Recupero dei semi, autoconsumo e antica sapienza contadina. Questi sono alcuni tra i pilastri dell’associazione Asci Piemonte, che promuove una realtà agricola che parte dalla Terra, dalle attese della maturazione e dal rispetto delle biodiversità.
Quello che cercano e per cui lavorano è un’agricoltura contadina, una rinascita della campagna, il recupero delle conoscenze che, come dicono loro, permettono a chi lavora la terra di “autodifendersi” da pesticidi e sostanze chimiche tossiche perchè ci sono altre strade e quelle strade, amiche della natura, vanno percorse. L’Asci è un movimento nazionale, Associazione Solidarietà Campagna Italiana, che conta diverse sezioni, quelle con grande esperienza alle spalle sono in Liguria, Piemonte e Toscana. A spiegare cosa significa scegliere l’amore per la terra è Luca Ferrero, presidente di Asci Piemonte.
Com’è nata l’associazione e quali scopi si prefigge?
«È un’Associazione fondata da quasi vent’anni che si propone principalmente di sostenere un’agricoltura contadina su piccola scala, senza chimica di sintesi né ogm, a favore dell’autoproduzione delle sementi, dell’autoconsumo e dello scambio. I nostri propositi sono quelli di salvare piante e vecchie varietà di semi, anche grazie a iniziative e incontri quali la “Babele di Semi”. Promuoviamo, inoltre, una politica che favorisca un’agricoltura e un commercio di prossimità e la vendita diretta, organizzando, tra le altre cose i mercati “Oltre Mercato”. Tutto questo ci permette di sostenere le piccole realtà contadine e incentivare il ritorno alla Terra in contrapposizione alle multinazionali dell’agricoltura e dell’alimentazione industriale. All’inizio del 2010 ci siamo riorganizzati su base federativa soprattutto grazie al lavoro fatto nel tempo con i mercati biologici autogestiti. Abbiamo raccolto un centinaio di esperienze di contadini, artigiani e solidali che direttamente, o indirettamente, contribuiscono alle attività dell’Associazione, quali i mercati, i momenti di formazione, il trimestrale “Il Pagliaio” e gli incontri pubblici legati all’agricoltura contadina».
Riuscite a mobilitare molti agricoltori e appassionati?
«Asci Piemonte coinvolge principalmente contadini ed artigiani, complessivamente un centinaio di realtà tra aziende agricole, artigiani ed individualità, tutti su un piano solidaristico, a cui è chiesto un impegno gratuito per il funzionamento dell’associazione. Non sono esclusi consumatori o appassionati di agricoltura che ne condividono i principi: dalla messa in discussione dell’agroindustria, all’utilizzo della chimica di sintesi anche su piccola scala, favorendo invece delle attività rurali per autoconsumo».
Come è possibile partecipare ai vostri mercati? Su che principi vertono?
«I nostri mercati e fiere sono aperti a tutti coloro che condividono i nostri principi e per parteciparvi è richiesta la compilazione dell’autocertificazione. I mercati dell’Asci cercano di essere, oltre che un luogo di vendita, una piattaforma d’incontro tra realtà rurali e consumatori. Riteniamo che lo spazio fisico più idoneo per ospitare questo incontro sia la città dove è possibile condividere e progettare iniziative di opposizione ad un modello agroindustriale devastante per l’ambiente e per la qualità del cibo che ormai troviamo nelle nostre tavole. I luoghi più indicati a questo fine sono certamente le piazze centrali, come d’altro canto è abitudine nella storia dei mercati, dove si incontra una pluralità di persone e idee, e diventa interessante in quella pluralità portare le nostre in particolar modo attraverso la pratica dell’esperienza contadina che con le sue consuetudini insegna pazienza e rispetto».
L’Asci promuove tra le altre cose l’autocertificazione del metodo di coltivazione, di cosa si tratta?
«L’autocertificazione vede nei valori di ordine etico, sociale ed ecologico la parte più importante: dalla conduzione familiare al limitato ricorso alla meccanizzazione, al rifiuto totale della chimica di sintesi e degli ogm, fino alla valorizzazione di un’economia basata sull’autoconsumo, sullo scambio, sulla solidarietà e sulla vendita diretta. L’idea è stata presentata prima di tutto alle piccole realtà rurali; è un valido strumento che permette all’azienda di autocertificare il proprio metodo di produzione agricolo e le lascia la libertà di poter dichiarare come opera senza oneri di carattere burocratico o economico, sapendo che ne va anche della sua dignità. Semmai sia l’agricoltura industriale a certificare la sua lunga e complessa filiera di produzione, quale essa sia. L’autocertificazione punta a un recupero fiduciario tra produttore e consumatore, per l’Asci valore fondamentale, che viene concretizzato attraverso moduli, da compilarsi assumendosene la responsabilità individuale, minuziosamente e sufficientemente approfonditi nei punti che affrontano il metodo di produzione. Sono stati molti i consumatori, principalmente referenti di GAS, che hanno sottolineato di essere disposti a riconoscere un valore aggiunto a una produzione agroecologica autocertificata affinchè il produttore non debba passare sotto le forche caudine della burocrazia ed ancor peggio dell’interesse economico degli enti certificatori, quali essi siano».
Avete organizzato l’evento “Una Babele di Semi”, sostenendo lo scambio, il recupero dei semi che garantiscono la biodiversità. A che edizione è giunta? In merito a cosa e chi volente sensibilizzare grazie a quest’evento?
«“Una Babele di semi” è, in pratica, una giornata di libero scambio di semi, marze, pasta madre, bulbi e saperi, è una festa all’insegna dell’autonomia alimentare e in dichiarata opposizione alle multinazionali del seme che vorrebbero il brevetto sul vivente. E’ un luogo d’incontro dove concretamente circola materiale vegetale autoprodotto e dove quindi il folclore legato al mondo contadino viene lasciato fuori dalla porta. Banchetti con semi da scambiare, laboratori di formazione ogni anno su un tema specifico, laboratorio culinario, sono i cardini su cui si sviluppa la giornata indirizzata soprattutto ai contadini ma, comunque, aperta a tutti. La quinta edizione di Una Babele di Semi sarà domenica 31 gennaio 2016 presso la Cascina Roccafranca a Torino. Come prima cosa i semi devono essere autoprodotti, ciò che è portato e scambiato deve essere di propria produzione o del gruppo dentro il quale si lavora, senza alcun utilizzo di chimica di sintesi. L’atto dello scambio si deve svolgere in termini di reciprocità, possibilmente tra elementi della stessa natura (seme per seme, pasta madre per pasta madre…ecc.) e la quantità di ciò che si scambia deve essere ridotta. Tutto ciò ne fa assumere più valore incentivandone la riproduzione, in loco, e favorendo la conoscenza delle caratteristiche e delle migliori modalità di coltivazione. E’ importante fornire informazioni su ciò che si scambia al fine di valorizzare la biodiversità agricola, a partire dalle vecchie semenze, per approdare a semenze migliorate e ambientate al luogo, fornendo una semplice ma precisa scheda del seme, che possa anche essere uno strumento di guida per i neofiti. Le varietà sono di dominio pubblico».
Tra i diversi scopi vi prefiggete di coltivare senza chimica di sintesi e con un impatto ambientale il più basso possibile: semina manuale e trazione animale. Parlane un po’..
«Siamo giunti al quarto anno di semina del grano Gentilrosso in un percorso che si prefigge di recuperare tutto quel fare contadino accantonato nel nome del progresso, dell’agroindustria e della produttività. Probabilmente, dal dopoguerra in poi, si è corso troppo e male, perdendo importanti usanze e consuetudini dell’agricoltura italiana. Ad oggi, forse, non tutto è recuperabile, ma è doveroso fare un tentativo verso la rivalorizzazione di tradizioni storiche che avevano come punto cardine il rispetto per l’Ecosistema in tutte le sue componenti. Abbiamo visto che alcuni passaggi si possono fare con un impatto ambientale più basso rispetto a modalità convenzionali. Inoltre, ai fini di autoconsumo e di agricoltura contadina, alcune lavorazioni abbandonate da tempo, come quella del grano e della soia, possono essere recuperare anche grazie al riutilizzo di vecchi macchinari o l’invenzione di nuovi e alla riscoperta di saperi che per troppo tempo sono stati relegati nei libri o negli slogan».
Tra i vostri progetti troviamo il recupero della soia, di cosa si tratta?
«La soia ha caratteristiche particolari che vengono utilizzate sia per l’alimentazione umana che quella animale. Ci interessa lavorare su un progetto che affronti la coltivazione e l’utilizzo della soia in agricoltura contadina senza veleni e naturalmente non Ogm (la maggior parte della soia oggi utilizzato per uso animale è importata ed è Ogm). Anche qui ci interressa praticare all’interno delle nostre realtà rurali. Con questo fine, attraverso la Rete Semi Rurali, la Reseau Semences Paysannes e l’Università di Udine, abbiamo recuperato quatto tipi di soia di una popolazione francese con bassi fattori antinutrizionali. Si tratta di sperimentare una filiera breve in cui l’Asci, con alcune piccole Aziende Agricole, valorizza questi semi: dalla riproduzione, all’utilizzo in azienda per alimentare animali, in un’ottica di agricoltura contadina. Inoltre con la soia è possibile effettuare una buona coltivazione nella rotazione con il grano, ed anche questo aspetto è importante per noi inserendola nella nostra filiera di grano Gentilrosso».