Persi nel tempo che scorre sempre più veloce stiamo smarrendo alcune sapienti arti. Una di queste è quella dello stare insieme a tavola. Il saper mangiare.
E’ almeno dal 2015 che interi scaffali di librerie sono invasi da testi sugli alimenti e sulle pietanze. Da quelle più tradizionali e comuni a quelle più sofisticate dei grandi Chef. Tuttavia non mi è parso di vedere ancora un libro o uno scritto che riprenda anche il “come” abitare la tavola.
In parte questo non mi sorprende. Viviamo il tempo del “mordi e fuggi”. Il tempo dove chi entra in casa sovente incrocia chi esce per andare a lavoro. E’ la società che ci hanno lasciato in eredità e che in parte ci siamo costruiti. Non è quindi un mistero che oggi non si sappia più abitare la casa e soprattutto la tavola. Eppure fino a pochissimi decenni fa non era così. Con tutti i limiti ma non era così.
Oggi si entra e si esce, spesso siamo in compagnia di televisori e peggio ancora di smartphone e la tavola non è più luogo d’incontro ma di ulteriore isolamento. Paradosso dei paradossi nell’epoca dei social e della grandi connessioni.
Eppure saper stare a tavola implica un certa arte che umanizza le persone. Sia coloro che hanno preparato il cibo da mangiare sia coloro che lo stanno gustando. I primi avranno preparato con cura il cibo come un vero e proprio atto d’amore. Cucinare bene è anch’essa un’arte e significa dire all’altro: “ti voglio bene” voglio che tu stia bene e per questo cucino bene e sano.
Ma al di là di questo aspetto già approfondito, credo che tutti i commensali abbiano in comune questi aspetti molto umani. E cioè tutti coloro che prendono parte alla mensa se fanno attenzione possono vedere che nell’atto di parteciparvi hanno la possibilità di coinvolgere tutti e cinque i loro sensi.
Innanzitutto vi è un odorare. Quando si entra in una casa dove si cucina l’impatto con gli odori è inevitabile. E spesso se chi cucina è bravo questi odori sono una sinfonia di sapori che fanno già venire l’acquolina in bocca. Siamo coscienti di tutto ciò?
Poi come secondo elemento una volta seduti a tavola, abbiamo la vista. Un bel piatto preparato con amore o con la saggezza delle varie tradizioni, offre ai nostri occhi la possibilità di vedere una certa arte alchemica nel trasformare elementi diversi della natura e combinarli con gustosa sapienza. Anche gli occhi si possono rallegrare alla vista del cibo. E se non restano solo alla superficie possono scorgere dietro ogni piatto la sapiente cura e amorevole attenzione di chi ha saputo pensare e combinare i cibi.
Altro senso coinvolto nelle nostre mense è ovviamente il tatto. Un pollo o un frutto o semplicemente la preparazione di una minestra implica inevitabilmente il contatto tra noi e i cibi che poi assumeremo o che siamo assumendo. E’ molto importante questo perché implica un riconoscersi fatti delle stesse sostanze. Implica un riconoscersi accomunati. Implica ricordarsi che veniamo tutti dalla stessa terra e che per essa va coltivato il giusto e sano rispetto. Che sia dunque un tatto delicato.
Altro senso coinvolto nell’atto del cibarsi è ovviamente il gusto. Noi spesso distratti da televisioni o da cellulari ingurgitiamo tutto senza nemmeno capire quello che abbiamo portato alla bocca. Eppure basterebbe essere presenti a se stessi per qualche breve istante per assaporare meglio il boccone. Masticarlo lentamente e più volte per sentire il sapore degli alimenti e apprezzarne la provenienza e la preparazione. Questo ci può aiutare a non dare tutto per scontato, a riappropriarci di alcuni sensi, ad affinarli e a sentire la nostra connessione con noi stessi e con chi ci sta intorno. Saper gustare è un’arte che insegna anche a saper gustare la vita, nei suoi aspetti. Saper apprezzare tutti i sapori: da quelli più amari a quelli più dolci. A saperli calibrare e decifrare. Come si può imparare quest’arte se a tavola ben che vada siamo da soli e mangiamo velocemente in dieci minuti?
All’appello dei sensi umani mancherebbe l’udito. Eppure non è così. Mangiare sempre di più in consapevolezza affina un certo udito interiore che ci permette di sviluppare quell’empatia dei cuori tanto necessaria oggi. Sentire in profondità se stessi per poter meglio ascoltare il cuore dell’altro. Ma non volendo scendere subito così in profondità vi posso garantire che a tavola anche l’udito non manca all’appello. Come? Basta che vi sia sulla tavola del buon vino che subito i calici si alzano almeno una volta per un “cin cin” e allora ecco che anche le orecchie sono coinvolte nella nostra mensa umanizzante.
Può sembrare eccessivo quanto scritto, eppure le mense, il mangiare è stato sempre qualcosa di molto importante e non è di certo un caso che la società dei consumi all’apice del suo “splendore” abbia inventato quell’orrore chiamato “fast food”. Mangiare veloce significa perdere contatto con se stessi. E quando sei sconnesso da te sei in balia degli altri, dei messaggi della società che certamente ti vogliono schiavo finché servi.
No, noi siamo uomini in cammino di umanizzazioni e tale cammino passa per i piccoli gesti quotidiani praticati in consapevolezza. La tavola, in compagnia o da soli, è una grande maestra di vita e andrebbe in qualche modo riscoperta e rivalutata. Occorre una decrescita della velocità e una maggiore attenzione a ciò che si mangia e si prepara e al “come” si mangia. Solo così potremo essere più sicuri di quello che mettiamo sulle nostre tavole e soprattutto saremo più umani.
Alessandro Lauro