Il ministro alla transizione ecologica Roberto Cingolani ha esternato il suo pensiero in una lunga intervista a Federico Fubini sul Corriere della Sera (Tempi certi per il Recovery. O falliremo la transizione verde, p.11, 3 maggio 2021). Publichiamo qui di seguito la risposta di Paolo Cacciari.
Il ministro è partito bene e finito malissimo: “Non possiamo permettere un ulteriore degrado delle condizioni del clima, delle acque, del suolo. Le crisi sanitarie globali e gli eventi climatici estremi diventano sempre più frequenti”. Per poi concludere: “Credo che nessuno sia così folle da pensare che la risposta sia la decrescita. Non si può chiedere alle persone di perdere il lavoro perché tutto deve essere verde. La sostenibilità è sempre un compromesso, non può essere un valore assoluto. Dunque deve mediare tra istanze diverse”.
In poche righe, il nostro professore di fisica, esprime una visione del mondo che è un concentrato di errori, teorici ed empirici.
Iniziamo dalla decrescita. Sono ormai in molti a pensare che senza una netta diminuzione dei flussi di materia e di energia impiegati nei cicli produttivi (material footprint) il sistema economico non riuscirà mai a rientrare in una traiettoria di sostenibilità ambientale. La pensa così anche l’European Environmental Agency (EEA), una rete indipendente d’informazione e di osservazione che coopera con 32 paesi e con le istituzioni dell’Unione Europea.
In un recente rapporto, l’EEA ha certificato che la crescita economica misurata in valore monetario si trascina un sovraccarico di uso delle risorse naturali non compensato né dall’aumento di efficienza dei processi produttivi (il cosiddetto decoupling), né dal riuso e riciclo delle materie (la cosiddetta “economia circolare”).
La EEA giunge alla conclusione che sia necessario “ripensare cosa si intende per crescita e progresso” e indica esplicitamente tre percorsi possibili: il modello dell’economista inglese Kate Raworth, detto dell’“economia della ciambella”, che contempla un doppio vincolo sociale e ambientale; il modello della “post-crescita”, dove il benessere delle persone si sgancia dall’aumento della crescita economica; la “decrescita”, che mira ad una contrazione della domanda e dei consumi finali.
In altre parole, la sostenibilità delle attività umane sarà una partita persa in partenza se non “cambiando i consumi e le pratiche sociali”. Se si lascia decidere cosa, come, dove e quanto produrre alle libere forze economiche di mercato non vi sarà nessuna transizione ecologica, ma solo un inseguimento senza fine della crescita del fabbisogno di nuova energia (fosse anche tutta da “fonti rinnovabili”) e della crescita dell’estrazione di nuovi materiali (sempre più rari e critici).
Una ricerca dell’International Energy Agency (IEA) ricorda che per costruire un’auto elettrica serve una quantità di minerali sei volte superiore ad un’auto tradizionale. Per realizzare un campo eolico servono nove volte più materiali rispetto ad una centrale elettrica alimentata a gas. Da qui le guerre commerciali in corso per l’accaparramento di litio, nickel, cobalto, manganese, grafite (tutti elementi indispensabili per la produzione di accumulatori e batterie), delle Terre rare (per magneti e turbine), di rame e alluminio (per reti elettriche).
La corsa alla decarbonizzazione – se lasciata solo sulle gambe dell’innovazione tecnologica – può riservarci spiacevoli sorprese su altri versanti. Non è un caso se i “tecno-ottimisti”, dal nostro Cingolani al guru Bill Gates, non pronunciano mai le parole biodiversità, ecosistemi, biosfera, natura.
Qui sta il secondo errore della visione del nostro ministro. La sostenibilità ambientale non può essere il risultato di un “compromesso tra istanze diverse”, poiché le esigenze che si fronteggiano non sono confrontabili, si riferiscono ad entità con proprietà qualitative assai diverse. Come voler sommare mele e pere. Banalmente: mentre le leggi delle scienze naturali (la fisica, la biologia, la climatologia ecc.) non sono modificabili a nostro piacimento, le regole economiche sono solo il frutto di convezioni sociopolitiche, storicamente determinate dalle volontà degli esseri umani, quindi sempre mutabili.
Sulla questione della sacrificabilità delle forme di vita sull’altare del denaro, papa Bergoglio ha pronunciato frasi straordinariamente chiare, che dovrebbero far arrossire i “trattativisti”. Il principio di precauzione – scrive nella Laudato si’ – va applicato rigorosamente. “Non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro” (§ 194).
Non ci può essere compromesso tra i valori intrinseci degli esseri viventi (tutti: piante e animali non umani compresi) e loro valorizzazione economica, monetaria.
Da un ministro preposto alla tutela dell’ambiente ci si aspetterebbe che, nella contesa tra salute ecosistemica e denaro, prendesse posizione a favore della prima. Invece no.
Ancora alcune frasi di Bergoglio calzano a pennello tanti green-washing-man: “La crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine” (§ 194).
“Quando si parla di ‘uso sostenibile’ bisogna sempre introdurre una considerazione sulla capacità di rigenerazione di ogni ecosistema nei suoi diversi settori e aspetti” (§ 140).
Terzo, doppio, errore: Cingolani, scegliendo un linguaggio degno solo del terrorismo antiecologico di Confindustria, non consono ad un uomo di scienze, qual è, afferma che: “Non si può chiedere alle persone di perdere il lavoro perché tutto deve essere verde”.
Primo, il ministro dà per scontato e immodificabile il fatto che il “lavoro” sia inconciliabile con il “verde”. Secondo, nega che possano esistere delle attività lavorative remunerate utili alla riconversione ecologica degli apparati produttivi.
Insomma nega tutto quanto dovrebbe fare un ministro all’ambiente. Pardon, alla transizione ecologica.