La forza rivoluzionaria della spiritualità nella società materialista e consumista

da | 17 Feb 2016

Pubblico un Estratto dal libro Destra e sinistra addio, Lindau, Torino 2016, pagg. 198 – 203

Il denaro può essere considerato il fondamento del sistema dei valori soltanto da persone che hanno smarrito la dimensione spirituale e non riescono a vedere nella vita altra prospettiva dalla soddisfazione delle esigenze materiali, che accomunano gli esseri umani alle altre specie animali, con similitudini sostanziali nella classe dei mammiferi a cui essi appartengono. La spiritualità è una dimensione esistenziale esclusivamente umana, caratterizzata da pulsioni, riflessioni, sentimenti, slanci e desideri razionalmente incomprensibili, che non attengono alla sopravvivenza degli individui e della specie. È la sfera in cui si manifesta l’etica e la facoltà di pensare. La spiritualità consente agli esseri umani di sviluppare la consapevolezza delle relazioni e delle interdipendenze che li connettono a tutte le altre forme di vita. Questa consapevolezza, che può essere più o meno sostenuta razionalmente, o più o meno istintiva, è il presupposto che può indurre ad agire per evitare che se ne sbrindelli la trama. La spiritualità si manifesta ai livelli più alti nei rapporti fondati sull’amore, un’intimità reciproca, una condivisione di scelte esistenziali così profonda che travalica la razionalità e si realizza col dono incondizionato del proprio tempo e delle proprie capacità alle persone amate. Un dono gratuito, che non prevede restituzioni e può assumere forme diverse senza mutare la sua sostanza. È il rapporto tra genitori e figli, tra amanti, tra persone appartenenti a una stessa comunità religiosa. È la pulsione interiore che induce a dedicare la propria vita ad alleviare le sofferenze di coloro che sono stati colpiti con particolare durezza nella psiche, nel corpo, dalle vicende della vita, da sofferenze causate dalle condizioni di deprivazione affettiva o di miseria materiale in cui sono cresciute. È la motivazione che induce il contadino anziano a piantare alberi di cui non mangerà i frutti, memore di aver mangiato da bambino i frutti di alberi piantati da chi sapeva che non ne avrebbe mangiati. Il dono gratuito e incondizionato del tempo, che sostanzia i legami interpersonali fondati sull’amore, veniva indicato in latino con la parola donum. Oltre che con questo tipo di dono, gli esseri umani possono rafforzare le connessioni che definiscono il loro essere come con-essere, per riprendere una  definizione di Alessandro Pertosa (nel libroDall’economia all’euteleia. Scintille di decrescita e di anarchia, Edizioni per la decrescita felice, Roma 2014), instaurando tra loro rapporti di scambio basati su un dono del tempo che implica la restituzione, non immediata né scadenzata, né quantificata rigorosamente, basata sulla fiducia reciproca. In latino questo tipo di dono veniva definito munus. Sul dono del tempo che implica la restituzione si fondano i rapporti comunitari, ovvero i legami sociali tra nuclei di persone che si conoscono, vivono in uno spazio territoriale delimitato, generalmente un paese, e si scambiano vicendevolmente lavori e servizi senza la mediazione del denaro. Mentre gli scambi mediati dal denaro sono impersonali e implicano una competizione tra i contraenti – chi vende punta a ricavare la somma più alta possibile, mentre chi compra tende a spuntare il prezzo più basso – gli scambi basati sul dono reciproco del tempo implicano la condivisione e la solidarietà. Se uno dei contraenti non rispetta la regola implicita del controdono, rompe il rapporto di fiducia e si autoesclude dai legami comunitari. Benché non siano mai stati codificati formalmente, i rapporti comunitari fondati sul munus, presentano le stesse caratteristiche di solidarietà in tutti i luoghi del mondo e in tutte le epoche storiche. E presentano anche le stesse forme di deviazione, consistenti nella possibilità di utilizzare il dono come strumento di dominio da parte di chi è in grado di fare e fa doni così grandi che non possono essere restituiti da chi li riceve. Tuttavia deviazioni di questo tipo si possono realizzare solo in presenza di grandi diseguaglianze, che costituiscono di per sé un impedimento sostanziale alla realizzazione di rapporti autenticamente comunitari. Oltre l’ambito degli scambi interpersonali che avvengono nel quotidiano, in alcune scadenze con una forte connotazione simbolica per la vita delle comunità, il munus assume connotazioni corali, presentandosi sotto la forma di una solidarietà collettiva che coinvolge non solo i rapporti degli esseri umani tra loro, ma anche con i luoghi del mondo in cui vivono e da cui traggono ciò di cui hanno bisogno per vivere. Si pensi ai momenti della vita contadina tradizionale in cui si raccoglievano i frutti del lavoro e dell’attesa di un anno: la mietitura del grano, la trebbiatura e la vendemmia, in cui tutte le famiglie a turno si aiutavano vicendevolmente. Momenti di solidarietà e di festa che sono finiti quando l’economia del dono è stata sostituita dalla mercificazione e i raccolti sono stati effettuati da persone pagate per farlo: contoterzisti, braccianti e giornalieri.

Mentre le relazioni fondate sul munus sono inevitabilmente limitate al momento in cui avvengono, le relazioni fondate sul donum sono in grado di superare i limiti spazio-temporali che connotano la condizione umana e di creare legami tra le generazioni attraverso l’arte. Le opere d’arte, in tutte le loro forme – musica, pittura, scultura, architettura, letteratura – sono lasciti di bellezza e di armonia aggiunte dagli esseri umani alla bellezza e all’armonia originarie del mondo, arricchiti da ogni generazione e tramandati sotto forma di dono inevitabilmente gratuito alle generazioni successive, fino a quando la modernità ha trasformato l’arte da dono in merce, sottoponendola, come tutte le merci, alle regole della pubblicità, del prezzo, del profitto e della deperibilità.

La spiritualità non coincide con la fede, ma ne è il presupposto. La fede è la manifestazione della spiritualità di chi crede in qualcosa che non è dimostrabile razionalmente. «Fede è sustanza di cose sperate / e argomento delle non parventi», ha scritto Dante nel canto XXII del Paradiso, ai versi 64-65. La spiritualità si manifesta anche senza la fede, ma senza spiritualità non c’è fede e la religione diventa un guscio vuoto, privo di vita. Oppure uno strumento di potere utilizzato per dominare e condizionare i comportamenti delle persone più deboli.

Chi mantiene viva la sua spiritualità non può condividere i valori di un sistema economico e produttivo fondato su un antropocentrismo devastante nei confronti degli ambienti, violento nei confronti di tutti gli altri viventi, ingiusto nei confronti dei popoli poveri e delle generazioni future. La spiritualità è la forza più grande che si possa contrapporre alle iniquità generate da questo sistema. Il recupero della spiritualità in una società che tende ad annullarla per concentrare ogni interesse sugli aspetti materiali della vita, è una metanoia, un cambiamento del modo di pensare e del sistema dei valori, una liberazione interiore dai condizionamenti che inducono a credere che il fine dell’economia sia la crescita della produzione di merci e il senso della vita si identifichi col potere d’acquisto e col possesso di cose. Riducendo l’importanza del denaro e valorizzando le relazioni umane fondate sul dono incondizionato che caratterizza i rapporti d’amore e sul dono che implica la reciprocità, la spiritualità smonta i pilastri su cui il modo di produzione industriale ha omologato i pensieri e le aspirazioni degli esseri umani per rendere i loro comportamenti funzionali al raggiungimento dei suoi fini. È una scelta esistenziale che nella vita quotidiana assume la connotazione della disobbedienza civile, perché induce a non lasciarsi irretire dalle sirene del consumismo, ma a dedicare più tempo agli affetti che al lavoro, a leggere un libro, ad ascoltare un brano musicale, a visitare un museo invece di lasciarsi ipnotizzare dagli spettacoli d’intrattenimento. Perché induce a comprare poco senza pensare che si stia rinunciando a qualcosa. Comprare poco è una rinuncia solo per chi crede che il senso della vita sia comprare sempre di più. In realtà è una scelta liberatoria, che affranca dallo stato di insoddisfazione permanente cui si condanna chi ripone le sue aspettative di realizzazione umana nell’acquisto di cose, perché inevitabilmente le economie finalizzate alla crescita immettono in continuazione sui mercati cose nuove per non dare mai tregua al desiderio di acquistarle, consentendo di appagarlo solo nel breve intervallo di tempo necessario a mantenerlo vivo. E quel breve intervallo di tempo in cui il desiderio di acquistare viene appagato provvisoriamente dall’acquisto, non è nemmeno sereno perché, se si crede che il benessere consista nel possesso di cose, non si può evitare che venga corroso dal confronto con chi ne possiede di più. Solo un cambiamento del sistema dei valori consente di capire a quale mortificazione della propria umanità si condanni chi, lasciandosi irretire dalle sirene del consumismo smarrisce la propria spiritualità, a quale vuoto esistenziale sia destinato chi non percependo che il suo essere è costituito dal tessuto delle relazioni che lo connettono agli altri esseri viventi, non conosce più la solidarietà: non è capace a darne e non ne riceve.

Fonte: www.mauriziopallante.it