Dal consumatore al produttore

da | 12 Dic 2020

Un contributo di Bernardo Severgnini , membro del Gruppo Tematico Economia&Decrescita (*)

In un recente corteo ambientalista ho letto un cartello con la scritta: “non deve cambiare il clima, devono cambiare le nostre abitudini”. Pur esprimendo un concetto ragionevole e di buon senso, questa frase veicola implicitamente anche alcuni messaggi insidiosi e fuorvianti:

1) il senso di colpa: il cittadino dev’essere convinto che sia colpa sua se si staccano le calotte artiche e i deserti avanzano.

2) le opere buone: il cittadino deve essere convinto che attraverso i propri piccoli gesti quotidiani può cambiare il mondo.

3) l’individualizzazione: il cittadino deve proiettare in se stesso la lotta per l’ambiente. Deve farne una questione personale, che lo porterà a dimenticarsi la dimensione collettiva del problema e del sistema che lo produce.

4) l’appagamento: se il cittadino riuscirà a cambiare qualcosa nei suoi comportamenti, penserà che sta già facendo “la sua parte” e non si occuperà oltre del problema, anzi darà la colpa della crisi ambientale a quegli incivili che non fanno la raccolta differenziata come lui.

5) la distrazione: mentre il cittadino si cimenta nell’impresa di separare la plastica dall’indifferenziato, i grandi distruttori del pianeta continueranno indisturbati nel loro lavoro tra l’indifferenza generale.

Sia chiaro: per noi è fondamentale l’azione individuale e dobbiamo fare il possibile affinchè più persone, nel loro piccolo, possano mettere in moto comportamenti virtuosi e anche creare aggregazione dal basso attorno a queste pratiche, perchè il vero cambiamento può avvenire solo se i cittadini se ne rendono protagonisti attraverso le proprie scelte quotidiane. Ma siamo anche consapevoli che ciò non basta. L’azione individuale non può esaurire il nostro impegno, che deve essere rivolto anche, contemporaneamente, alla ricerca di soluzioni macro-economiche rivoluzionarie rispetto all’attuale sistema, che sono altrettanto necessarie. Questo tipo di lotta non deve essere trascurato.

Insistere sulle responsabilità individuali dei consumatori rischia infatti di distogliere l’attenzione dalle responsabilità del settore produttivo, che sono maggiori e più determinanti. Caricare esclusivamente sui consumatori l’onere del cambiamento è qualcosa di ingiusto. Non solo ingiusto, ma anche utopico. Se anche cambiassimo il nostro stile di vita, infatti, non sarebbe di per sé sufficiente a invertire la rotta sul piano ambientale, e in ogni caso non ne siamo capaci, per le seguenti ragioni:

1) la conoscenza: non abbiamo consapevolezza del reale impatto ambientale delle nostre azioni. Ci hanno insegnato a risparmiare l’acqua facendo docce brevi e spegnendo i rubinetti mentre laviamo i denti, ma poi scopriamo che mangiando un solo hamburger consumiamo tanta acqua come farci la doccia per due mesi. Facciamo la raccolta differenziata, ma un solo volo in aereo  inquina come non differenziare i rifiuti per mesi.

2) le abitudini: come si può pretendere che la gente cambi le proprie abitudini dall’oggi al domani? Chi può spiegare a mio padre che non deve mangiare più il salame perchè gli allevamenti di maiali impattano sull’ambiente? Finchè lui troverà dei salumi sugli scaffali del supermercato, li comprerà. Ci vorranno decenni e generazioni per cambiare queste abitudini, ma il pianeta non può più aspettare…

3) la pubblicità: come facciamo a smettere di consumare se per 24 ore al giorno siamo bombardati da annunci pubblicitari alla tv, alla radio, sul cellulare, sui manifesti per strada, con tanto di testimonials e di influencers, di saldi e promozioni, che ci perseguitano, ci tentano, ci inducono a consumare qualsiasi cosa?

Come si può pretendere che siano i consumatori, già frustrati dalle loro vite fatte di stenti, già indotti all’ignoranza e all’indifferenza civica da parte dei modelli mediatici dominanti, già perennemente tentati dal consumismo, come si può pretendere che siano loro a iniziare il cambiamento?

La presa di coscienza da parte della base è assolutamente necessaria, ma è un’operazione che necessita di tempi lunghi, di sistemi di informazione tesi allo scopo, di un diffuso e spiccato senso civico e di uno sforzo individuale e collettivo eroico. Una montagna che rischia di essere troppo impervia da scalare, se non si provvederà ad aiutare la scalata modificando l’offerta a disposizione dei consumatori, cioè modificando la produzione.

Se la politica è veramente al servizio del bene collettivo, è chiamata in questa fase a indirizzare il settore produttivo intervenendo su tipologia, qualità e quantità dei prodotti da immettere sul mercato. E’ chiamata inoltre a regolare l’aspetto del marketing: come è vietata oggi la pubblicità delle sigarette, ad esempio, si dovrebbero vietare o comunque ridimensionare tutte le pubblicità di prodotti ad alto impatto sociale e/o ambientale.

Troppo spesso abbiamo rivolto campagne di sensibilizzazione alle coscienze dei singoli consumatori, e troppo poco le abbiamo rivolte a coloro che producono, e che producendo danneggiano la società e l’ambiente per il proprio arricchimento personale. Il cambiamento deve partire da qui: una società organizzata per il cambiamento è innanzitutto una società che governa il proprio settore produttivo e lo indirizza verso il bene comune.

Foto di Clker-Free-Vector-Images da Pixabay

(*) Gruppo Tematico Economia & Decrescita MDF

Il Gruppo Tematico è nato nel giugno 2015 allo scopo di affrontare il rapporto tra Decrescita ed Economia in modo sistematico, sia a livello microeconomico (proposte economiche in ambiti specifici) che a livello macroeconomico (definizione dei parametri che possono caratterizzare uno scenario economico con un impatto ecologico sostenibile).

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