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«Nè la rivoluzione nè la riforma possono, in ultima istanza,
cambiare una società, senza che ci sia da raccontare una storia nuova e potente,
tanto persuasiva da bloccare i vecchi miti e trasformarsi nella storia preferita…
Se si vuole cambiare una società si deve narrare una storia alternativa».– IVAN ILLICH
Costanza
I
«Non so perché i miei genitori scelsero per me questo nome…»
La donna accolse i nuovi arrivati con un sorriso, li invitò ad accomodarsi, e offrì loro un infuso di erbe aromatiche, come era tradizione. Tutte le lezioni a Limite iniziavano così. Era la prima volta che i nuovi arrivati prendevano parte formalmente ad una delle lezioni che si tenevano a Limite. Fu alquanto buffo, perché i limitesi che erano lì per imparare erano quasi tutti bambini – di età tra i sette e i quattordici anni – e loro erano gli unici adulti, oltre all’insegnante.
La donna percepiva il loro disagio. Lì per lì pensò che avrebbe dovuto escogitare, alla svelta, qualcosa per rimediare, ma poi si disse che no, non ce n’era bisogno. Un’intuizione le arrivò, chissà come, e voltandosi verso i bambini e i ragazzi limitesi, vide che nei loro occhi c’era già la risposta.
Per loro tutto era naturale. Imparare cose nuove era naturale. Che lo si facesse a dieci anni o a quaranta, che differenza faceva? I ragazzi accolsero i nuovi arrivati come se niente fosse. Non uno sguardo di disappunto o di scherno, nessuna presa in giro, ma anzi un gran gioia per poter condividere quell’esperienza con i nuovi amici.
Costanza lasciò che fossero i bambini a risolvere tutto e – come spesso accadeva a Limite – ci riuscirono abbastanza bene. Per loro tutto era un gioco, un gioco a cui ora potevano partecipare anche alcuni adulti, e per di più adulti che – come loro – non avevano ancora imparato bene a giocare. I bambini lo intuirono istantaneamente: i nuovi arrivati erano al loro stesso livello. Li trattarono quindi da pari a pari, e questo fu più che sufficiente per scaldare l’atmosfera che altrimenti avrebbe rischiato di essere alquanto tesa, non tanto per gli uni quanto per gli altri.
«A volte però penso che nella vita ero destinata ad insegnare. Forse questo non c’entra nulla, o forse sì, chi può dirlo? Però i bambini di Limite una cosa l’hanno capita bene: per imparare qualsiasi cosa…»
«Ci vuole Costanza!» gridarono i piccoli in coro, ridendo e correndo subito ad abbracciare la donna.
***
I nuovi arrivati avevano notato subito i telai manuali che si trovavano nella stanza, ed anche che erano in numero decisamente inferiore ai partecipanti di quella insolita lezione. Costanza infatti chiese subito di formare dei gruppi e – disse espressamente – dovevano essere gruppi misti. Ogni gruppo doveva cioè essere composto da limitesi e da ospiti oppure, il che era la stessa cosa, da ragazzi e da adulti.
Bruno, uno dei nuovi arrivati, a quella richiesta manifestò subito segni di disagio, ma non fece nemmeno in tempo a formulare un pensiero che si potesse articolare in parole: sentì subito che qualcuno lo tirava per un braccio.
«Vieni, ti faccio vedere io come si fa». Un cespuglio di capelli rossicci con sotto due occhi vispi e un’espressione divertita lo aveva praticamente sequestrato e lo stava trascinando verso uno dei telai.
«Bruno, ti presento Donato…» sorrise Costanza.
«Ciao Bruno» aggiunse il cespuglio rosso e lo spinse a sedere davanti al telaio «Lei è Bella» aggiunse poi indicando una ragazzina bionda che si era avvicinata.
«Sì, hai ragione» sorrise Bruno, sforzandosi di essere naturale e sperando di celare il suo disagio «È molto bella!»
«Ma no, che c’entra!» tuonò Donato, mentre tutti gli altri (Costanza inclusa) scoppiavano a ridere gettando Bruno nell’imbarazzo più totale «Lei si chiama Bella! È il suo nome!»
«Che in realtà sarebbe Gabriella – precisò Costanza – ma da quando era piccola i suoi genitori l’hanno sempre chiamata Bella, complice suo fratello, che ha due anni più di lei e che appena ha iniziato a parlare ha subito mostrato… una certa avversione per le erre, diciamo! Insomma… da allora tutti la chiamano Bella»
«Piacere di conoscerti Bella» le disse Bruno. Lei sorrise.
«Sei nella nostra squadra ora – disse – e ti avverto: i colori della trama li scelgo io!»
Bruno si strinse nelle spalle: «Va bene….». Pensava di essersela cavata così, ma il cespuglio rosso lo fulminò subito con lo sguardo: «Lo sai vero qual è la differenza tra trama e ordito?»
Com’è che i bambini riescono sempre a trovare il tuo punto debole? Bruno se lo chiedeva sempre….
II
Alla fine della prima giornata accadde quanto era prevedibile. I bambini erano tutti molto felici dei loro nuovi amici “grandi”, tutti dissero che si erano divertiti molto e che non vedevano l’ora che arrivasse il momento della nuova lezione di tessitura. Tra gli adulti invece le impressioni non furono ugualmente omogenee, e qualcuno avanzò timide obiezioni.
«È stato sicuramente interessante… ma, in tutta onestà, non mi ci vedo molto a svolgere questo compito, non credo di esserci così portato ecco» disse Eri.
«Poi… insomma, è davvero necessario? – incalzò Bruno – Voglio dire, che tutti imparino ad usare i telai… non sono sufficienti una o due persone per il fabbisogno del villaggio?»
«In linea di massima hai ragione, sarebbe sufficiente! – rispose prontamente Costanza – Ma non devi pensare alla divulgazione di queste conoscenze solo in termini di utilità pratica. C’è anche un aspetto morale».
«Morale? Ma come morale?»
«Una comunità è tanto più solida quanto più è radicato il senso della condivisione. E col tempo abbiamo imparato che è buona cosa che tutti ci sentiamo utili, ma che nessuno si senta indispensabile…»
Prima che Bruno, Eri, o qualcuno degli altri potesse controbattere, i bambini esplosero:
«Costanza, possiamo raccontare a Bruno e agli altri la storia del mugnaio?»
«Certamente – sorrise la donna – se vi fa piacere. I bambini amano molto questa storia» proseguì poi rivolta ai nuovi arrivati.
Quella storia inoltre avrebbe potuto aiutarla a far comprendere loro il perché a Limite si insegnava in quel modo. Il fatto che tutti sviluppassero il maggior numero possibile di attitudini per i lavori manuali, poteva a tutta prima apparire eccessivo per chi, come gli amici che arrivavano dalla pianura, era abituato alla specializzazione ed alla divisione dei compiti. Anche a Limite ci si dividevano i compiti, è chiaro, ma si considerava comunque una ricchezza il fatto di saper fare molte cose, e l’episodio cui i bambini accennavano lo dimostrava chiaramente.
***
Bella iniziò: «Tanto tempo fa, quando i nostri nonni arrivarono qui sull’altopiano e iniziarono a coltivare… videro che avevano bisogno di un mulino. Perché dovevano macinare il grano per fare la farina!»
«Allora costruirono un mulino» incalzò Donato «Lo avete visto il mulino, laggiù?» Bruno, Eri e alcuni degli altri annuirono.
«Ma quando il mulino fu pronto…. indovinate un po’ cosa successe?» incalzò Bella assumendo un’aria misteriosa. Era un’attrice nata, questo lo si capiva subito anche senza conoscerla. Bruno colse quel sano divertimento che traspariva dagli occhi della ragazzina, il divertimento che danno le storie, sia quando le si ascolta che quando le si racconta!
«Cosa successe Bella? – chiese con complicità – Sù, dai! Diccelo»
«Non successe proprio niente! – esplose la biondina che evidentemente aveva ottenuto dal suo pubblico l’effetto che si aspettava – Perchè non c’era il mugnaio!» tutti risero.
«E poi?» incalzò Bruno, ormai in perfetta sintonia con i due ragazzi.
«Poi provarono a imparare – disse Donato – Sai, c’era un vecchio che una volta aveva fatto il mugnaio, e insegnò agli altri come si faceva»
«Ma se sapeva come fare… perché non fece lui il mugnaio?» chiese Eri.
«Ma no!» tuonò Donato. Come potevano gli adulti non capire una cosa tanto ovvia? I ragazzini stavano cominciando a divertirsi un mondo con loro. Forse per la prima volta a Limite erano loro, i bambini, che insegnavano ai grandi. Cose da non crederci! «Non poteva fare lui il mugnaio, te l’ho detto, era vecchio! Fare il mugnaio è molto faticoso sai?» aveva proseguito.
«Mi sa tanto che non l’avete mai fatto… vero?» incalzò Bella. Tutti gli adulti scossero la testa.
«Non vi preoccupate, vi toccherà presto imparare anche questo, se rimarrete qui!»
Bruno si voltò a cercare lo sguardo di Costanza, dalla quale sperava tanto di avere un minimo di conforto. Qualcosa del tipo “Non gli dare retta, lo sai come sono i bambini” o cose simili. Ma lo sguardo di Costanza fu di tutt’altro genere e fece capire d’un tratto a Bruno e agli altri che li aspettavano mesi alquanto impegnativi… Nel frattempo Bella aveva proseguito con la sua storia:
«Allora, le cose stavano così: il lavoro nei campi era faticoso, e lo dovevano fare tutti. E dopo, bisognava pure che qualcuno facesse funzionare il mulino, che era anche questo molto faticoso. Insomma, non lo voleva fare nessuno! Ma proprio nessuno, sai? Però senza mugnaio non si poteva fare la farina… era un bel problema. E poi… e poi… Costanza vai avanti tu? Non mi ricordo…»
Bella si era avvicinata alla donna che si mise a sedere su uno degli sgabelli e la prese in braccio, prendendo a carezzarle i capelli.
«Sapete, allora gli anziani che erano arrivati dalla pianura non avevano ancora capito che il lavoro non è una merce. La tendenza a voler misurare tutto era ancora un po’ troppo presente. È vero, cercavano di fare a meno del denaro, questa fu la prima cosa saggia che fecero. Però ci volle un po’ di tempo. Inizialmente si pensava che, essendo il lavoro del mugnaio particolarmente oneroso, questo andasse pagato bene. Così venne deciso che, come raccontavano i nonni dei nonni, il mugnaio potesse trattenere per sè una certa percentuale della farina che macinava. Questo convinse uno dei pochi che avevano imparato il mestiere a farsi avanti e proporsi per la gestione del mulino. Inizialmente la cosa parve funzionare, però il mugnaio capì presto che il suo ruolo era praticamente indispensabile, così iniziò a chiedere di più… e poi ancora di più.
Così gli altri contadini iniziarono a lamentarsi. La loro fatica non diminuiva, anno dopo anno, ma la loro farina invece diminuiva eccome! Il mugnaio invece ne aveva sempre di più e presto iniziò a tralasciare il lavoro nei campi. Con la percentuale di farina che otteneva dalla molitura riusciva a vivere abbastanza bene. Lentamente iniziò ad abbandonare la coltivazione dei cereali, mantenendo invece quelle dei legumi, ortaggi e così via (perché queste cose di cui aveva comunque bisogno non poteva ottenerle diversamente).
Come sapete qui a Limite non c’è mai stato bisogno di produrre più del necessario. Siamo prudenti, cerchiamo di avere sempre delle scorte in caso accadano degli imprevisti, ma nessuno accumula più di tanto. Così, via via che la terra del mugnaio veniva abbandonata, la produzione di cereali diminuiva. E poiché lui chiedeva sempre di più, agli altri ne restava sempre di meno, non solo per la sua ingordigia, ma anche per la sua pigrizia. Non c’era soluzione per loro: o rimboccarsi le maniche e coltivare anche la parte di terreno abbandonata dal mugnaio, o fare la fame. In cuor loro iniziarono tutti a odiare quell’uomo, anche se nessuno lo ammetteva…»
«Indovinate come si chiamava!» esplose d’un tratto Bella. I nuovi arrivati si guardarono l’un l’altro con aria interrogativa (il che era esattamente quello che Bella auspicava succedesse!) e dopo una pausa misurata, degna di una attrice navigata, disse: «Il mugnaio si chiamava Quinto! E sapete cosa dicevano di lui i nostri nonni? Dicevano: “se continua a chiedere per sè sempre più farina, dove andremo a finire? Finirà che Quinto vorrà tenere per sè un quinto della farina!” Era come una maledizione insomma».
«Dovete pensare – aggiunse Costanza – che anticamente le trattenute che venivano riconosciute ai mugnai si chiamavano decime, proprio perché si trattava della decima parte delle granaglie macinate. Capite bene quindi il livello di preoccupazione che avevano allora i nostri antenati. Ci si stava avvicinando ad una percentuale addirittura doppia di quella consueta!»
«E poi che successe?» chiese uno degli adulti, al che Bella saltò in piedi e riprese il racconto di quella che evidentemente era la parte della storia che amava di più.
«La nonna di Costanza trovò la soluzione! Indovinate un po’ come si chiamava?»
«Forse… si chiamava anche lei Costanza?» azzardò Bruno.
«Siiii! – esplose Bella ridendo forte e correndo ad abbracciare Bruno – Sapete cosa fece? Decise di smettere di usare la farina! Anche gli altri seguirono il suo esempio. Iniziarono tutti a mangiare meno pane, meno pasta. Facevano delle zuppe e delle minestre con i chicchi e con altre cose, come i legumi, le patate e altre verdure, insomma, smisero quasi del tutto di andare al mulino. Ma Quinto teneva duro! Pensava: “prima o poi si stancano”. Ma loro non si stancavano. E allora Quinto iniziò a guadagnare di meno, e poi ancora di meno… e questa cosa non gli piaceva per niente sai?»
«Aveva capito che il suo lavoro non era poi così indispensabile…» mormorò uno degli adulti guardando Bruno di sfuggita. Le loro espressioni lentamente mutavano… che stessero cominciando a capire? Costanza credette necessario intervenire:
«Fu un grosso sacrificio per tutti. Progressivamente i campi vennero destinati sempre più alla coltivazione di verdure e legumi, e sempre meno per i cereali. Cambiare le proprie abitudini non fu facile. Ma tutti convennero che era necessario, per poter far capire a Quinto che non poteva approfittarsi di loro. Ci volle un bel po’ di tempo prima che si convincesse, perché l’abitudine più difficile da cambiare è quella del benessere, soprattutto quando lo si ottiene a scapito degli altri. Ma i limitesi furono saldi come una roccia. L’esempio di Costanza fu di grande ispirazione per tutti».
«E poi che altro successe?» le chiesero.
«I membri del consiglio decisero che da quel momento in poi il lavoro del mugnaio doveva essere svolto a turno. Ogni anno qualcuno doveva assumersi quell’impegno, che non sarebbe stato retribuito. Gli altri si sarebbero impegnati solamente ad aiutare la famiglia del mugnaio a svolgere gli altri lavori nei campi, perché egli potesse avere più tempo per restare al mulino. Ma per fare questo era necessaria ancora una cosa….»
«Ho capito…. – disse Bruno un po’ triste – che in tanti dovevano imparare a fare quello che prima sapeva fare soltanto Quinto…».
Gettando rapide occhiate ai suoi compagni, Bruno vide che tutti si stringevano nelle spalle. Ecco cosa li aspettava lì a Limite…
Costanza continuò: «Da allora vogliamo che i nostri bambini crescendo imparino il maggior numero possibile di attività manuali. Questo non solo è utile per capire quali siano i talenti nascosti nei nostri ragazzi, ma insegna anche che non si può far sempre quello che ci piace. È giusto dedicarsi a quello che ci piace con passione: sicuramente chi fa una cosa con piacere riesce a farla meglio, e questo è un vantaggio per tutta la comunità. Ma è ugualmente utile capire che ci sono cose necessarie per il bene di tutti che devono esser fatte comunque, che ci piacciano o meno! In quel caso, essere in tanti a saperle fare allevia un poco il peso di ognuno, purché ci sia un meccanismo che divide l’impegno tra più persone. Fare il mugnaio a turno è uno dei modi che i membri del consiglio escogitarono. Non è l’unico modo, ci sono lavori che vengono fatti contemporaneamente da tante persone tutte insieme – ad esempio trasportare la legna da ardere dai boschi in alto fino al villaggio – tutto dipende dal tipo di lavoro. Si decide caso per caso, ma almeno il principio generale, una volta fissato, rimane quello. Verrà il giorno in cui apparirà chiaro anche a voi che questa è una scelta vincente. Potrebbe volerci un po’ di tempo, questo è vero. Dovrete aver pazienza…»
«Questo è l’unico modo – aggiunse Donato – perché per vincere…»
Questa volta Bruno fu più veloce di lui e, ammiccando al cespuglio rosso che ormai non considerava più un ragazzino impertinente, ma un amico, disse: «Per vincere ci vuole Costanza!»
Si abbracciarono forte.
***
Ci vediamo a Limite, tra due mesi, con il prossimo racconto.
Non mancare!