Pubblichiamo la traduzione di un post su RealClimate di Stefan Rahmstorf, oceanografo del Potsdam Institute for Climate Impact Research, che riassume le recenti pubblicazioni che portano evidenze più robuste di una più debole Circolazione atlantica con inversione meridionale.
Con due studi su Nature, l’indebolimento del Sistema della Corrente del Golfo è tornato nei titoli delle notizie scientifiche. Erano uscite pubblicazioni interessanti anche prima, per cui è proprio ora di fare il punto della situazione.
Iniziamo da Nature dell’11 aprile, che oltre ai due nuovi studi (a uno dei quali ho partecipato) comprende un commento nella sezione News&Views. Tutto ruota attorno alla domanda “Il Sistema della Corrente del Golfo sta già rallentando?”.
I modelli climatici indicano che questa sarà una delle conseguenze del riscaldamento globale, insieme ad altri problemi quali l’innalzamento del livello del mare, l’aumento delle ondate di calore, dei periodi di siccità e di eventi di precipitazione estremi; ma questo rallentamento è già in corso? La risposta è tutt’altro che scontata.
La Circolazione atlantica con inversione meridionale (Atlantic Meridional Overturning Circulation, AMOC in inglese, vedi la nota 1 in fondo), detto anche Sistema della Corrente del Golfo, è un enorme sistema tridimensionale di flussi attraverso l’intero oceano Atlantico che varia secondo diverse scale temporali, ragione per cui non basta affatto immergere un misuratore di corrente nell’acqua in uno o due punti.
Dal 2004 esiste un progetto di osservazione anglo-americano, chiamato RAPID, il cui scopo è misurare il flusso complessivo alla latitudine particolarmente adatta (26,5° Nord) con 226 strumenti di rilevazione ancorati. Il progetto RAPID sta fornendo buoni risultati e mostra un rallentamento notevole, ma solo dal 2004 in poi. Una variazione in così poco tempo è probabilmente dovuta a fluttuazioni naturali e di per sé non dice nulla su possibili effetti del cambiamento climatico.
Per tornare più indietro nel tempo bisogna cercare altre fonti di dati. Dal mio punto di vista, è probabile che il mistero possa essere risolto dalla temperatura dell’oceano, sia perché su tale parametro i dati sono numerosi e attendibili, sia perché l’AMOC ha un’influenza predominante sulle temperature di gran parte del Nord Atlantico.
Nel nostro studio, condotto insieme ai colleghi dell’Università di Princeton e Madrid, abbiamo quindi comparato tutti i set di misurazioni disponibili a partire dalla fine dell’Ottocento con un modello di simulazione climatica in cui le correnti oceaniche sono computate in alta definizione.
Questa è una bella animazione:
GFDL CM2.6 Ocean Model: Sea Surface Temperature from Remik Ziemlinski on Vimeo.
La simulazione ha richiesto 6 mesi e 11.000 processori (di cui 9000 solo per l’oceano) del computer ad alte prestazioni del Geophysical Fluid Dynamics Laboratory, della NOAA, a Princeton. Il risultato centrale è riportato in figura 1 (a sinistra):
Figura 1: Tendenze della temperatura superficiale del mare. A sinistra: nel modello climatico CM2.6 con uno scenario di raddoppio della quantità di CO2 in atmosfera. A destra: nei dati osservati a partire dal 1870 ad oggi. Per rendere le tendenze comparabili nonostante i diversi periodi temporali e l’aumento di CO2, sono state divise per il trend medio di riscaldamento globale. Tutti i valori superiori a 1 mostrano un riscaldamento sopra la media, i valori inferiori a 1 al di sotto della media e i valori negativi un raffreddamento. Poiché le misurazioni fatte da navi sono limitate, quelle a sinistra risultano più “sfocate”. Grafico: Levke Caesar.
Nel Nord Atlantico i valori misurati differiscono significativamente dal riscaldamento medio complessivo: l’Atlantico subpolare (un’area pari a circa la metà degli USA, a sud della Groenlandia) si è a malapena riscaldato e in alcune zone si è addirittura raffreddato, al contrario del trend globale. Invece una vasta area lungo la costa orientale dell’America si è riscaldata molto più della media. Entrambi i fenomeni sono da attribuirsi all’indebolimento dell’AMOC nella simulazione del modello. Il raffreddamento è semplicemente dovuto a un minor calore immesso dall’AMOC. D’altro canto, l’eccessivo riscaldamento si basa su un meccanismo – un po’ più da nerd – noto da un po’ agli esperti: se l’AMOC s’indebolisce, la Corrente del Golfo si sposta più vicino alla costa (c’entra la conservazione del momento angolare nella rotazione del globo).
Quando l’AMOC s’indebolisce, il modello mostra pertanto una tipica “impronta” sulle temperature marine alla superficie. Resta da capire le loro variazioni nei dati osservati dall’Ottocento in poi. La mia dottoranda Levke Caesar ha valutato i vari data-set: mostrano un andamento molto simile (il globo di destra nella fig. 1), e anche la variazione ciclica annuale (un maggior raffreddamento in inverno) corrisponde a quella del modello di simulazione.
Non conosco un meccanismo in grado di spiegare questo comportamento spaziale e temporale che non sia l’indebolimento dell’AMOC. Da tempo i modelli climatici prevedono un suo rallentamento quale risultato delle nostre emissioni di gas serra, e questi dati mostrano che è già iniziato.
PIU’ DEBOLE CHE NEGLI ULTIMI MILLE ANNI
Nello stesso numero di Nature, lo studio di David Thornalley et al. (Anomalously weak Labrador Sea convection and Atlantic overturning during the past 150 years) concorda con i nostri risultati e li inserisce nel contesto di una più lunga storia del clima. Gli autori usano due tipi di dati – detti “vicari” (proxy) – da carote estratte dai fondali. I sedimenti si accumulano poco a poco per migliaia di anni e ci dicono quello che è successo all’oceano in passato. Sono osservazioni più sfocate di quelle moderne, ma risalgono molto più indietro nel tempo, in questo caso a 1600 anni fa.
La prima serie di dati, ricavata dalle conchiglie calcaree di organismi marini rinvenute tra i 50 e i 200 metri di profondità nel Nord Atlantico, riflette le condizioni della temperatura. Da questa si può dedurre la forza del trasporto di calore e quindi calcolare il flusso complessivo, come nel nostro studio. La seconda serie si basa invece sulla granulometria di sedimenti prelevati a 1700 e a 2000 metri di profondità, dove parte dell’acqua trasportata verso nord dalla Corrente del Golfo torna indietro, verso sud, sotto forma di corrente fredda profonda. Il bello è che la corrente smista i sedimenti: la sabbia più grossa indica una corrente più forte, quella più fine una corrente più debole.
Sulla base di queste misure, gli autori concludono che nei secoli precedenti l’AMOC non è mai stato così debole come negli ultimi cent’anni, e confermano così uno studio del 2015, che ho diretto, basato su data-set completamente diversi e indipendenti.
UNO SGUARDO ALL’EVOLUZIONE TEMPORALE
Quali cambiamenti dell’AMOC ci mostrano i dati? Le serie temporali dei due novi studi e di altri meno recenti sono riportati nella figura 2. Le sei curve risultano ciascuna da metodologie e dati diversi, eppure l’immagine è coerente. La curva verde rappresente cambiamenti nella massa d’acqua derivata da dati relativi a coralli che vivono in profondità, la linea blu la dimensione dei granelli di sabbia già menzionata, e quella gialla le misurazioni del progetto RAPID. Le tre curve restanti si basano sulle variazioni di temperatura, e anche su tre metodi diversi. La curva viola di Rahmstorf et al., 2015 risulta da una rete di dati vicari terrestri, tra i quali anelli degli alberi e carote di ghiaccio, quella rossa dai sedimenti di Thornalley et al. e quella blu scuro dal nostro ultimo studio basato sull’analisi delle temperature superficiali dell’oceano, come mostrato in figura 1.
Figura 2: Evoluzione dell’AMOC dal 1700 in poi ricostruita a partire da diversi tipi di dati. Gli assi a sinistra e destra indicano le unità di misura per diversi tipi di dati utilizzati. La curva blu è stata spostata a destra di 12 anni poiché Thornalley ha trovato la miglior correlazione con la temperatura utilizzando questo scarto, ed è sensato: ci vuol tempo perché un cambiamento nelle correnti modifichi le temperature. Grafico: Levke Caesar.
Tutte le curve mostrano un rallentamento a lungo termine che sta accelerando. La curva rossa appare così liscia perché i dati dei sedimenti hanno una risoluzione temporale troppo bassa per mostrare fluttuazioni brevi.
La curva blu mostra anche un rallentamento già dalla fine dell’Ottocento che Thornalley e colleghi attribuiscono alla fine della cosiddetta “Piccola Era Glaciale”, quando il grande apporto di acqua dolce proveniente dallo scioglimento dei ghiacci potrebbe aver rallentato la formazione di correnti profonde nel mare del Labrador. Ciò non è necessariamente in contraddizione con ciò che mostrano le altre serie. I due tipi di sedimenti prelevati vengono dalla zona di deflusso profondo delle acque del mare del Labrador, che però è soltanto una delle due correnti profonde che, insieme, formano il flusso verso sud dell’AMOC. E non è detto che l’evoluzione temporale delle temperature nell’oceano debba sempre coincidere con quella nel mare del Labrador.
Nel nostro studio concludiamo che l’AMOC abbia subito un indebolimento pari al 15% rispetto alla metà del XX secolo. In cifre assolute corrisponde a un rallentamento pari a 3 milioni di metri cubi al secondo – circa 15 volte la portata del Rio delle Amazzoni e quindi tre volte la portata di tutti i fiumi della Terra messi insieme.
Con un insieme di modelli climatici (i CMIP5) abbiamo valutato con quanta approssimazione la nostra stima basata sulle temperature rifletta l’effettivo comportamento dell’AMOC, e siamo arrivati a un’incertezza di +/- 1 milione di metri cubi al secondo.
QUALCHE ALTRO STUDIO
Ci sarebbero parecchi altri studi da segnalare, posso solo citarli brevemente. In Nature Climate Change, Moore et al. (2015) mostra che è rallentata la convezione (il mescolamento dell’acqua in profondità, strettamente correlato all’AMOC) nei mari della Groenlandia e dell’Islanda e che, se il riscaldamento globale continua, supererà un punto critico e sarà meno profonda.
Nella stessa rivista, Sevellec et al. (2017) affermano che l’indebolimento della circolazione oceanica sia dovuto alla riduzione della banchisa artica. Sempre in Nature Climate Change, Oltmanns et al. (2018)hanno trovato segni del rischio che la convezione nel mare di Irminger s’interrompa del tutto. Sgubin et al. (2017) in Nature Communications analizzano le conseguenze di un improvviso raffreddamento del Nord Atlantico utilizzando diversi modelli di simulazione climatica.
Infine, è degno di nota anche lo studio di Smeed et al. (2018), nelle Geophysical Research Letters, con le ultime misurazioni del progetto RAPID (incluse come trend lineare in figura 2).
Anche all’assemblea annuale della European Geosciences Union (si sono ritrovati a Vienna 15000 geoscienziati, me compreso, dal 9 al 13 aprile) si è discusso molto dei cambiamenti nel Nord Atlantico.
QUALI EFFETTI AVRÀ QUESTO RALLENTAMENTO?
Se si pensa alla glaciazione istantanea del film hollywoodiano “The Day After Tomorrow”, sembrerà paradossale, ma Duchez et al. 2016 spiegano come un raffreddamento nel Nord Atlantico generi un caldo estivo in Europa. Il fenomeno è dovuto al fatto che il trasporto di calore nell’Atlantico non è ancora diminuito abbastanza da raffreddare anche le terre adiacenti, ma lo è abbastanza da influenzare la distribuzione delle pressioni dell’aria per favorire il trasporto di aria calda verso l’Europa. Nell’estate del 2015 l’Atlantico subpolare era il più freddo mai misurato dall’Ottocento, contemporaneamente – associato a un’ondata di calore in Europa. Sulla base di un modello, Haarsma et al. (2015) calcolano che in futuro l’indebolimento dell’AMOC costituirà la principale causa di variazioni nella circolazione atmosferica estiva in Europa; e Jackson et al. (2015) trovano che il rallentamento porterebbe a un aumento dell’attività temporalesca sull’Europa centrale.
Diversi studi suggeriscono che l’indebolimento dell’AMOC farà accelerare l’innalzamento del livello del mare lungo le coste degli Stati Uniti (per es. Yin et al. 2009). Ci sono altre ricerche in corso, ma un ulteriore rallentamento dell’AMOC non può considerarsi una buona notizia. Sebbene le oscillazioni della figura 2 fanno pensare che l’AMOC potrebbe riprendersi per un po’, è un rallentamento a lungo termine ciò che dobbiamo aspettarci se lasciamo che il riscaldamento globale prosegua ancora a lungo.
POST SCRIPTUM (18 APRILE)
Nei loro articoli, i cosiddetti “scettici climatici” (come James Delinpole su Breitbart) hanno criticato i nostri risultati citando studi precedenti che li smentirebbero, ma hanno paragonato capre e cavoli. Erano studi su altri aspetti della circolazione oceanica e soprattutto con un orizzonte temporale molto più breve nel quale prevale la variabilità naturale.
Per il periodo 1993-2013 Rossby et al. (2013) hanno rilevato una diminuzione nel trasporto nei primi 2000 m della Corrente del Golfo pari a 0,8 Sv (1 Sv = 1 Sverdrup = 106 m3/sec).
Sempre tra il 1993 e il 2013 Roessler et al. (2015) stimano un aumento di 1,6 Sv nel trasporto della corrente Nord-Atlantica, mentre per lo stesso periodo la nostra ricostruzione fornisce un aumento di 1,3 Sv.
Per il periodo 1994-2009 Willis et al. (2010) usano dati relativi al livello del mare, e valutano un aumento nel ramo superiore dell’AMOC a 41° Nord pari a 2,8 Sv. Per lo stesso periodo la nostra ricostruzione fornisce un aumento di 2,1 Sv.
Nessuna contraddizione, quindi, e chiunque abbia guardato la serie temporale nella fig. 6 del nostro articolo, o nella fig. 2 qui sopra dovrebbero essersene accorto immediatamente. Di nuovo, articoli simili confermano che agli “scettici” non interessa capire la scienza, ma confondere l’opinione pubblica con affermazioni fuorvianti.
Post originale di Stefan Rahstorf, Stronger evidence for a weaker Atlantic overturning circulation
Traduzione di Pietro Scaglia, Sylvie Coyaud, Federico Brocchieri e Claudio della Volpe
Nota 1
Con il termine AMOC, acronimo dell’inglese Atlantic Meridional Overturning Circulation, si intende una delle componenti più importanti del sistema climatico terrestre. L’inglese è una lingua molto sintetica e dunque non deve stupire che una traduzione letterale ne possa perdere almeno parzialmente il senso. Si tratta di una parte della circolazione termoalina, legata cioè a gradienti di salinità e temperatura; la corrente più salata e calda viaggia verso Nord-Est in superficie, cedendo calore all’atmosfera, poi si immerge al largo dell’Islanda diluendosi e raffreddandosi e ritorna indietro sul fondo dell’Oceano. Questa inversione o “capovolgimento” del serpente acqueo è espresso dal termine “overturning” e costituisce l’essenza del fenomeno. La traduzione Circolazione atlantica meridionale, comune in italiano, sacrifica il capovolgimento; altre lingue ne mantengono il significato grazie alle parole composte, come il tedesco “Umwälzzirkulation”, ossia circolazione invertita. Wikipedia italiana preferisce addirittura cambiare il soggetto da circolazione a capovolgimento. Suggeriamo una traduzione “a senso”, frutto di una intensa discussione (i Climalteranti discutono sui dettagli…): Circolazione atlantica con inversione meridionale in assonanza col tedesco. L’italiano è meno conciso, ma è pur sempre la lingua di Galileo.
Fonte:Climalteranti.it