8 motivi per fermare il TTIP

da | 10 Giu 2016

di Monica di Sisito

Otto buoni motivi per il settore agroalimentare europeo di bloccare il Ttip, nelle parole del Commissario europeo all’agricoltura Phil Hogan. Chi di email ferisce, di email perisce. Se gli Usa non faranno nessuna concessione all’Europa sul Ttip, in particolare nel capitolo agricoltura, non ci sarà nessun accordo prima della fine della presidenza Obama. Lo scrive la Commissione europea in una email del 27 maggio agli ambasciatori dei paesi membri, dopo che l’Ambasciatore statunitense in Europa Anthony Gardner aveva scritto loro il 25 per criticare il Commissario europeo all’Agricoltura Phil Hogan.

Hogan è “reo” di aver ribadito apertamente molte delle preoccupazioni che anche le campagne Stop Ttip stanno esprimendo da mesi rispetto al pericolo che il negoziato rappresenta per la produzione agricola anche nel nostro paese. Ragioni che sembrano ignorate dal governo italiano e da molti dei parlamentari di casa nostra. Il neo-ministro Carlo Calenda vi fa accenno en passant in alcune delle sue recenti interviste, ma abbiamo imparato che alla sua reticenza c’è sempre da rispondere con un supplemento d’attenzione, visto che lui è un tifoso del Ttip, più che un suo attento analista soprattutto per quello che riguarda il settore agroalimentare.

La Commissione, nel carteggio svelato dall’agenzia Politico, ammette che gli Usa non sembrano disposti a impegnarsi seriamente in aree importanti per l’Europa, come ad esempio accettare il suo sistema di indicazioni geografiche, riformare le tutele per il vino e fare dei passi avanti sulle barriere non tariffarie che bloccano molto dei nostri prodotti di qualità, senza apparente motivo, alle frontiere statunitensi. E d’altronde Hogan, in un altro documento riservato ottenuto da Politico, compila una lista di problemi che il negoziato presenta al momento, molto importanti da condividere, soprattutto perché nel nostro strano paese sembra che si voglia fare di tutto per negarli, senza alcun apparente vantaggio per i nostri produttori. Presentiamo otto problemi del Ttip, i più gravi, per ribadire quanto sia importante bloccare il negoziato transatlantico prima che danneggi irreparabilmente uno dei nostri asset produttivi più preziosi: il settore agroalimentare. E non lo dice la campagna Stop Ttip, ma il Commissario europeo all’Agricoltura Phil Hogan.

1) È vero che l’Europa esporta di più verso gli Usa, ma sono prodotti di valore più alto, già a tariffa bassa o zero, così abbiamo poco da guadagnare con un Ttip solo commerciale. Più del 20 per cento del surplus europeo, per 4,4 miliardi di euro, è dato da alcolici e birre che fa la maggior parte del vantaggio europeo negli Usa, spiega Hogan. 2,6 euro li facciamo con preparati di carni, formaggi, olio d’oliva, da 2,2 miliardi di euro, mentre il surplus Usa si concentra sulle materie prime (2 miliardi di euro) e altri prodotti primari (come frutta, verdura e noci da 2,6 miliardi) prodotti standardizzati che non arrivano da noi, per la maggior parte, solo perché trattati con ormoni, con pesticidi e altre sostanze vietate in Europa. Gli Stati Uniti ci rimproverano perché molte delle loro esportazioni di frutta e verdura subiscono “un’ultra eccessiva limitazione al Livello Massimo di Residui di pesticidi e simili, più bassi di quelli concordati nel Codex Alimentarius” si legge nel documento compilato dal Commissario Hogan, che rivendica la validità scientifica dei limiti posti dal sistema europeo. Eppure quando, con limiti parimenti restrittivi, gli Usa bloccano il nostro olio d’oliva, non ci trovano nulla di male.

2) Che il commercio agricolo tra Usa e Ue non aumenterà se l’Europa non rinuncerà al bando dei promotori della crescita, degli ormoni, ai trattamenti vietati per sterilizzare i patogeni come la clorina nel pollo e alle altre sostanze vietate. E che, se dovrà farlo, “dovrà minimizzare le perdite che potrebbero colpire i produttori europei cercando compensazioni in altre aree rispetto alle tariffe, in primo luogo “le indicazioni geografiche”.

3) Si ammette che la cosa che più stressa gli Usa è che gli Ogm approvati da loro, ci mettono molto più tempo ad essere approvati da noi. Per replicare a questa accusa, Hogan ricorda che la soia Usa, in gran parte Ogm, viaggia in grandi quantità verso l’Europa, nonostante il bando: nel 2015 parliamo di 2,1 miliardi di euro di soia venduta dai produttori oltreoceano essenzialmente ai nostri allevatori. Nella lista delle “buone azioni” europee rispetto alle richieste Usa sulla sicurezza alimentare troviamo che “nel 2015 sono stati approvati ben 17 Ogm”, come se, facendo questo, ci aspettassimo che gli Usa ci dessero qualcosa in cambio nel Ttip. Alla nostra carne di manzo, alle pere e alle mele, perfettamente sani, invece, non si apre ancora Oltreoceano, dove le concessioni ad esportare altri tipi di frutta e verdura ci vengono centellinati, e concessi solo Stato per Stato, alla faccia del loro presunto liberismo avanzato.

4) Sugli alcolici, l’Europa propone di introdurre nel Ttip un sistema di maggiori tutele, per definire meglio che cosa sia vino e che cosa sia un banale alcolico sintetico, e per proteggere i vini di pregio dalle brutte copie. “Gli Usa non ci si impegnano, per l’opposizione dell’industria statunitense”, ha protestato Hogan, che vede in questo il tentativo dei produttori Oltreoceano di continuare a produrre a basso costo, o anche di copiare i nostri vini, potendone esportare ancora di più nei nostri paesi.

5) Le Indicazioni Geografiche fanno il 30 per cento delle esportazioni agroalimentari europee verso gli Usa, quindi se non vengono adeguatamente protette, e tutte, ne avremmo un danno certo. Nonostante l’Ue abbia proposto di proteggerne sono un limitato numero, gli Usa non vogliono farlo. Ci rispondono che loro già proteggono ben 12 mila marchi commerciali europei, ma i costi per mantenere il marchio, prevenire gli abusi ed eventualmente fare causa a chi lo copiasse, o ne volesse registrare uno analogo, sono tutti a carico del singolo produttore. Piccole e medio-grandi imprese non possono permetterselo, anche se magari producono qualcosa che in Europa è protetta da un’indicazione geografica. La fatica, la qualità e i costi sostenuti per ottenere il riconoscimento dell’Ig, negli Stati Uniti non valgono niente.

6) Si ammette che i produttori di latte e latticini Usa potrebbero esportare di più verso l’Europa anche senza il Ttip, però dovrebbero accettare di ridurrei residui di cellule somatiche nel lette. Se ci sono troppe cellule somatiche nel latte significa che le mucche sono vecchie, stressate, malate o vengono munte male, quindi si feriscono spesso. Tutti problemi che andrebbero risolti, ma che gli allevatori Usa non vogliono risolvere per abbattere i costi.

7) Gli Usa potrebbero, senza Ttip, esportare più pollo in Europa, ma non rientrano negli “standard europei di igiene alimentare”, rispettati invece da Brasile e Thailandia. L’Efsa sta anche valutando di allentare gli standard sull’uso dell’acido peracetico per immunizzare le carcasse del pollame, forse per imbonire gli Usa nel tavolo Ttip, ma Hogan ricorda che i cittadini sono preoccupati per la protezione del sistema europeo di sicurezza alimentare “dal campo alla forchetta”.

8) Gli Usa potrebbero, senza Ttip, esportare più maiale in Europa, ma non accettano di introdurre controlli semplici come le ispezioni post mortem delle carcasse o controlli per noi adeguati contro i vermi.

Per questi otto buoni motivi, noi stiamo con Phil Hogan: e l’Italia?

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* Associazione Fairwatch, tra i portavoce della Campagna Stop Ttip Italia

Fonte: Comune-info.net