Castoriadis per la decrescita

da | 16 Mag 2016

«Dovremmo volere una società in cui i valori economici non siano più centrali (o unici), in cui l’economia sia rimessa al suo posto come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo, in cui dunque si rinunci alla corsa folle verso un consumo sempre maggiore. Questo è necessario non solo per evitare la distruzione definitiva dell’ambiente terrestre, ma anche e soprattutto per uscire dalla miseria psichica e morale degli umani contemporanei»
Cornelius Castoriadis 
Sono molti i punti del pensiero di Cornelius Castoriadis che si avvicinano a quello degli obiettori di crescita. Primo fra tutti, il suo netto rifiuto dell’ideologia della crescita come unico mezzo di un sistema “che pretende di essere inevitabile o addirittura il migliore dei sistemi possibili”, parole sue. Afferma ancora con chiarezza che “non vogliamo un’espansione illimitata e non ponderata della produzione, vogliamo un’economia che sia un mezzo e non il fine della vita umana”, mentre “vogliamo una libera espansione del sapere ma accompagnata da phronesis”, termine che possiamo tradurre con saggezza.
Per Castoriadis la questione di una vera democrazia è fondamentale, e una tale democrazia può essere soltanto una democrazia diretta, in cui il cittadino abbia gli strumenti per partecipare e decidere responsabilmente. La democrazia rappresentativa non può servire a condurre il cambiamento di cui parla, perché il potere decisionale viene tolto dalle mani dei cittadini per essere affidato a dei rappresentanti che non fanno altro che pensare a consolidare la propria posizione di privilegio e a creare le condizioni favorevoli per mantenerla nel tempo. Usando le sue parole, “abbiamo bisogno di una vera democrazia, che instauri nel modo più largo possibile processi di riflessione e deliberazione, a cui partecipino tutti i cittadini. Questo, a sua volta, è possibile solo se i cittadini dispongono di una vera informazione, di occasioni per esercitare nella pratica il loro giudizio”. La società dell’autonomia consiste nell’essere in grado di darsi le regole da rispettare, ma soprattutto nella consapevolezza della propria autodeterminazione, si caratterizza cioè “per la capacità di riconoscersi come fonte di forme nuove”. Questo tipo di visione di società non può che essere il fondamento su cui costruire una società della decrescita.
Altro punto che avvicina molto Castoriadis al movimento culturale della decrescita è il superamento delle ideologie dello scorso secolo e la capacità culturale di andare oltre alle divisioni partitiche; in particolare sul ruolo del soggetto rivoluzionario Castoriadis scrive: “non si può più dire che il proletariato abbia storicamente il compito della trasformazione della società. La trasformazione della società esige la partecipazione di tutta la popolazione, e tutta la popolazione può essere resa sensibile a tale esigenza – a eccezione forse di un 3-5 per cento di individui inconvertibili”. Il cambiamento della società non è affidato a una classe sociale specifica, ma è necessario che ogni singolo individuo sia partecipe e attivo, andando oltre la logica del partito politico delimitato da un programma politico e da una ideologia, mettendo al centro invece una nuova visione culturale che sia in grado di realizzare una rivoluzione concreta: “non si chiede agli ecologisti di costituirsi in un partito; gli si chiede di vedere con chiarezza quanto le loro posizioni mettano in discussione, giustamente, l’insieme della civiltà contemporanea e che ciò che sta loro a cuore è possibile solo al prezzo di una trasformazione radicale della società”.
Proclamando questo suo messaggio utopico, Castoriadis è consapevole della contraddizioni in termini di tutte le rivoluzioni fino ad oggi sperimentate dall’uomo che, alla fine del loro corso, solitamente finiscono per restaurare automaticamente lo stato di partenza (un po’ come ricorda il termine stesso “rivoluzione”, come qualcosa che si rivolta, ritornando su se stesso). È consapevole perciò che il cambiamento di cui abbiamo bisogno in questa epoca deve essere netto e che debba trattarsi di un movimento di trasformazione della società che non potrà poggiarsi sulle sue fondamenta ma che avrà bisogno di presupposti nuovi e indipendenti: “Qualsiasi movimento parziale non solo può essere recuperato dal sistema ma, finché il sistema non è abolito, contribuisce in qualche modo alla continuazione del suo funzionamento. L’ho potuto dimostrare, già da tempo, sull’esempio delle lotte operaie. Nonostante tutto, il capitalismo ha potuto funzionare non malgrado le classi operaie, ma grazie ad esse”.