Piccola guida pratica e non esaustiva di “sovescio”dello spirito

da | 29 Mag 2020

di Gianfranco Di Caro, (un DiversamenteOccupato), Mdf Verona

SOVESCIO – Pratica agraria che consiste nel concimare un terreno sotterrandovi piante o parti di esse allo stato fresco; a tal fine si impiegano materiali vegetali cresciuti o appositamente seminati sul posto, mentre si dice concimazione verde quella effettuata con piante verdi coltivate e raccolte in altro luogo. La sua azione predominante è dovuta alla sostanza organica, con tutti gli effetti che questa, a somiglianza di quella del letame, svolge sulle caratteristiche fisiche del suolo. Tra le molte piante che si prestano per il s. sono da preferire le Fabacee (lupino, favetta, trifogli, veccia, pisello da foraggio, soia, fieno greco, colza, segale ecc.), che utilizzando l’azotoatmosferico arricchiscono il terreno di questo elemento (Dall’Enciclopedia Treccani).

Lo spiritualità inaridita. 

Nella moderna società “civilizzata” , fin da quando siamo bambini, la nostra spiritualità viene scientemente incrostata dal materialismo, che progressivamente ne riduce la sensibilità, e spesso viene indirizzata verso una religiosità dogmatica, quale unica espressione della stessa .
Poco o nulla viene fatto perché questa capacità di accettare l’immateriale venga stimolata e resa fertile o quantomeno preservata . Quasi tutte le espressioni come i sentimenti , l’arte in genere , l’oziosa contemplazione, non sono apprezzate e intese quale concime necessario a rendere le nostre vite più “feconde” e rigogliose .
Al contrario veniamo spinti, nell’ottica propria delle coltivazioni intensive, a nutrire o meglio drogare esclusivamente ciò che vediamo fuori dalla terra, ovvero solo ciò che appare e si può toccare deve essere di conforto; ci si dimentica invece di alimentare quel substrato di “bio” che fortifichi le radici e l’essenza delle nostre vite.
Ogni capacità spirituale di vibrare all’unisono con ciò che ci circonda viene svilito, anestetizzato con un progressivo irrigidimento fino alla completa e cinica sclerotizzazione, ed infine alla morte (sterile anche quella).
Certo la vita stessa ci sottopone a prove difficili, come il dolore fisico o la perdita di affetti amorosi , familiari e quant’altro. Ma se abbiamo come sostegno solo una visione economico- materialistica, senza spiritualità,perdiamo gran parte di quella capacità di adattarci e non soccombere davanti a questi eventi.
Qualcuno la chiama “resilienza”.
Per mantenere attiva , vigorosa ed “elastica” la spiritualità, come qualsiasi parte del nostro corpo, cervello compreso, dobbiamo mantenerla in esercizio e darle il corretto “nutrimento”.
Insomma dovremmo fare una sorta di “sovescio” dello spirito. Certo oggi, dove il “dio” crescita economica regna sovrano, il concetto di “apparire per essere” e la velocità sono pratiche umane usuali, può sembrare impresa impossibile. Invece è nella quotidianità che possiamo ritrovare tutta una serie di piccole “palestre” per tentare di scrollare quelle incrostazioni che rendono la nostra anima rigida, e tornare a “vibrare”. Il più delle volte proprio i nostri sensi fisici se usati come percettori, ci permettono di amplificare il contatto con tutta l’energia che ci circonda. Anche un deserto se bagnato dalla pioggia può tornare a fiorire.

La “lentezza”.
Un piccolo “trucco” che tutti possiamo adottare è ricominciare ad usare i nostri piedi. Si, secondo me, camminare permette, col concorso degli altri sensi, una rinnovata capacità di percepire ciò che ci circonda . Poi “ci dicono” che non fa troppo male, soprattutto al pianeta. Non è il camminare in se stesso, ma la velocità armonica con la fisica “umana” che lo rende ideale per gli spostamenti. Anche perché nel contempo che mi muovo e i mie “sensori” hanno il tempo di percepire, posso anche pensare. Vado spesso in bicicletta, ma già la necessità di grande attenzione, specie in città, e l’implicito dispendio di energia nella ricerca dello stato di equilibrio, distolgono molte risorse ad attività più “spirituali”. Ora non è che uno “di botto” debba diventare pellegrino e farsi la via Francigena (da tenere comunque presente) per ritrovare lo spirito perduto. Una delle principali attività umane attuali è quella di spostarsi da un punto A ad un punto B, ovviamente il più velocemente e ansiosamente possibile.
Se però “immaginiamo”questo percorso come una retta composta da una infinita serie di punti, già facciamo un piccolo esercizio spirituale/filosofico. “In geometria il punto è la cosa più piccola che possa esistere. Il punto non ha dimensioni; il punto non è largo; il punto non è lungo; il punto non è alto”.
Può essere interessante da osservare!
Perché nel camminare e nella sua umana “velocità”, il punto si estende dove i nostri sensi arrivano. Certo se il camminare è ansioso, il pensiero turbinoso, la capacità sensitiva si riduce. L’equilibrio arriva con un poco di pratica e anche di abitudini, come quella di fermarsi ogni tanto, sia con il passo che con il pensiero, e guardarsi intorno.
Percorro con mia moglie quasi tutti i giorni il medesimo tratto di strada di circa un chilometro in città vicino al fiume Adige, dove lo stesso fa una curva. Ci fermiamo ad esempio per guardare gli uccelli che frequentano il fiume. Non siamo degli esperti, ma abbiamo imparato a riconoscere diverse specie, tra cui un paio di coppie di cormorani, che d’inverno frequentano quel breve tratto di fiume che va da Ponte Pietra a Ponte Garibaldi.
Saranno poi sempre gli stessi?
La nostra sensazione è che lo siano, e il contemplarli nel volare e pescare è una gioia per l’anima. Nella partenza e nell’ammaraggio sembra che il Progettista abbia sbagliato qualche calcolo strutturale, magari distratto dalla Creazione. Sembrano goffi e pesanti e si ha sempre l’impressione che si debbano “ribaltare” o rinuncino al decollo.
Poi però li osserviamo sparire agilmente sott’acqua e scommettiamo su dove riemergeranno (non ci abbiamo mai azzeccato).

Riprendiamo il cammino.
Vado a pensare talvolta da dove vengono e dove andranno; se hanno un posto dove esclamano, ovviamente nel loro corrispettivo linguaggio ornitologico, “eccomi tornato a casa!”. Magari non sono gli stessi individui ma “amici” a cui hanno suggerito un buon posto dove rifornirsi di cibo.
Sì ma come?
Forse per qualcuno questa interpretazione antropomorfa dei rapporti ornitologici è una forzatura, o magari una semplice idiozia. In quegli appuntamenti mattutini capisco quanto poco conosciamo dei nostri compagni di viaggio su questa terra e di come potrebbero essere (e sono!) meravigliosamente complesse le loro esistenze, anche se espresse su un’altra dimensione a noi non percettibile. Non è per questo che non debba esistere.
Come la luce: provate a pensare di descriverla magari a un non vedente! Poi , se non ci riuscite , potete anche affermare che non esiste di fronte alle foglie verdi di una pianta.
Io so solo che la presenza degli altri esseri viventi ci fa compagnia e dona stupore, lasciandoci a bocca aperta di fronte a un essere aereo che va sotto acqua.
Poi con il tempo e l’allenamento i punti interessanti si moltiplicano, anche nei luoghi dove abitiamo ( forse un giorno vi racconterò della formica del lavabo); sono altri uccelli o esseri viventi, piante, alberi, colori, odori, sponde fiorite d’estate, e la miriade di insetti che le dimorano. I punti si fanno numerosi e vorresti avere solo più tempo vederli, osservarli e “pensarli” tutti.

Già, più tempo! Riprendiamocelo!