Migranti: dal 2008 i cambiamenti climatici hanno causato 1 sfollato ogni secondo

da | 10 Lug 2017

Cambiamenti climatici e migranti

Mentre in Italia il dibattito attorno al progressivo sbarco di migranti all’interno dei nostri confini si sviluppa con crescente litigiosità, senza un vero dialogo costruttivo da parte dell’Europa, intanto aumentano gli sbarchi e l’Onu fotografa una storia fatta di cambiamenti climatici, povertà e guerra. 

Come ha spiegato  il 6 Luglio scorso il direttore generale della Fao José Graziano da Silva a Roma – dove si è tenuta la Conferenza biennale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura – i cambiamenti climatici rappresentano un grave rischio per le popolazioni rurali nei paesi in via di sviluppo, portando spesso a fenomeni migratori forzati ossia a migranti per obbligo: i dati mostrano come, a partire dal 2008, disastri legati ai cambiamenti climatici e alle condizioni meteorologiche hanno causato uno sfollato al secondo, ovvero una media di 26 milioni all’anno. E il fenomeno è destinato a peggiorare nell’immediato futuro, con le zone rurali che fanno sempre più fatica a confrontarsi con un meteo sempre più caldo e con precipitazioni sempre più erratiche.

«La soluzione a queste grandi sfide sta nel rafforzare le attività economiche nelle quali la maggior parte delle popolazioni rurali sono già coinvolte», ha spiegato da Silva: in particolare, rafforzare l’agricoltura sostenibile rappresenta una parte essenziale di politiche che vogliano affrontare con efficacia tale problema.

Agricoltura sostenibile e cambiamenti climatici

L’agricoltura e l’allevamento tipicamente sostengono oltre l’80% dei danni e delle perdite causate dalla siccità, mentre altri impatti includono la degradazione del suolo, la scarsità d’acqua, l’esaurimento delle risorse naturali. Come ha spiegato a Roma il direttore generale dell’ Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom) William Lacy Swing, anche se «meno visibili rispetto a fenomeni climatici estremi come gli uragani, gli eventi meteorologici lenti legati ai cambiamenti climatici hanno un impatto maggiore nel lungo periodo. Molti migranti proverranno dalle zone rurali, con un potenziale impatto profondo sulla produzione agricola e i prezzi alimentari». Un caso esemplare è quello del Lago Ciad, che prosciugandosi negli ultimi 30 anni ha reso la zona un hot-spot di crisi alimentari.

Si prevede che saranno le aree rurali dei paesi in via di sviluppo, dove spesso le famiglie povere hanno una capacità limitata di fare fronte e di gestire i rischi, a sopportare il peso maggiore dell’aumento delle temperature medie. Vulnerabilità che sono andate peggiorando a causa di anni di mancati investimenti nelle zone rurali. Usare la migrazione come una strategia per favorire l’adattamento può dare frutti positivi – ad esempio le rimesse possono rafforzare la sicurezza alimentare e gli investimenti produttivi nelle zone di origine – ma può anche causare il perpetuarsi di nuove vulnerabilità senza il sostegno di politiche adeguate.

«Dobbiamo integrare sistematicamente – ha concluso Swing – la migrazione e i cambiamenti climatici nei programmi nazionali di sviluppo e di lotta alla povertà, nella pianificazione per la riduzione dei rischi di disastro e di crisi, oltre a sviluppare politiche e pratiche agricole che permettano di rafforzare la capacità di fare fronte alla migrazione forzata dovuta ai fenomeni climatici».