Decrescita felice: il Corriere della Sera intervista Lucia Cuffaro

da | 19 Apr 2021

Di Andrea Federica De Cesco per il Corriere della Sera

Da una parte c’è il fatto di essere stata abituata sin da piccola alla sobrietà e al fai-da-te. Dall’altra quello di essere cresciuta a pochi passi dalla discarica Malagrotta, fino al 2013 la più grande d’Europa. Nasce così la coscienza ambientale di Lucia Cuffaro, 42enne romana. Dopo anni a lavorare nell’organizzazione di eventi e come assistente ai programmi, da oltre un decennio, Lucia si dedica totalmente all’ecologia e alla divulgazione ambientale. Ha creato un blog, Autoproduciamo, e un portale per la formazione online, EcoSapere (di cui fa parte la Scuola dell’Autoproduzione). Ha scritto cinque libri (Occhio all’Etichetta!, Eco Kit per le Pulizie Ecologiche, Cambio Pelle in 7 passi, Risparmia 700 euro in 7 giorni e Fatto in casa) e conduce “Chi fa da sé”, rubrica eco all’interno del programma di RaiUno Unomattina. Ambientalista, vegana e amante degli animali, da quattro anni è copresidente nazionale del Movimento per la Decrescita Felice.

Per anni hai lavorato nel campo dell’organizzazione di eventi e poi in Rai, come assistente ai programmi. Quando e perché hai deciso di lasciare tutto?

«Nel 2009 ho avuto un problema di salute e sono finita in ospedale per tre mesi. Ho rischiato… E così ho rivisto la mia vita. Ho capito che per me era importante che il lavoro avesse un aspetto valoriale ed etico. Volevo sentirmi utile. Quindi ho deciso di licenziarmi. Allora lavoravo come assistente al programma di Rai 3 Report, ma anche lì non riuscivo a dare il mio contributo come avrei voluto».

E poi cos’è successo?

«In quell’anno avevo cominciato a fare attivismo da un punto di vista ambientale. Ho fatto alcuni colloqui alla Città dell’Utopia di Roma, che già frequentavo con il circolo romano del Movimento per la Decrescita Felice. Sono diventata la coordinatrice del progetto, un luogo di attivismo e di ecologia dove si fanno attività sociali e culturali. Sono passata da uno stipendio che con gli straordinari arrivava a 2.300 euro a uno da 780. Ma ero felice».

Come ti eri avvicinata all’attivismo ambientale?

«Tutto è iniziato circa 15 anni fa, quando sono entrata a far parte delle lotte territoriali per la chiusura della discarica di Malagrotta, che è vicina a dove abito, e per la bonifica della valle Galeria. È un territorio bellissimo e devastato. Abbiamo deciso di fare qualcosa per cambiare la situazione. Nello stesso periodo insieme ad altre persone avevo dato vita all’associazione Massimina.it per ravvivare il quartiere da un punto di vista sociale e creare comunità».

E al Movimento per la Decrescita Felice invece come sei arrivata?

«Nel 2008 un amico mi ha mandato un’email parlandomi dei laboratori di autoproduzione del progetto Università del Saper Fare del Movimento per la Decrescita Felice. Nel giro di qualche tempo da utente di questi corsi sono passata a essere un membro dell’associazione. Dopo alcuni anni sono diventata la presidente del circolo di Roma. Un’esperienza entusiasmante, tanto che per dedicarmici mi sono presa alcuni mesi sabbatici dal lavoro. Nel 2017 sono poi diventata la vicepresidente nazionale e dal 2019 sono copresidente nazionale».

In cosa consiste il Movimento?

«È un’associazione che si occupa di sensibilizzare le persone verso un approccio mirato a ripensare il proprio modo di vivere. Sono due i punti di vista: quello personale e quello della pressione economica e politica, con lo scopo di andare verso un’economia solidale a basso impatto ambientale e una società che non crei sprechi e non induca bisogni. È una scelta di buon senso che riguarda stili di vita, politica e tecnologia. Il Movimento è nato nel 2007 su spinta di Maurizio Pallante, saggista contrario all’idea che il benessere del Paese debba basarsi soltanto sulla crescita del Pil. Ha venti realtà territoriali (tra circoli e gruppi) in tutta Italia».

Nel frattempo qualche anno dopo esserti licenziata sei tornata in Rai per condurre una tua rubrica eco all’interno di Unomattina, “Chi fa da sé”…

«Sì, ho ricevuto la proposta nel 2012. È stato un caso. La Rai aveva aveva chiamato per sbaglio alla Città dell’Utopia anziché al Movimento per la Decrescita Felice. Ho risposto io, che ai tempi non soltanto lavoravo alla Città dell’Utopia ma ero anche presidente del circolo di Roma del Movimento. Ho fatto una classica ospitata e dopo sei mesi ho ricevuto una proposta per condurre una rubrica mia. Una cosa rarissima. Devo dire grazie soprattutto a Giovanni Taglialavoro, autore televisivo che ha a cuore le tematiche ambientali. Peraltro mi hanno affidato una rubrica dedicata alle pratiche ecologiche, all’autoproduzione naturale e alla decrescita felice in un momento in cui si parlava praticamente solo di crescita economica etc. Ci sono quasi due milioni telespettatori a puntata. Da allora la mia vita è cambiata. Dal momento che molti mi chiedevano ricette ho creato un blog, Autoproduciamo. Poi mi hanno chiesto di fare un libro. Non mi sentivo all’altezza, ma alla fine ho accettato pensando di poter dare un piccolo contributo alla divulgazione e ho iniziato un percorso insieme alla casa editrice Macro. Il mio primo libro, Fatto in casa, è stato successo: dopo un giorno erano già esaurite le prime quattromila copie».

Che bambina eri? La tua famiglia ha influito sulla persona che sei diventata?

«Mia mamma è ciociara, la famiglia di mio papà siciliana: entrambi sono attenti alle tradizioni e sono attaccati alla terra. Inoltre hanno un approccio alla vita sobrio e attento. Nella mia famiglia non si sprecava nulla, dal cibo alla luce. Si riutilizzava il riutilizzabile. Alle elementari tutti avevano giocattoli fighissimi, io soltanto un mini pony, un po’ scolorito. Mi creavo i giocattoli da sola. Anche mio padre mi ha spinto verso il fai-da-te: in quarta elementare mi ha insegnato a riparare le prese elettriche, a mettere chiodi, a rincollare le scarpe… E in quinta organizzavo le feste per i bambini di prima».

Cos’hai studiato?

«Ho scelto Sociologia perché volevo fare marketing e organizzare eventi. E così ho capito che quello che volevo fare era smarketing, svelare cioè gli inganni del mercato ai consumatori. Sociologia mi ha dato un approccio alla vita analitico. E mi risulta utile perché nell’ambito dell’attivismo mi occupo anche di comunicazione. Poi mi sono iscritta a Naturopatia per approfondire le tematiche di cui mi occupo. Sto ultimando la tesi proprio in questi giorni. Parla della cura e dei rimedi antichi e naturali per la pelle».

Tra le tue missioni c’è anche quello della riduzione dei rifiuti. Proprio su questo tema hai collaborato con la Camera dei Deputati…

«Un socio di Massimina.it, Stefano Vignaroli, nel 2013 è entrato alla Camera per occuparsi di rifiuti e ambiente e mi ha chiesto di dargli una mano. Abbiamo lavorato su molti progetti interessanti ed etici, come la legge sul vuoto a rendere (che è stata approvata), una legge sui rifiuti e una sulla riorganizzazione del settore dell’usato. Ma la politica è molto impegnativa e preferisco fare parte delle reti dal basso. Dopo due anni e mezzo abbiamo interrotto questo percorso».

E invece nella vita di tutti i giorni come fai a ridurre al massimo la produzione di rifiuti?

«Per quanto riguarda le farine, le cinque materie prime che mi servono per fare i detersivi, i legumi etc faccio solo acquisti pianificati con i gruppi di acquisto solidale. Mi sono appena arrivati 15 chili di riso italiano e biologico, sfuso, grazie a cui sarò autosufficiente per mesi. In generale compro le basi di quello che mi serve per cucinare una volta l’anno. È il caso dei fiocchi d’avena, che uso per fare le torte e il latte vegetale (peraltro facendo il latte vegetale in casa una famiglia risparmia oltre 500 euro l’anno). Il pane a lievitazione naturale è per me fondamentale. Quando viaggio mi porto le mie pagnotte fatte con la pasta madre e le farine di grano antico dei contadini. Dal momento che sono vegana mangio soprattutto verdure. Le coltivo io stessa in un orto che condivido con due amiche e nella CSA Semi di Comunità – una comunità a supporto dell’agricoltura, dove coltiviamo il nostro cibo senza sprechi e in biologico con 200 famiglie. I legumi li compro sfusi e li faccio germogliare, per la vitamina B. Le verdure fermentate invece fanno bene al sistema immunitario. Le passate di pomodoro le acquisto tramite progetti etici legati ai migranti. Il caffè l’ho appena preso in prefinanziamento con il progetto Tatawelo, che finanzia mesi prima le famiglie in Chiapas per la coltivazione del caffè. Insomma, quando è iniziato il lockdown ero già autosufficiente. Tutto ciò ti permette di avere una vita più leggera. Di vestiti ne compro pochissimi. I tacchi li ho dimenticati: fino al 2020 ballavo lo swing, ora indosso quasi soltanto gli abiti per lavorare nell’orto e stivaloni verdi da agricoltura. Scambio vestiti e oggetti con varie associazioni grazie agli swap party. In un’occasione mi sono guadagnata un ferro da stiro portatile da viaggio. Adoro l’idea dello scambio e del dono. La mia bici, per esempio, la possono usare più persone».

Sembra molto faticoso…

«Ma no, basta organizzarsi e pianificare. Mi segno nell’agenda le cose da fare, uso molto i simboli per rendere tutto ancor più semplice. Ad esempio, il mercoledì quando prendo le verdure in un’oretta cuocio subito quelle più ingombranti o che si rovinano e poi le mangio nel resto della settimana».

Com’è organizzata la tua settimana?

«Funziono come i miei occhi: ne ho uno pigro e uno ipermetrope, iperattivo. Lavoro molto i primi giorni della settimana, spesso si tratta di lavoro associativo (per il Movimento per la Decrescita Felice, soprattutto). Appena posso vado sui campi della cooperativa agricola Semi di Comunità e almeno una volta alla settimana all’orto che condivido con le mie amiche. Gioco a beach volley due volte alla settimana e una vado in bici. E faccio teatro improvvisazione. Poi ci sono la Rai, EcoSapere, l’autoproduzione, gli articoli, le docenze, le conferenze… Pianifico molto e così ci metto poco a fare tutto».

In cosa consiste EcoSapere?

«Dopo diversi anni era diventato faticoso girare l’Italia per conferenze etc. Così nel 2019 ho fondato la Scuola dell’Autoproduzione, la prima online in Europa. Parallelamente, con il supporto tecnico di Paolo Farneti e video di Fabio Quattrini, ho creato il portale di formazione online EcoSapere. Include sei corsi dedicati ad altrettante tematiche: oltre alla Scuola dell’Autoproduzione ci sono corsi sulla comunicazione etica, sul benessere, sull’orto, sugli oli essenziali e sul cambiare lavoro. Tutto ciò, insieme alle conferenze che mi danno un buon introito, mi permette di sovvenzionare il lavoro di attivismo che faccio con il Movimento per la Decrescita Felice. E così posso realizzare il mio sogno di fare l’attivista quasi a tempo pieno».

Sei anche una grande divulgatrice, tra “Chi fa da sé”, la Scuola dell’Autoproduzione, i libri, gli articoli che scrivi per le riviste, i social, il blog… Quali sono i contenuti che interessano di più?

«Va un po’ a trend. Per molti anni sono andate benissimo la cosmetica e la cura del corpo. Poi è arrivato il tema del cibo. La mia cucina, quella vegana, è una cucina sana, leggera, antiossidante, ottima per la prevenzione della salute. Cerco di fare anche un discorso di filiere. Spiego come e dove comprare, come evitare gli scarti… L’anno scorso con la pandemia c’era grande attenzione per il giardinaggio. Peraltro avere piante e orto fa benissimo all’umore. E poi c’è il tema dei detersivi e delle ecopulizie. Mi sono arrivate centinaia di richieste per la ricetta dell’igienizzante per le mani e per le superfici, che ho fatto con una chimica. Il post sul blog ha ottenuto migliaia di visualizzazioni in due giorni, fino a un totale di 150 mila visualizzazioni».

Qual è la cosa che più di ogni altra vale la pena autoprodurre?

«Il deodorante è facilissimo e si fa in pochi secondi: servono due cucchiai di bicarbonato di sodio, uno di amido di mais e 15 gocce di olio essenziale tea tree. Il tutto al costo effettivo di circa 15 centesimi. Viene fuori un deodorante in polvere più efficace di quello commerciale, contenente cloridato di alluminio – una sostanza che può creare problemi di salute. Essendo una ricetta storica nel mondo ecologico, credo che in Italia lo usino almeno 800/900 mila persone. Un’altra ricetta che piace serve per creare una sostanza con quattro funzioni: ammorbidente, brillantante, decalcificante, anticalcare. Si fa con 200 grammi di acido citrico da versare in 800 grammi di acqua (meglio se demineralizzata). Si può conservare nelle bottiglie della passata del pomodoro. Così si evita di rilasciare sostanze di sintesi aggressive – il brillantante in genere è molto inquinante. Per un anno bastano due chili di acido citrico».

C’è qualche divulgatore nell’ambito della sostenibilità ambientale a cui fai riferimento?

«Elena Tioli, una delle mie migliori amiche, che racconta come vivere senza supermercato. Il progetto Bosco di Ogigia con Francesca Della Giovampaola e Filippo Bellantoni, dedicato alle pratiche ecologiche e alla permacultura (ossia la progettazione ecologica della parte agricola). Matteo Cereda, che ha creato la community più grande d’Italia sugli orti, Orto da ColtivareLisa Casali, per quanto riguarda il discorso sull’ecocucina. E suggerisco di guardare il portale Italia che Cambia, con storie propositive».

Ci consigli qualche documentario e qualche libro?

«Tra i documentari Domani, che racconta il cambiamento climatico e la paura dei genitori per i figli, e Cowspiracy, sugli allevamenti intensivi. Tra i libri quelli di Maurizio Pallante (in particolare quello sulla decrescita felice), quelli di Luca Mercalli che raccontano il cambiamento climatico in atto e quelli di Stefano Mancuso sull’intelligenza delle piante».