In Salento prende corpo una nuova forma di “land grabbing” che ha il nome di un insetto: Xylella Fastidiosa. Per questo parassita hanno scomodato un Commissario Straordinario, un pool di scienziati e la Comunità Europea. Per un esserino minuscolo, presunto colpevole del disseccamento rapido degli ulivi e della cui patogenicità non ci sono prove evidenti e ancor meno certe, stanno eradicando migliaia di alberi, molti secolari, e hanno imposto misure emergenziali che prevedono l’uso indiscriminato di dannosissimi fitofarmaci. Basta andare nelle sole campagne di Gallipoli e a pochi chilometri da un mare caldo e limpido per rendersi conto, intuitivamente, del motivo principale: gli ulivi devono far posto a villaggi turistici, discoteche, colture intensive a basso costo.
Per rendere possibile la distruzione di intere piantagioni, Regione e Stato hanno usato la mano pesante. Le eradicazioni sono state compiute con la forza, talvolta poco prima dell’alba, per evitare che i proprietari si opponessero con gli adeguati ricorsi amministrativi, bloccando strade e utilizzando addirittura reparti antisommossa, com’è successo ad Oria, nel brindisino, il 7 luglio scorso. In Italia, non in Africa Occidentale.
Per “sollecitare” l’adesione degli agricoltori alle misure d’emergenza ed evitare problemi di ordine pubblico, i soliti trenta denari: da 98 a 146 euro a pianta per chi provvede autonomamente all’abbattimento, contro sanzioni amministrative fino a 3000 euro per chi, invece, rifiuta. E per rendere ancora più osceno il massacro del patrimonio verde ed economico pugliese, il cosiddetto Piano Silletti e il Piano Silletti bis – messi a punto per risolvere l’emergenza Xylella – hanno reso obbligatorio, ad espianto avvenuto, l’uso di fitofarmaci alcuni dei quali a base di un principio attivo ormai tristemente noto per i suoi effetti devastanti: il glifosato.
Basta ascoltare le parole, chiarissime, di Agostino Di Ciaula, coordinatore nazionale del Comitato scientifico dell’Isde (Medici per l’ambiente), per comprendere le ricadute sulla salute dell’uso quotidiano di pesticidi e diserbanti in agricoltura industriale e dell’uso massiccio che si dovrà farne – a livello locale – a seguito dell’eradicazione degli ulivi salentini, in una regione che detiene circa il 40% della produzione nazionale di olio e che già registra una contrazione del 35% delle vendite previste per il 2014/2015.
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Eppure è lì, proprio in Puglia, di fronte ad uno scempio senza precedenti, tra le lacrime di attivisti ed agricoltori che fanno scudo con il proprio corpo agli ulivi padroni dei boschi, e che non comprendono come sia possibile una così grave mancanza d’amore verso ciò che ha generato la bellezza più caratteristica di un’intera regione, che si elaborano nuove idee e nuove forme di pacifica opposizione.
Durante un convegno molto partecipato del 22 ottobre scorso a Gallipoli, organizzato da Luigi Russo del Csv Salento e altre associazioni territoriali, sono emersi interessanti suggerimenti volti a rallentare le assurde pretese di uno scellerato piano emergenziale e a dare il via, per la prima volta, a nuove prospettive in campo legislativo e sul piano dell’informazione. Il professor Gilles-Eric Seralini, francese (fra gli scienziati maggiormente accreditati per gli studi sulla relazione di causa-effetto tra uso di fitofarmaci e malattie tumorali) ritiene che se la legge obbliga gli ulivicoltori pugliesi a irrorare con pesticidi le piante prima e dopo l’espianto, dev’esserci anche da parte delle istituzioni l’obbligo a certificare che i fitofarmaci non siano dannosi. Una certificazione, è chiaro, impossibile da produrre se lo Iarc (International Agency for Research on Cancer) ha di recente inserito nel gruppo 2A (sostanze probabilmente cancerogene) tre principi attivi comunemente usati nella produzione industriale di fitofarmaci: malathion, diazinon e glifosato. Certificazione anche più impossibile da produrre se pensiamo che il principio attivo, in un fitofarmaco, si accompagna ad adiuvanti derivati dal petrolio già in sé potentemente nocivi.
In questo modo – ribadisce Seralini – non solo si ostacoleranno le procedure di avvelenamento, combattendo un’evidente ingiustizia a colpi di documenti e raccomandate, ma si potrà creare un modello di partecipazione dal basso a tutto vantaggio della democrazia e della verità. E su questo percorso così tracciato, si inseriscono altre due interessanti proposte: una capillare campagna informativa sui danni provocati dai pesticidi e la presentazione di una legge popolare “Puglia Pesticidi Free” da far approvare entro questa legislatura.
Questo percorso si inserisce perfettamente in quello tracciato da alcune organizzazioni (Aiab – Associazione italiana agricoltura biologica; Firab – Federazione italiana per la Ricerca in Agricoltura biologica e biodinamica; Associazione biodinamica italiana; Federbio; Movimento della Decrescita Felice) che con il manifesto “Stop Glifosato” chiedono al governo italiano di colmare il vuoto normativo lasciato dall’UE: di fermare, cioè, la produzione di glifosato e “alle Regioni di rimuovere il prodotto da tutti i disciplinari di produzione che lo contengono”.
In Puglia, siamo però ben oltre l’uso standard di pesticidi mortali: siamo davanti ad una futura e non quantificabile degenerazione delle condizioni di salute di una regione intera se si pensa di risolvere il problema Xylella – un evidente pretesto per accaparrarsi con l’inganno vasti terreni utili all’edificazione selvaggia – con eradicazioni spietate e l’uso di agenti velenosi per le coltivazioni e per gli essere umani.
Miriam Corongiu