.
Tutto questo è causato dall’accecamento sempre crescente di grosse fette della popolazione mondiale ma soprattutto dei governanti, che da sempre hanno preferito volgere il loro sguardo verso altre luci, altri luccichii, di ben altra fattura e a stretto raggio. Oggi iniziamo a pagarne il conto salato. Se nel corso dei secoli una parte solamente viveva in stato precario e di povertà, oggi questa parte, questa fetta si allarga sempre di più, con conseguenze psicofisiche drammatiche.
C’è ancora qualcosa da fare? E se si, cosa? E’ una domanda dalla difficile risposta, e complessa. Non bisogna essere di facili ottimismi. Saremmo dei bugiardi. Ne però essere dei catastrofisti senza appello. Molte cose sono state fatte e vengono fatte, o tentate. Molte comunità hanno già intrapreso nuovi stili di vita, sviluppato un nuovo modo di stare al mondo. Altri fanno ancora molta fatica a capire lo scenario in cui ci troviamo. Altri ancora fanno finta di non capirlo, continuando a sperare che tutto si aggiusti.
La realtà non è semplice. Bisogna agire su i due grossi fronti: la concretezza del momento presente da un lato, dando risposte concrete e tangibili dal punto di vista lavorativo e anche di salario. Risposte serie e quindi di lungo periodo. E dall’altro lato, è importante agire sul grosso fronte culturale, su tutte le fasce di età. Mi preoccuperei di educare – e di investire in tale educazione – dei giovani, dei giovanissimi, dei bambini. Sono loro il serbatoio sano che può spezzare il sistema e rifondarne uno nuovo, totalmente nuovo. Fallire questa missione mi preoccupa e non poco. Disattendere questo mi creerebbe angoscia. Ma sono fiducioso, attendo felicemente trepidante il giorno in cui non ci sarà più bisogno di parlare di decrescita felice, perché la felicità sarà un habitus alla portata di tutti.
Alessandro Lauro