di Patrizia Gentilini, per www.saluteinternazionale.info
La definizione di “antropocene” dell’era attuale esemplifica chiaramente lo stravolgimento che il nostro pianeta sta subendo a causa delle attività umane iniziate con la rivoluzione industriale. Cambiamenti climatici, perdita di biodiversità, cattiva qualità dell’aria, desertificazione, deforestazione, contaminazione spesso irreversibile delle falde acquifere e della catena alimentare, crescita esponenziale del campo elettromagnetico a causa delle comunicazioni via etere, sono la diretta conseguenza di uno “sviluppo” di tipo lineare avente come obiettivo la crescita illimitata del prodotto interno lordo (PIL): “sviluppo” davvero paradossale[1] visto che sta mettendo a rischio non solo l’equilibrio dei vari ecosistemi, ma la sopravvivenza stessa della nostra specie! Abbiamo dimenticato di vivere in un pianeta in cui la vita si è sviluppata nel corso di milioni di anni grazie ad una fonte di energia esterna – il sole – e ad un riciclo costante della materia senza scarti né rifiuti. Viviamo come se le risorse fossero illimitate, continuando a sfruttarle in modo insensato: l’“earth overshoot day”, il giorno in cui il consumo annuale di risorse del pianeta viene bilanciato dalla capacità di rigenerarle, anticipa costantemente e dal 29 dicembre del 1979 è stato il 29 luglio nel 2019.
Lo sfruttamento e il degrado della natura e degli ecosistemi sono stati accompagnati da quelli del “capitale umano” e dal crescente aumento di iniquità, povertà e disuguaglianze, a loro volta all’origine di instabilità sociale, migrazioni e conflitti. Secondo il Rapporto Oxfam[2], se nel 2010 388 miliardari controllavano un patrimonio pari a quello della metà più povera dell’umanità, nel 2014 il numero è sceso a 80, nel 2016 a 62, nel 2017 a 8 e nel 2020 1 solo individuo possederà quanto la metà più povera dell’intera umanità!
Eppure Ecologia ed Economia, entità oggi antitetiche, hanno origine dalla stessa parola greca oikos, che significa “casa”. Se l’ecologia è la “scienza della casa”, l’economia – che dovrebbe garantirne la corretta gestione – è diventata la principale nemica della “casa comune”. Ci illudiamo di risolvere con la tecnologia i problemi sempre più complessi che abbiamo creato rompendo gli equilibri naturali, dimenticando che il vero capitale è quello della Natura che, sempre meno, è in grado di fornirci gratuitamente, fondamentali servizi ecosistemici quali stabilizzazione del clima, produzione di ossigeno, impollinazione, purificazione delle acque, eccetera. Ogni innovazione tecnologica viene considerata un ulteriore progresso e diffusa su larga scala, spesso senza alcuna valutazione dei possibili impatti sanitari, sociali o ambientali. Questo è quanto sta accadendo con il 5G, la tecnologia che permetterà agli oggetti di “dialogare” fra loro (internet delle cose), fonte di grande preoccupazione per gran parte della comunità scientifica[3,4]. All’origine di questa crisi planetaria vi è un potere economico/finanziario sempre più vorace e incontrollato, programmato per accentrare sempre più profitto consumando risorse e calpestando i più elementari diritti delle comunità, spesso costrette a subire inquinamento e malattie per scelte non condivise.
Alla relazione Ambiente – Salute è dedicato un capitolo del libro “Un nuovo mo(n)do per fare salute”; si tratta di una relazione fondamentale, spesso trascurata dal mondo scientifico e dalla classe medica, interessata spesso ad investire più in diagnosi e cure che in ricerca e rimozione delle cause ambientali delle patologie. L’aggressione continua al nostro organismo da parte di agenti fisici e chimici genera infatti danni multi-livello in tutti gli organi e apparati, con aumento di patologie cronico-degenerative quali cancro, obesità, diabete, malattie neuro-degenerative e del neurosviluppo, malattie endocrine e immunologiche, sterilità e rischi per la gravidanza e per il feto.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che oltre il 25% delle malattie negli adulti ed oltre il 33% nei bambini sotto i 5 anni siano dovute a cause ambientali evitabili e che siano circa 13 milioni le morti attribuibili annualmente ad esposizioni ambientali, di cui oltre 7 milioni legate al solo inquinamento atmosferico[5]. Poiché solo l’8% della popolazione mondiale respira un’aria che rispetta i limiti previsti dall’OMS, il problema è enorme. La maggiore suscettibilità dell’infanzia agli inquinanti è dovuta al fatto che i bambini, in proporzione al peso, respirano, mangiano, bevono più di un adulto e, per il loro comportamento (gattonare, portare tutto alla bocca, eccetera), sono molto più esposti ad agenti tossici. Inoltre, i fisiologici meccanismi di detossificazione non sono ancora pienamente sviluppati e ciò che può essere ininfluente per la salute di un adulto può non esserlo nell’infanzia. L’effetto delle sostanze tossiche che a centinaia passano dalla madre al feto durante la gravidanza attraverso il cordone ombelicale[6] può inoltre comportare conseguenze non solo nel breve termine ma anche nelle età successive, aumentando il rischio di insorgenza di patologie croniche. In embrioni e feti infatti le sostanze cancerogene, tossiche e mutagene cui non solo la madre – ma anche i gameti paterni prima del concepimento – siano stati esposti, possono alterare l’espressione del DNA senza modificarne la struttura (modificazioni epigenetiche) compromettendo la salute non solo nelle prime fasi della vita, ma anche successivamente, tanto che si parla di “origine fetale delle malattie dell’adulto”[7]. La crescente incidenza di tumori nell’infanzia[8] – di cui vantiamo un triste primato – testimonia drammaticamente l’importanza della cancerogenesi indotta dal passaggio trans-placentare di sostanze tossiche e la maggiore vulnerabilità in epoca pre e perinatale. Questo incremento del cancro in età pediatrica non può essere imputato – come sovente accade per gli adulti – a errati stili di vita (fumo, alcool, sedentarietà, eccetera), in quanto incompatibili con la prima infanzia[9].
Secondo l’OMS, fra i 10 fattori ambientali a maggior rischio la salute umana sono: inquinamento dell’aria, metalli pesanti quali arsenico, cadmio, piombo, mercurio, diossine, pesticidi, benzene. Oltre a questi, anche idrocarburi policiclici aromatici (IPA), coloranti, poli-cloro-bifenili (PCB), solventi, ftalati, ritardanti di fiamma, bisfenolo A, formaldeide e numerose altre sostanze tossiche sono presenti nel nostro ambiente di vita, sia in quello confinato (“indoor”) che all’esterno (“outdoor”), e possono entrare nel nostro corpo con l’alimentazione, l’ingestione, l’uso di acque contaminate o attraverso la cute. Sono circa 100.000 le sostanze chimiche di sintesi immesse in commercio, ma solo una minima parte di esse è stata testata per gli effetti sulla salute; l’azione cancerogena, ad esempio, è stata valutata dall’Agenzia per la Ricerca sul Cancro (IARC) solo su 1013 agenti. Si tratta molto spesso di molecole persistenti, lipofile, accumulabili nell’ambiente e negli alimenti, caratterizzate dal fenomeno della biomagnificazione (crescente accumulo di una sostanza nei suoi passaggi lungo una catena alimentare), che attraverso varie vie (respirazione, alimentazione, contatto cutaneo) sono in grado di superare le principali barriere dell’organismo (barriera emato-encefalica, emato-spermatica, filtro polmonare, membrane cellulari e nucleari), nonché di passare dalla madre al bambino attraverso cordone ombelicale e latte materno.
Molte di queste, indipendentemente dalla natura chimica (metalli pesanti, diossine, PCB, pesticidi, ritardanti di fiamma, bisfenolo A, eccetera), agiscono come “interferenti endocrini”, ovvero sono in grado di interferire con sintesi, secrezione, trasporto, azione, metabolismo o eliminazione degli ormoni e alterare delicatissime funzioni causando quindi difetti alla nascita, infertilità, alterazioni metaboliche, diabete, ipertensione, deficit immunitari, tiroidei, disturbi neuro-comportamentali, tumori ormono-dipendenti. Secondo la Società Europea di Endocrinologia sono circa 1.000 le sostanze con questo tipo di azione, ma ben 85.000 quelle in uso non testate. Altre caratteristiche comuni degli interferenti endocrini sono l’assenza di soglie di sicurezza e la possibilità di indurre danni transgenerazionali, attraverso modificazioni epigenetiche dei gameti, con conseguenze quindi sulle generazioni a venire anche se cessa l’esposizione; grandissima è la preoccupazione della comunità scientifica a questo riguardo.
Nel capitolo sono affrontate nello specifico alcune delle maggiori criticità che riguardano il nostro paese, a cominciare dallo studio SENTIERI condotto dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) nei 44 Siti di Interesse Nazionale (SIN) italiani identificati come altamente inquinati e per questo candidati alla bonifica. Dall’indagine epidemiologica condotta sui residenti in queste aree (298 Comuni per complessivi 5,5 milioni di abitanti) è emerso che, nel periodo 1995-2002, si è registrato un eccesso di mortalità rispetto alle medie regionali, con 10 mila morti in più in otto anni rispetto al numero atteso, considerando tutte le cause di morte[10]. Si è pertanto avuta conferma che vivere vicino a impianti siderurgici e petrolchimici, raffinerie, inceneritori, discariche, porti, cave di amianto e miniere, anche se forniti delle autorizzazioni previste e monitorati secondo legge, aumenta il rischio di morte nella popolazione esposta. Ancora una volta è l’infanzia a pagare il prezzo più alto: nel periodo 1995-2009 i bambini morti nel primo anno di vita sono stati 3.332, con un eccesso di 126 rispetto all’atteso. Un aggiornamento recente in 22 SIN coperti da Registro Tumori nell’età da 0 a 19 anni ha mostrato un eccesso di incidenza del 9%, attribuibile soprattutto a sarcomi, leucemie mieloidi, linfomi Non Hodgkin e tumori al testicolo[11]. Ad oggi, a distanza di oltre 20 anni dalla prima perimetrazione dei SIN (1998), le aree bonificate sono minime, persiste un’inaccettabile rischio sanitario per milioni di persone e, secondo le stime di “SENTIERI”, vi è un eccesso di circa 1200 morti evitabili per ogni anno di mancata bonifica.
Il capitolo illustra inoltre le principali conseguenze sanitarie legate alla cattiva qualità dell’aria, alla contaminazione di acque e suolo, alle ricadute di una agricoltura industriale e intensiva che utilizza, nel nostro paese, oltre 130.000 tonnellate ogni anno di pesticidi. Un paragrafo è infine dedicato ai costi economici provocati dall’inquinamento, certamente non trascurabili visto che, ad esempio, annualmente in Europa per le principali patologie attribuibili ad interferenti endocrini si calcola un costo di 163 miliardi di euro, di oltre 70 milioni di euro per danni cognitivi da esposizione a mercurio e piombo e, per quelli conseguenti a pesticidi organofosforici, di circa 194 miliardi di euro[12].
In conclusione, anche nell’ambito del rapporto tra inquinamento ambientale e salute, dobbiamo abbandonare l’approccio riduzionistico che ci ha portato a valutare le conseguenze dell’esposizione al singolo inquinante, sviluppando invece il concetto di “esposoma” ovvero l’insieme delle esposizioni cui fin dal concepimento siamo esposti.
L’intero ciclo di vita si sviluppa infatti in contesti caratterizzati da un “cocktail” di inquinanti biologici, chimici, fisici, che non solo interagiscono tra loro, ma anche con i meccanismi biologici e fattori sociali, come lo status socio-economico. Questo cocktail di fattori ambientali sia fisici che chimici, nutrizionali, sociali e psicologici condiziona la salute attraverso modificazioni epigenetiche, ovvero cambiamenti dell’espressione genica che influenzano il fenotipo senza alterare il genotipo. L’epigenetica ha di fatto rivoluzionato la classica visione che vedeva il genoma come unico “depositario” del nostro destino di salute o malattia. Anche l’assunto che mutazioni casuali siano all’origine di malattie come il cancro si sono nettamente ridimensionate, facendoci capire che il ruolo dell’ambiente non è affatto ancillare, ma assolutamente determinante. È l’ambiente il vero “direttore d’orchestra” che meriterebbe tutta la nostra attenzione: risanare l’ambiente e puntare con decisione alla Prevenzione Primaria (rimozione delle cause note di malattia) dovrebbe essere quindi il primo grande obiettivo su cui concentrare il massimo impegno da parte di tutti e di ciascuno[13].
Patrizia Gentilini, ISDE Italia
Bibliografia
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