Se la decrescita felice contamina l’economia

da | 6 Giu 2016

E’ possibile parlare di decrescita felice e non finire con l’essere paragonati a sinonimo di rassegnazione?

E’ questa una delle domande importanti che ognuno di noi dovrebbe porsi. E questo non soltanto per prendere sempre più consapevolezza della propria conoscenza della decrescita felice ma anche e principalmente per la consapevolezza dell’impatto con la società reale.

In una recente intervista ad uno dei tanti economisti riuniti a Trento per il festival dell’economia e pubblicata su un importante quotidiano, la decrescita felice è stata paragonata all’ultima soluzione che è quella della rassegnazione.

Ora di fronte a tale affermazione si può reagire in vario modo. Principalmente si può reagire con stizza ed ostilità e rispondere a tono chiarendo i punti reali della decrescita felice. Alimentando così una distanza di vedute e forse una incomprensione reciproca. E’ una possibilità, a volte battuta, raramente utile. Una scorciatoia che porta a chiudersi ma non a trovare soluzioni comuni e prima ancora un dialogo importante.

La seconda opzione infatti è quella che pone prima a noi stessi degli interrogativi salutari. Primo fra tutti: “perché siamo percepiti così”? E’ solo questione di cattiva conoscenza da parte altrui oppure siamo chiamati in causa come cattivi comunicatori noi stessi?

Sappiamo essere testimoni credibili ed esperti dei concetti anche scientifici che sono alla base della decrescita felice? La nostra vita è sufficientemente coerente con quanto proclamiamo di voler cambiare?

Queste le domande basilari e irrinunciabili per iniziare. Ma volendo andare oltre, dovremmo chiederci: “come comunicare con tutta la grossa fetta di mondo che incontriamo ogni giorno”?

Personalmente vado ripetendo da tempo che per poter entrare in contatto con il 90% (mi tengo basso) delle persone che non conoscono o che conoscono in modo distorto la decrescita felice, dobbiamo fare un grande salto di qualità necessario e importantissimo: mostrare che una nuova economia sia possibile.

Dimostrare, o meglio mostrare perché è gia in atto, che la decrescita felice è in grado di creare nuove tipologie di aziende e nuovi modi di intendere il lavoro e per questo anche di creare posti di lavoro utili e addirittura duraturi.

Penso ad aziende giovanissime e giovani che hanno sfidato i tempi odierni non rincorrendo il mito della crescita ma ponendo davanti ad esse le reali problematiche attuali in un’ottica futura di lungo periodo.

Penso al progetto ribelle di Gigi Perinello e del suo Ragioniamo con i Piedi ( www.ragioniamoconipiedi.it ) che ha deciso di scommettere sul settore manifatturiero italiano e di mostrare che è ancora possibile fare azienda in modo serio nel tempo della crisi globale.

Oppure penso a Giordano Mancini ed i suoi soci della Novasomor ( www.novasomor.it ) che hanno accettato la sfida moderna e sanno trovare e trasportare acqua anche nel deserto con la “sola” forza dell’energia solare.

Se penso al loro grande potenziale di applicazione mi sento rigenerato nella fiducia del futuro.

Oppure se penso a Mauro Sarotto ( www.sarotto.it ) e le sue case fatte in bioedilizia con professionalità immagino le grandi opportunità di lavoro che il settore edile potrebbe avere se solo avessimo un governo più illuminato in materia di energia e di risparmio energetico.

Eppure se ne sente poco parlare e le loro azioni e le loro sfide – e quelle di tanti altri in altri settori economici – sono poco conosciute, nonosante abbiano intrapreso strade nuove e coraggiose ma che hanno capacità di futuro.

Qui per futuro, inutile far finta, intendiamo la capacità di generare un reddito sano e giusto per l’ambiente e per i lavoratori e le loro famiglie in un contesto economico orientato diversamente.

Sono convinto che la decrescita felice debba approfondire molto e meglio queste potenzialità e che con queste nuove credenziali potrà accreditarsi maggiormente anche in ambienti che al momento ci considerano ai margini. A torto o a ragione, al momento bisogna creare una breccia importante in questo settore.

Ma perché? Perché impegnarsi in un dialogo anche e soprattutto con chi ci snobba oppure non desidera approfondire le nostre tematiche?

Innanzitutto perché siamo convinti della bontà e della veridicità delle nostre tesi e della loro messa in pratica. Ma ancora prima perché siamo consapevoli che certe scelte sono sempre più obbligate ed urgenti e che solo se tutti o la maggioranza delle persone se ne convincerà, sarà possibile invertire la rotta e ritrovare un vero benessere per tutti.

Si per tutti, perché al centro della decrescita felice vi è il concetto di bene comune. Se a luglio grandina in modo anomalo e con intensità anomala creando danni a persone,cose e vegetazione, questo avviene per sia per chi segue la decrescita felice ma anche per chi non vi nutre simpatia.

La differenza sta qui. Se chi sostiene la crescita economica sa bene che essa non porta reale benessere per ambiente e persone e non se ne preoccupa eccessivamente puntando al piccolo periodo, chi sostiene la decrescita felice sa benissimo che questa porta benessere reale all’ambiente e alle persone togliendo i tanti privilegi concentrati a pochi, e si preoccupa di farlo conoscere a tutti, perché ha a cuore il bene di tutti.

Il bene comune. Il grande assente in questa economia. Siamo in grado di farcene carico mostrandone la fattibilità?

Alessandro Lauro