Lo sguardo della “prosperanza”

da | 4 Mar 2016

La “prosperanza” è l’unione fra prosperità e speranza. Più volte ho scritto della necessità di fare un salto etico da un piano ideologico sbagliato, poiché dannoso, a un nuovo piano sostenibile e solidale costruito all’interno della bioeconomia poiché ci consente di compiere un’evoluzione sociale, non più procrastinabile.

Nella misura in cui si esce dal capitalismo mercantile dovrebbe apparire chiaro che gli indicatori economici più usati per osservare e giudicare la società non servono più, ma sono necessarie altre dimensioni. Queste nuove dimensioni già esistono ma non sono divulgate dal mainstream poiché non rappresentano gli interessi dell’élite finanziaria che indirizza la nostra società. Ad esempio, il BES (Benessere Equo e Sostenibile) introdotto dall’ISTAT, è ancora in una fase di sperimentazione e adesione degli Enti locali, e così il fuorviante PIL resta l’indicatore prevalente.

Mutando i nostri valori di riferimento possiamo concentrare la nostra attenzione su dimensioni e indicatori che migliorano la nostra qualità di vita: salute; istruzione e formazione; lavoro e conciliazione tempi di vita; benessere economico; relazioni sociali; politica e istituzioni; sicurezza; benessere soggettivo; ambiente; ricerca e innovazione; qualità dei servizi. Oggi tutte queste dimensioni sono condizionate negativamente dai paradigmi sbagliati poiché ogni cosa, all’interno dell’economia, è misurata come merce, e se tutto è merce, l’accesso a tali servizi è possibile solo se sono comprati e venduti con la moneta. La vera povertà è commisurata alla possibilità di accedere a tali servizi.

Prima dell’invenzione dell’economia gli abitanti riuniti in comunità avevano l’opportunità di accedere ai bisogni reali, poiché attraverso le conoscenze e lo spirito cooperativo riuscivano a sfruttare la natura in maniera soddisfacente, e offrivano loro stessi i servizi che ritenevano di realizzare e distribuire. Nella società moderna si è sviluppato e consolidato l’individualismo poiché si è ritenuto che ognuno potesse accedere a quegli stessi servizi anche in maniera solitaria, ma attraverso il mercato, cioè comprando ogni cosa. E’ stata la dissoluzione del senso di comunità, cioè la distruzione della convivialità e della reciprocità e l’apertura al mondo nichilista e alienato. Oggi siamo a un bivio, grazie all’implosione del capitalismo mercantile evolutosi in modello finanziario accade che anche le relazioni mercantili non trovano più sostegno per il prolungamento della recessione. L’erosione del sistema alimenta problemi: sociali, occupazionali, ambientali e di migrazioni di massa.

Possiamo fare tante piccole cose ma determinanti per riprenderci libertà e dignità. Attraverso le nostre relazioni possiamo ridurre la dimensione del mercato e ampliare quella della comunità. All’interno del mercato compriamo tutto, mentre nella comunità auto produciamo ciò che ci serve senza spendere. In questo modo abbiamo un risparmio monetario e un guadagno di beni che non sono merci, ma miglioriamo la nostra qualità di vita. Possiamo rivalutare la cultura contadina disprezzata dalla modernità nichilista, cioè la cultura di chi sa auto produrre e barattare le eccedenze. Sfruttando le norme sui cosiddetti usi civici possiamo chiedere gratuitamente, al nostro Comune, l’uso di spazi pubblici inutilizzati per auto produrre cibo al di fuori delle logiche mercantili, e consentire a diversi nuclei familiari di accedere a beni di prima necessità. Persino un’Amministrazione illuminata potrebbe suggerire tale opportunità. Il vantaggio straordinario di quest’approccio non è solo economico ma anche sociale, poiché si avviano nuove relazioni amicali e conviviali che ci consentono di ricostruire quel senso di comunità distrutto dalla religione neoliberista. L’antidoto per riprenderci la capacità di vivere in una società profondamente malata è dentro di noi, ma si sviluppa avviando la ricostruzione di comunità sostenibili attraverso i nostri comportamenti, attraverso l’esempio. Ecco la “prosperanza” poiché iniziando ad auto produrre ciò che possiamo, cominciamo ad accedere a quelle dimensioni, sopra citate, senza entrare nel cosiddetto “libero mercato”. In questo modo il PIL non crescerà ma senza dubbio crescerà la nostra qualità di vita, e sicuramente attraverso l’auto produzione di cibo migliorano salute, conciliazione coi tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, benessere soggettivo e ambiente.

E’ giunto il momento di costruire cluster[1] del cambio di paradigma culturale. Bisogna costruire luoghi fisici ove il mondo e le comunità dell’auto produzione e della sostenibilità possano incontrarsi quando lo desiderano. Bisogna realizzare spazi per favorire il dialogo e l’incontro volto a realizzare imprese e impieghi utili per rigenerare i nostri stessi luoghi, e consumare beni e merci secondo regole etiche che riconoscono il valore della sovranità alimentare. Bisogna realizzare luoghi per favorire il consumo di beni e merci dei bio distretti.

Da questa semplice esperienza è possibile costruire un vero e proprio cambio radicale poiché i legami relazioni sono la forza per costruire progetti più ambizioni per tendere anche all’auto sufficienza energetica.

L’unico ostacolo alla prosperanza duratura nel tempo sopra accennata è il superamento di una cultura sbagliata, e tutt’oggi esiste e resiste poiché è presente in tutti gli ambiti della società, dalla scuola all’università. Oggi è l’implosione del capitalismo che mostra alle classe dirigenti quanto sia sbagliato l’obsoleto pensiero dominate, mentre associazioni come MDF ed altre ancora hanno la capacità di una visione politica lungimirante e prosperosa. E’ necessario rimuovere l’analfabetismo funzionale e di ritorno in maniera tale di operare una trasformazione del pensiero. Giunti alla trasformazione, per costruire i cluster del cambio dei paradigmi culturali è necessario aggregare finanziamenti pubblici e privati intorno a progetti sostenibili.


[1] Nell’ambito scientifico, con il termine cluster si intende un gruppo di unità simili o vicine tra loro, dal punto di vista della posizione o della composizione. Nell’ambito urbanistico il cluster è l’aggregazione di varie attività in un unico edificio o zona territoriale che lavorano insieme verso un obiettivo comune.

Fonte: Peppe Carpentieri – https://peppecarpentieri.wordpress.com/2015/09/07/lo-sguardo-della-prosperanza/