Un contributo di Maria Elena Bertoli e Bernardo Severgnini del circolo MDF di Lucca
In questi giorni i fedeli musulmani stanno celebrando il mese del Ramadan. Il digiuno nel mese di Ramadan è uno dei 5 pilastri dell’Islam, un precetto che alla maggior parte di noi occidentali sembra assurdo e per alcuni addirittura ridicolo.
Perchè si digiuna durante il Ramadan? C’è un aspetto prettamente religioso: con questo digiuno si vuole dimostrare la fedeltà, la devozione e l’amore incondizionato verso Dio. Ma per noi che siamo cresciuti nell’era del consumismo, il Ramadan significa anche altro.
Il digiuno significa allenare la propria forza di volontà: dimostrare a noi stessi che non siamo delle piantine mollicce che si fanno piegare dal vento, ma che sappiamo essere dei tronchi ben piantati e se ci mettiamo in testa di fare una cosa, siamo in grado di farla.
Il digiuno significa allenare il proprio autocontrollo: dimostrare a noi stessi che siamo in grado di non farci guidare esclusivamente dal nostro istinto, ma siamo esseri umani e attraverso la ragione possiamo controllare i nostri comportamenti.
Il digiuno significa purificazione, fisica e spirituale, cioè una condizione in cui viene tolto terreno alla voracità dell’Ego che vorrebbe divorare il mondo per la paura di perdere se stesso. Il digiuno sospende la voracità e con essa la paura.
Il digiuno collettivo poi significa sinergia: è l’azione di una intera comunità che lo pratica contemporaneamente, dove i membri si sostengono a vicenda, entrando in un terreno nuovo come un corpo solo. Una dimensione diversa che avvolge e rafforza per contagio, anche non volendo, come sempre fanno la festa e il tempo sacro.
Ma soprattutto, il digiuno significa allenarsi a rinunciare, perchè un giorno dovremo rinunciare a tutto ciò che abbiamo, la vita, e quel giorno non ci deve far paura.
Saper rinunciare, questo è ciò che manca alla nostra società dell’opulenza e del consumismo. Per questo le pratiche di digiuno e astinenza, che un tempo erano diffuse anche nel Cristianesimo, oggi sono quasi scomparse in Occidente: perchè non servono al sistema. Oggi il sistema ti spinge al contrario ad allenare la tua voracità, a essere ingordo, ad assecondare i tuoi vizi, e basta guardare qualsiasi pubblicità in tv per rendersene conto: lasciati tentare, dai, consuma! Dai, che più consumi più sei figo, fa niente se questo rovinerà la tua salute, fa niente se questo farà di te un automa, un burattino senza carattere, un animale senza spirito.
Di fronte a questa degenerazione, è importante riscoprire quegli insegnamenti che la saggezza antica, anche attraverso i precetti religiosi, ci ha tramandato. Non si tratta di preferire una religione a un’altra, non si tratta nemmeno di essere religiosi per forza; si tratta di recuperare dei valori preziosi per la nostra salute fisica, mentale e spirituale, valori che l’età del consumismo, come un rullo compressore, ha schiacciato, intossicando la nostra vita e tutta la vita sulla Terra.
La società e il pianeta intero hanno urgente bisogno di disintossicarsi, e per far questo hanno bisogno di coltivare la dimensione positiva e catartica della rinuncia. Questo concetto è una colonna portante del paradigma della decrescita. In fondo, cos’è la decrescita se non una rinuncia al superfluo, esattamente come il digiuno?
La rinuncia è vista nella mentalità comune come un valore negativo, e questo perché la mentalità comune è pervasa ormai dallo spirito tracotante del consumismo. Ma se non si inverte questo tipo di mentalità, difficilmente la società potrà abbracciare i principi della decrescita. Per questo, chi persegue la decrescita felice non ha paura di parlare di rinuncia, anzi rivendica i valori positivi che appartengono al concetto di sobrietà, gli stessi valori che i maestri spirituali di tutto il mondo, da millenni, ci tramandano.
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