«Non è la felicità che conta? Non è per la felicità che si fa la rivoluzione? La condizione contadina e sottoproletaria sapeva esprimere, nelle persone che la vivevano, una certa felicità “reale”. Oggi, questa felicità – con lo Sviluppo – è andata perduta»
Pier Paolo Pasolini
Tra “I precursori della decrescita” di Serge Latouche (collana edita da Jaca Book nella sua versione italiana) spicca sicuramente il nome del poeta italiano Pier Paolo Pasolini. Piero Bevilacqua, a cui è affidato questo volume della collana, traccia il profilo del Pasolini come uno dei principali critici della modernità, nonché unico poeta del Novecento che “si eriga a negatore dei convincimenti dominanti della propria epoca”. E nel fare ciò, lo paragona, con la dovuta cautela, all’altro grande poeta italiano che si è distinto anche per il suo essere “superbo critico e derisore delle illusioni trionfalistiche del suo tempo”, ovvero Giacomo Leopardi che vive nel secolo in cui nasce di fatto l’idea di Progresso, alimentata energicamente dall’ottimismo cieco per le innovazioni tecnologiche, sempre migliori e sempre più veloci.
Il primo Pasolini, tuttavia, pur criticando pesantemente il fenomeno dell’avanzare incontrastato della modernità e denunciando le trasformazioni che questo fenomeno inevitabilmente induce sulla società e sull’ambiente, “rimane a lungo impigliato nella sua vocazione progressista”. “Deve volere l’avanzata sociale dei lavoratori, ma è costretto a rilevare che quel processo si incarna in fenomeni di decadimento antropologico del mondo da lui amato, di svuotamento di moralità e significato della vita stessa”.
Solo più tardi si nota una posizione radicale e irremovibile, “e perciò più coerente”. In un’intervista del 1975, poco prima della sua morte, afferma chiaramente questa sua netta presa di coscienza:
“Il rifiuto è sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali, i pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali. Il rifiuto per funzionare deve essere grande non piccolo, totale, non su questo o quel punto, “assurdo”, non di buon senso.”
Pasolini era giunto a comprendere a fondo il meccanismo che si nasconde dietro al velo di razionalità e di buon senso di cui è ricoperta la società dei consumi, la quale al suo interno nasconde degrado e distruzione che col passare del tempo diventano sempre più evidenti e più difficili da mascherare nella cornice di ridente ottimismo e effimero edonismo. Il poeta capisce come il sistema si sia imposto con la totale abnegazione delle persone e trovi “una sorgente nuova e inesauribile di alimentazione nel desiderio che le stesse vittime hanno di essere dominate”. “Nessun potere ha avuto infatti tanta possibilità e capacità di creare modelli umani e di imporli come questo che non ha volto e nome”, ed che anche in grado di “fare apparire assurda ogni altra visione del mondo e della vita”. Questa sua profonda comprensione è perfettamente espressa concisamente nella sua frase: “L’ansia del consumo è un’ansia di obbedienza a un ordine mai pronunciato”.
Riconosce infine che questo nuovo potere, impersonale e invisibile, è ben peggiore di qualsiasi altra forma di dominio del passato: “nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della società dei consumi” e “la tolleranza della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere è la peggiore delle repressioni della storia umana”. “Per mezzo della televisione”, questa forza dominante “ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza”, “ha imposto i suoi modelli” e “non si accontenta più di un uomo che consuma, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quelle del consumo”.
Sperando che l’eredità di Pasolini non resti inascoltata e che nel nuovo secolo, il nostro, possano emergere nuovi intellettuali e artisti capaci di intraprendere una analisi profonda e coraggiosa, ricca di spunti utili, che riesca ad andare oltre al convenzionale e all’assodato, auguriamo a tutti una buona lettura.
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