Abbiamo intervistato Miriam Corongiu, nostra attivista nel sud Italia. Miriam è una donna molto caparbia e gentile e di fronte ad un lavoro perso non si è data per vinta ma ha rivoluzionato tutto quanto aveva intorno. In meglio. Con fatica ma in meglio.
- Come è nato il tuo avvicinamento al lavoro agricolo? Prima che lavoro svolgevi?
Nella mia vita non ho mai pensato nemmeno una volta di poter fare la contadina! Ho sempre lavorato in contesti aziendali medio-grandi, da ultimo nell’Ufficio Tecnico di una compagnia di navigazione a Napoli. Vivo in campagna da circa 10 anni, ma solo da 4 ho ripensato il mio esistere: più o meno da quando ho incominciato ad interessarmi di decrescita felice e ho rielaborato il mio rapporto con la terra.
- Come ti sei sentita nel passaggio tra il vecchio stile di vita e quello attuale?
Smarrita…ma anche estremamente libera. Non è facile cambiare sistema, abitudini, prospettive. La prima cosa che mi è sfuggita per un po’ dopo il licenziamento, per esempio, è stata la gestione del tempo. La mia vita era così incardinata tra le lancette di mille orologi che, quando ho potuto rallentare il passo, ho avuto qualche difficoltà a riorganizzarmi. Ma c’è voluto poco per assaporare la libertà. Anche se adesso tutto è estremamente faticoso, posso scegliere quando fermarmi a riprendere fiato oppure quando darci dentro e sfinirmi. E’ uno dei ritrovati piaceri della vita a cui ripenso spesso durante il giorno. Il lunedì, per esempio, non è più così traumatico e la domenica pomeriggio sempre piacevolmente lenta e serena.
- Come riesci a mettere insieme il pranzo con la cena e a far fronte alle diverse spese che una normale famiglia ha?
Al momento percepisco la cosiddetta NASpI, l’indennità di disoccupazione prevista dal Jobs Act. Ancora per poco, però. Il progetto di azienda agricola a cui stiamo lavorando è in start-up e non guadagniamo molto, ma abbiamo puntato sull’accoglienza e sulla genuinità come valori aggiunti: cerchiamo di parlare con le persone, di far capire loro che si può vivere diversamente, che un percorso di libertà coincide con quello della responsabilità. Li portiamo nell’orto perché sentano il contatto con la terra e perché capiscano che c’è un tempo per tutto. Le persone sono contente di queste piccole esperienze perché appartengono ad un passato che ricordano a stento, ma che per loro è stato fonte di gioia. Si fermano con noi e tornano sempre. Quindi ci sentiamo pieni di speranza per il futuro: conosciamo la nostra direzione. Per quanto riguarda pranzo e cena, chi vive in campagna e ha qualche animale…beh, di fame non morirà mai. Per il resto, risparmiamo e fabbrichiamo molte delle cose che ci servono oppure dei doni che facciamo nelle ricorrenze.
Mi racconti una tua “giornata tipo”?
In realtà, ho molte giornate tipo!!! E sono un po’ diverse a seconda che sia estate o inverno, perché il mio lavoro segue il ritmo delle stagioni. Anche se è mio marito a svolgere la maggior parte del lavoro in campagna, tra orto e frutteto, io ho imparato a prendermene cura: quindi spesso imbraccio la zappetta per il diserbo manuale, mi occupo della semina e della messa a dimora delle nuove plantule, raccolgo i frutti quando è tempo. Il grosso del mio lavoro, però, è in cucina perché preparo marmellate, conserve, liquori e altre specialità artigianali. Qui si fanno anche il vino e la birra! Mi occupo di mia figlia, delle pulizie di casa (non ho più la collaboratrice domestica che era necessaria prima), studio intensamente agricoltura…e poi dedico una parte del mio tempo all’attivismo. Faccio parte di MDF, gruppo di Salerno, e mi occupo di inquinamento ambientale in Terra dei Fuochi all’interno della Rete di Cittadinanza e Comunità. Ho un mio blog in cui affronto tematiche legate all’ambiente e alla ecosostenibilità e scrivo per il sito nazionale di MDF. Insomma, il mio tempo dev’essere ottimizzato più di prima, ma ho la libertà di spenderlo come voglio.
I tuoi familiari come hanno preso la tua scelta di ritornare alla terra?
Sono stati tutti increduli all’inizio. Mio suocero, l’agricoltore capostipite, una volta mi ha detto: “Ma tu, con quelle mani così piccole…sei sicura? La terra sporca…” Era abituato a vedermi prendere l’auto tutta truccata per andare in ufficio, mi vede ora con i capelli su e gli stivali di gomma. Gli risposi che le cose che sporcano sono altre. Mio marito mi ha incoraggiata moltissimo e a mia figlia non è parso vero di avere la mamma tutta per sé.
Quali sono state o sono le maggiori difficoltà che incontri?
Quali sono stati i vantaggi e le soddisfazioni che hai da questo tuo nuovo stile di vita?
Trovo difficile tutto: lavorare tanto fisicamente, doversi inventare di nuovo la vita a 44 anni, studiare alla fine di una giornata intensa, pochi soldi. E di soldi non ce ne saranno mai tanti perché abbiamo deciso di resistere al mercato più che possiamo…però sono anche tanto felice: questa vita la tengo stretta tra le mani. E’ finalmente mia. Faccio ciò che amo, vedo la natura letteralmente sbocciarmi tra le dita, sto con mia figlia tanto di più. Aver scelto di accontentarsi di pochi soldi, significa anche liberarsi da tante schiavitù.
Vivi in un territorio molto vicino alla “Terra dei Fuochi”. Come affronti questa situazione? Come proteggi quello che coltivi?
La Terra dei Fuochi non appartiene solo alla Campania. Aldilà dei territori direttamente interessati da gravi problematiche ambientali, nessuno può sentirsi lontano da tanta sofferenza. Affronto questa consapevolezza lavorando alacremente sul territorio per generare il cambiamento, facendo nel mio infinitamente piccolo ciò che è utile alla pianificazione comune delle attività. Ed è stata questa la svolta più grande nel tornare all’agricoltura: il passaggio mentale da “terra” a “territorio”. Non si può, secondo me, essere contadini senza essere sentinelle del proprio campo. Difendere il mio pezzo di terra significa scendere in strada a rivendicare rispetto per essa, significa raccontare ai bimbi nelle scuole che la responsabilità verso la natura si impara attraverso le piccole scelte di tutti i giorni, significa stare al computer fino a tardi a fare ricerche e a scrivere, significa stare tra la gente e cercare di amarla tanto, anche quando ti costa.
Cosa si sta facendo per risolvere questa situazione e cosa auspichi perché si risolva?
Direbbe Enzo Tosti, portavoce della Rete di Cittadinanza e Comunità, che questa è una stagione nuova. C’è stato il tempo delle grandi sollevazioni popolari, come con la marcia dei 120.000 a Napoli nel 2013: ora è tempo di una resistenza diversa, strutturata e consapevole. Cerchiamo di riprenderci il territorio metro dopo metro, tra la gente, dialogando con quelle forze istituzionali disposte ad ascoltare le nostre proposte e combattendo con ogni mezzo quelle che invece fanno orecchie da mercante. A livello locale, chiediamo non solo bonifiche e controllo capillare del territorio, ma che vengano semplicemente applicate le leggi già esistenti, che si guardi ai rifiuti come ad una risorsa (nel 2016 non si può ancora parlare di nuovi inceneritori) e che non vadano perduti i fondi stanziati. A livello centrale, invece, che si lavori per un cambiamento del paradigma economico. E’ ormai chiaro a tutti che Terra dei Fuochi è il frutto di un sistema malato che porta il nome di capitalismo. Stato e Camorra sono solo due termini dell’equazione: il terzo è l’imprenditoria, quella criminale ed irresponsabile, che per profitto distrugge l’ambiente e la salute.
A chi dice che ritornare alla terra è una illusione ed è troppo faticoso, cosa rispondi?
Non è assolutamente un’illusione ed è “troppo” faticoso solo per chi non è seriamente intenzionato a incamminarsi su questo percorso. Indubbiamente, però, non è facile. Si può essere agricoltori in molti modi diversi: si può scegliere la via convenzionale, ad alto input chimico, e entrare nelle logiche della grande distribuzione (per fare un esempio) oppure la via contadina e puntare sulla diversificazione delle attività, sull’agricoltura naturale, sulla difesa della biodiversità e, in fin dei conti, sull’amore per la terra. Bisogna, in quest’ultimo caso, studiare tantissimo, parlare con i contadini e con i tecnici, stare mani nella terra e osservare. Vivere di agricoltura si può: personalmente ritengo che non ci si arricchisca, se la si pratica in un certo modo, ma si può.
A chi, sempre di più, desiderano un’altra vita magari in campagna o comunque più sana sotto ogni punto di vista, cosa consiglieresti di molto concreto di fare?
Ai cambiamenti bisogna prepararsi: se si desidera un’altra vita, mai smettere di progettarla. Non vale solo per le scelte lavorative, che spesso purtroppo non sono possibili, ma per qualunque direzione si voglia imboccare nel quotidiano. Che riguardi l’alimentazione, l’agricoltura o tanto altro bisogna studiare molto, informarsi correttamente e liberarsi da tutti quei parametri standardizzati che tendono ad imporci un comportamento uniforme. La decrescita felice è stata questo per me: una liberazione. Quando ho cominciato a pensare diversamente, in maniera indipendente, ho scoperto che la rosa delle scelte possibili nella mia vita era infinita. E ho scoperto che se armonizzavo la mia ritrovata libertà con la responsabilità, ritrovavo anche la salute, il senso della partecipazione e quello della relazione.
Rifaresti tutto quello che hai fatto fino a ora?
Tornare alla terra è stata la scelta più passionale della mia vita. E chi si pentirebbe mai di una scelta fatta per amore?