I danni ambientali e sanitari delle attività di imprese e famiglie italiane valgono quasi 50 miliardi di euro ogni anno. Una cifra importante, rivelata dai risultati di uno studio di valutazione delle esternalità ambientali nei diversi settori dell’economia del Belpaese realizzato e illustrato dalla società di ricerca e consulenza ECBA Project. Gli indicatori utilizzati per lo studio hanno integrato le tre dimensioni principali dello sviluppo sostenibile: ambientale, sociale ed economico-finanziaria.
L’anno preso in considerazione è stato il 2012, il primo di cui si dispongono dati completi in termini sia economici che ambientali. E i costi esterni ambientali complessivamente calcolati con l’approccio ECBA (Environmental Cost-Benefit Analysis) in relazione alle emissioni in atmosfera dell’economia nazionale, sono stati per la precisione 48,3 miliardi di euro. Un’incidenza del 3,1% sul PIL nazionale, considerato che il Prodotto Interno Lordo dell’anno in questione è stato di 1.566 miliardi di euro ai prezzi correnti.
L’indicatore ECBA che classifica l’eco-efficienza dei principali dieci macro-settori dell’economia nazionale, rapporta i costi esterni ambientali di un’impresa o di un settore al beneficio economico netto direttamente apportato alla collettività dalla stessa impresa o dallo stesso settore, misurato in termini di valore aggiunto generato.
Secondo la ricerca, dei dieci macro-settori che contribuiscono maggiormente al valore aggiunto dell’economia nazionale, “quello dei servizi di trasporto e logistica presenta la maggiore intensità di danni ambientali e sanitari delle emissioni in atmosfera in relazione al beneficio economico direttamente generato, con un valore di 49 euro ogni 1000 di valore aggiunto del settore”. L’immobiliare, che contribuisce con il 14,3% al valore aggiunto totale, “è invece quello che genera minori costi esterni ambientali, con un valore inferiore a 1 euro ogni 1000 di valore aggiunto”.
Il comparto con maggiori costi esterni a livello ambientale non è stato quello industriale, come verrebbe da pensare. Bensì quello delle famiglie, con 15,2 miliardi di euro (31%), seguito dall’industria con 12,9 miliardi (27%), dall’agricoltura, silvicoltura e pesca con 10,9 miliardi (23%) e dai servizi con 9,4 miliardi (19%). All’interno di queste “macro-aree”, a farla da padroni a livello di danni ambientali e sanitari sono stati i veicoli di trasporto delle famiglie (7,8 miliardi), gli impianti di riscaldamento domestici (7,2 miliardi) e quelli dell’industria manifatturiera (7,1 miliardi). Elevati anche i costi esterni dei servizi di trasporto e logistica (3,9 miliardi), del settore dell’energia elettrica e del gas (3,7 miliardi) e del commercio (3,1 miliardi).
I fattori che incidono maggiormente su ambiente e salute, secondo ECBA Project, sono per tre quarti legati all’inquinamento. Il 72% dei costi è infatti dovuto ai principali inquinanti atmosferici, il 27% ai gas ad effetto serra e meno dell’1% alle emissioni di metalli pesanti: “Riuscire a coniugare efficienza economica e tutela dell’ambiente secondo una visione integrata è la grande sfida che si pone oggi davanti alle imprese del nostro Paese e non solo”, scrive ECBA Project in una nota: “Emerge infatti che le attività economiche italiane generano mediamente 24 euro di danni ambientali e sanitari dovuti alle emissioni in atmosfera, ogni 1000 euro di valore aggiunto prodotto”.
“La principale innovazione apportata dall’ECBA Project Environmental Cost-Benefit Index“, spiega Andrea Molocchi, partner di ECBA Project e co-autore dello studio, “è di poter finalmente disporre di un indicatore che rapporta alla ricchezza creata da un’attività economica in un dato anno quella distrutta esternamente dalla stessa attività, e che quindi esprime anche il grado di efficienza delle attività economiche nella prevenzione dei danni ambientali”.
“Il primo obiettivo della valutazione dei costi esterni ambientali è proprio quello di misurarli”, aggiunge Donatello Aspromonte, partner di ECBA Project e co-autore dello studio: “Poi ci sono tutte le applicazioni operative, come la politica fiscale in attuazione del principio “chi inquina paga”, la razionalizzazione dei sussidi e degli incentivi o le nuove forme di tariffazione dei trasporti. Ma la più importante è l’autonoma diffusione della valutazione delle esternalità nelle attività di mercato. Oggi valutare i costi esterni ambientali è un’esigenza imprescindibile: per le banche per essere attrattive, per le imprese per rimanere competitive”.
Fonte: La Stampa