C’è qualcosa che non mi convince nella nuova moda mediatica un po’ radical-chic di opporsi al consumo di carne. E provo sempre una certa diffidenza quando vedo o ascolto trasmissioni che scelgono argomenti dall’audience facile come questo. Se non altro perché da un po’ di anni faccio il giornalista, e so bene quanto sia facile cedere alla tentazione di trattare argomenti “che tirano”, focalizzandosi più sugli ascolti, i click e le copie, che sulla notizia in sé.
Per quanto riguarda l’argomento “carne”, ad esempio, negli ultimi anni ho avuto modo di visitare parecchi allevamenti (generalmente senza dargli preavviso). Sarà una coincidenza, sarà che io cercavo informazioni e non uno scoopper sputtanare impunemente un intero settore, ma quello che ho visto non lo vedo mai raccontare dalle trasmissioni televisive del dopocena italiano, o dai/dalle giornalisti/e d’assalto nostrani.
Ho visto aziende zootecniche pulite in modo quasi maniacale (soprattutto quelle più grandi – ossessionate dall’idea di ricevere un controllo, visto che ce ne sono di severi, in Italia). Ho visto con i miei occhi (e aiutato con le mie mani) allevatori che, dopo essersi alzati la notte per accudire una vacca incinta, alla nascita del vitello erano contenti come se gli fosse nato un nipote.
Ma attenzione, quello non era un loro nipote. Sì, perché per quanto si possa amare o rispettare un animale, questo non è un essere umano. Fra le molte persone che si riempiono la bocca della parola “etica” (dimenticando o non vedendo poi centinaia di altre miserie del mondo), o che legittimamente hanno fatto della difesa degli animali la propria ragione di vita (o di guadagno), è diffusa l’idea che un essere umano sia al pari di un animale.
Mi scuserete, spero, ma io non mi sento al pari di un pollo! E nemmeno di una vacca. E per quanto ami il mio cane, questo non è mio figlio. E non lo dico da cattolico o da creazionista, lo dico da essere umano, consapevole dei suoi limiti e delle sue colpe. Nel bene e nel male, l’essere umano è ben diverso dagli altri esseri viventi di questo pianeta. Spesso è più stupido, oltre che più cattivo, perché è l’unico a distruggere l’ambiente in cui vive, l’unico a causare l’estinzione di migliaia di altre specie che vivono insieme a lui sulla Terra, l’unico ad aver colonizzato e “giardinificato” la quasi totalità del pianeta.
Prendo atto di tutte queste cose – per sensibilità personale, e perché da troppo tempo mi occupo di ambiente per non farlo. Allo stesso tempo, però, io non ho mai visto un animale guidare un’auto o progettare un aeroplano, eseguire un’operazione chirurgica o sviluppare una letteratura, una scienza, una filosofia. Tranne che nei cartoni animati.
E proprio qui sta il punto, secondo me. Nella nostra società, troppo ricca nonostante la crisi e con troppo tempo a disposizione per non spendere intere giornate a insultare chi non la pensa come noi su blog e social network, l’approccio di molti è quello da cartone animato: non reale, come può esserlo in un mondo a parte, che però non esiste.
Forse è una delle conseguenze di questa cultura del social network, in cui ormai si è convinti di fare il proprio dovere civico (o etico) cliccando o meno un “like”, in cui si può sfogare la propria frustrazione attraverso commenti astiosi, in cui si può – alla faccia del pluralismo, della comunicazione e della sociabilità – frequentare esclusivamente forum e community in cui leggiamo o ascoltiamo solo ciò che vogliamo noi, senza nessun tipo di vero confronto con chi la pensa diversamente.
Ma di sicuro molte delle persone che si scagliano a priori contro la zootecnia non hanno mai visto un allevamento – tranne che nelle immagini, spesso provenienti da altri continenti, del sito animalista o della trasmissione scandalistica di turno. Sono sicuro che la maggior parte di queste persone non ha mai conosciuto un allevatore, e con lui quello che vive o prova in realtà; non sa come funziona davvero il mondo dei controlli veterinari, e checché ne dica non ha idea di cosa ci sia nel resto del mondo, magari a decine di migliaia di chilometri dal suo salottino comodo e dalla sua tastiera piena di indignazione.
Sono convinto che queste persone non hanno mai visto un villaggio africano o sudamericano, dove un pollo o una vacca (da mangiare, non da coccolare) rappresentano un tale tesoro da farmi sentire irrispettoso nei loro confronti, quando mi metto anche io a filosofeggiare (con la pancia piena)su quanto non sia etico il consumo di carne.
Non sto dicendo che gli allevamenti non abbiano un importante impatto sull’ambiente, da ridurre, o che non esistano situazioni in cui gli animali non vengono rispettati, da eliminare. Ma vorrei che la si smettesse di dare per scontata una serie di cose, come invece tendono a fare tutti coloro che, adesso, mi riempiranno di insulti attraverso i loro commenti (generalmente dei perfetti sconosciuti, perché con i pochi amici vegani che ho riesco ad avere un ottimo dialogo, anche su questi temi – anzi è proprio grazie a loro, se mi pongo certe domande, non all’invasato di turno che mi prende a parolacce).
C’è un mondo che ha sempre più fame di carne, che ci piaccia o no. Tanto vale farsene una ragione, e cercare modi meno impattanti per produrre carne. Perché da una parte i toni aggressivi ed accusatori non portano a nulla, appunto. Dall’altra, su questo pianeta ci sono circa 140 nuovi nati ogni minuto, che avranno fame e che sarà opportuno (etico?) sfamare in modo dignitoso.
Non sarà di certo chiudendoci nel nostro autocompiacimento o mangiando solo insalatina, quinoa e tofu (di cui peraltro conviene non conoscere l’impronta ecologica o il carbon footprint) che cambieremo davvero le cose. Anzi, secondo me anche ostinandosi ad usare per vestirsi materiali sintetici fatti di petroliopotremmo causare molti più problemi (anche a livello etico, oltre che ambientale) che non usando la lana proveniente da una povera pecorella indifesa.
Cerchiamo di avviare un dialogo con chi davvero si occupa della produzione di carne, per far sì che lavori sempre più in direzione del rispetto degli animali e dell’ambiente, invece che convincerci di sapere come funzionano le cose perché si è letto un post su un blog o si è vista l’ennesima trasmissione che denuncia i mali del nostro sistema (senza però fare mai davvero qualcosa affinché le cose cambino davvero, a parte la solita inutile petizione lanciata il giorno prima della messa in onda per farsi pubblicità gratuita on-line).
Dico questo perché se l’esperienza personale e professionale mi ha insegnato qualcosa, in questi ultimi anni, è di fidarmi molto più della gente che lavora, di quella che cerca uno scoop o di fare ascoltia tutti i costi.
Dico così perché, al di là di tutta questa mia manfrina, a me la carne piace. Ne ho ridotto il consumo e sto attento alla sua origine, ma una bella bistecca di manzo, un bel petto di pollo o una bella fetta di prosciutto io di tanto in tanto me li mangio più che volentieri. Per il loro sapore, per le loro proprietà nutrizionali, per tutte le tradizionie le sfumature culturali che si portano dietro, e che mi porto dentro anche io. Ma soprattutto perché mi piacciono, punto.
E sono francamente stufo di dovermi giustificare e di sentirmi accusato o giudicato per questo. Magari proprio da chi mi impartisce lezioni non richieste sull’etica e sul rispetto per gli altri “miei pari”.
Andrea Bertaglio
Fonte: GreenMe.it