Un obiettivo, per la riduzione delle emissioni di Co2 al 2030, decisamente modesto rispetto alla maggior parte delle altre economie avanzate. Ad annunciarlo, il primo ministro Tony Abbott: entro il 2030 l’Australia ridurrà le emissioni di carbonio dal 26 al 28% rispetto ai livelli del 2005.
Insomma, l’Australia fa peggio dell’Europa, ma meglio di Giappone, Corea e Cina, come ha evidenziato lo stesso Abbott che ha parlato di “un target solido, economicamente responsabile ed ecologicamente sostenibile”.
Eppure, l’obiettivo del governo australiano post-2020 è ben al di sotto di quanto, secondo la maggior parte degli esperti in materia di clima, sarebbe necessario fare per limitare il riscaldamento globale entro i 2°C al di sopra dei livelli pre-industriali.
Un obiettivo, quello australiano, che contrasta con quanto richiesto sia dall’Autorità del Governo per i Cambiamenti Climatici (che aveva raccomandato entro il 2030 un taglio dal 40 al 60% rispetto ai livelli del 2000) sia dal Climate Institute (-45% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2025).
Per fare qualche paragone con altri target di riduzione, basta pensare che l’Unione europea punta a una riduzione di 40% delle emissioni, rispetto ai livelli del 1990, entro il 2030; gli Stati Uniti hanno fissato un obiettivo tra il 26 e il 28% rispetto ai livelli del 2005, entro il 2025; la Cina punta a ridurre le emissioni per unità di prodotto interno lordo dal 60 al 65% rispetto ai livelli del 2005, entro il 2030; il Giappone ha fissato un obiettivo del 25% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030; il Canada, -30% entro il 2030.
Secondo il Climate Institute, l’Australia è responsabile per l’1,4% delle emissioni globali, ma ha la più alta percentuale di emissioni pro capite nei Paesi Ocse, principalmente a causa della dipendenza energetica del Paese dal carbone.
Fonte: Adnkronos.com