M5S: meritocrazia, attenti![1]
Sui quotidiani nostrani si legge di uno scandalo a settimana. Uno degli ultimi rappresenta l’epitome del clientelismo all’italiana: Alessandro Alfano, fratello del ministro dell’interno Angelino, è stato assunto presso Postecom nel 2013 per un incarico dirigenziale creato ad hoc per lui, con uno stipendio annuale di 160 mila euro l’anno[2].
Non occorre arrivare ai livelli alti della pubblica amministrazione o delle imprese private, per riscontrare questo fenomeno che rende di fatto impossibile la vita in Italia (vale la pena ricordare i 175 mila italiani che nel 2015 hanno trasferito la propria residenza all’estero[3]). Dall’intervento chirurgico alla borsa di dottorato, dal posto di lavoro pubblico allo stage in un’impresa, da Nord a Sud della Penisola, chiunque voglia ottenere qualcosa farà raramente appello al proprio merito o ai propri diritti, ma preferirà piuttosto chiamare in causa lo zio, l’amico, il padre o il congiunto del cugino della sorella del vicino di casa.
Giustamente il Movimento 5 Stelle, fra le sue battaglie fondamentali, annovera quella dell’onestà e dello ristabilimento di un certa meritocrazia. Ma attenti: sebbene questo sia un passo necessario per far entrare l’Italia nel circolo dei paesi nord- e mitteleuropei, esso non dovrebbe per nulla formare l’orizzonte ultimo di una società che si vuole “comunitaria”, “solidale” e “giusta” (parole che sono del Movimento).
Anzitutto, ho parlato di una “certa” meritocrazia. Il clientelismo all’italiana è solo l’estremo indecente di una forma più generale di favoritismo sotto la cui ala cade anche una specifica forma di meritocrazia: l’elitismo. Nel breve fumetto che riporto qui di seguito, viene illustrata efficacemente la ragione per cui l’uguaglianza delle opportunità, che le grandi democrazie occidentali si vantano di garantire, è in realtà un’illusione. Già il sociologo francese Pierre Bourdieu aveva mostrato come la famosa “mobilità sociale” sia fortemente limitata da quel fenomeno che, con una metafora efficace, lui stesso ha denominato “riproduzione sociale”. Nel 2000, il sociologo Camille Peugny ha mostrato come, nel suo Paese, la situazione descritta da Bourdieu trent’anni prima non fosse cambiata: il 70% dei figli di dirigenti eseguivano ed eseguono un impiego di dirigenza, mentre il 70% dei figli di impiegati occupavano e occupano un impiego d’esecuzione[4].
L’anno scorso l’illustratore neozelandese Toby Morris ha pubblicato un fumetto, intitolato “Su un piatto d’argento”, che mostra la storia di due individui in parallelo[5]: nella colonna di sinistra seguiamo la storia di Richard, un bambino che cresce in un ambiente agiato e pieno di stimoli, frequenta buone scuole e viene seguito da genitori esigenti, i quali lo aiutano persino nel momento della ricerca del lavoro: infatti finisce per ottenere un impiego prestigioso. Allorché qualcuno gli domanda quale sia il segreto del suo successo, Richard risponde altezzoso ma forse sinceramente: “Lavorare di più, piagnucolare di meno”. Non si rende conto che la sicurezza finanziaria, il capitale culturale[6] e sociale[7] della sua famiglia, insomma che l’ambiente in cui è stato cresciuto gli ha permesso di arrivare dove è arrivato, con il minimo sforzo.
Nella colonna di destra, seguiamo la storia di Paula, la quale, avendo vissuto in un ambiente disagiato e povero di stimoli, ed essendo cresciuta con numerose difficoltà materiali ed economiche, fa fatica persino a ottenere un lavoro poco qualificato. Benché i due bambini crescano in famiglie che li amano e li aiutano, benché entrambi mostrino di possedere le stesse capacità cognitive, la loro traiettoria sbocca su due posizioni sociali del tutto opposte.
Una volta che arriverà al governo, il Movimento 5 Stelle dovrà certo ripristinare una forma di meritocrazia corretta: ovvero un sistema nazionale che, in tutti gli ambiti e a tutti i livelli, sia basato su concorsi pubblici equi, criteri “oggettivi” o quantitativi di classificazione dei candidati, metodo del doppio cieco, giurie esterne, e così via. Ma occorre ripeterlo: non dovrebbe essere questo l’orizzonte ultimo di una società giusta e solidale.
È un piacere vedere Virginia Raggi e Chiara Appendino quali sindache di Roma e di Torino. Due persone qualificate, oneste, che si esprimono bene e che sanno di cosa parlano. Ma occorre non dimenticare che la prima è avvocato e la seconda laureata alla Bocconi. Entrambe fanno dunque parte di una certa élite economica e culturale italiana. Ora, l’aristocratico è colui il quale disprezza il “volgo”, e non vuole che esso cambi. E il Movimento 5 Stelle ha dimostrato, a partire dai suoi slogan (“Nessuno deve rimanere indietro”), fino ad arrivare alla proposta del reddito di cittadinanza, di non avere affatto una visione aristocratica della società.
Tuttavia, se lasciata a se stessa, la meritocrazia, anche quella più sana, non porta in seno solo uno spirito aristocratico, ma anche una visione darwinista della società. Prendete il (neo)liberismo. La teoria dell’evoluzione e la selezione naturale appaiono sistematicamente come le migliori garanzie intellettuali per le élite (economiche ma anche scientifiche e culturali), le quali giustificano così la competizione sfrenata e violenta del capitalismo. Leggevo di recente l’articolo di un ricercatore che invitava a considerare la teoria dell’evoluzione come una legge universale, alla stregua della legge di gravità (ritenuta valida in tutto l’universo conosciuto). Ebbene, bisogna opporsi epistemologicamente e politicamente a quest’affermazione. Trovo infatti falsa e ingiusta questa visione della società umana: credo che gli esseri umani, grazie alla cultura in senso antropologico (cioè quell’insieme eterogeneo di saperi, tecniche e pratiche che caratterizzano tutte le società umane), siano in grado di sottrarsi a questo giogo cieco e impietoso della selezione naturale e possano efficacemente attenuarne gli effetti.
Se spingessimo al massimo la logica capitalistica, le nostre società dovrebbero sopprimere gli inetti, i disabili e i folli. E se non lo si fa, vorrei sottolineare, è perché ci sono state delle lotte sociali e politiche che storicamente l’hanno impedito: non sempre con successo, giacché basta un giro in Europa per vedere che certi Paesi rivolgono un’attenzione particolare all’integrazione dei disabili nello spazio urbano, mentre altri se ne dimenticano a ogni angolo. Non vedo alcuna ragione “naturale”, e quindi “necessaria” e “inevitabile”, secondo cui bisogna invocare Darwin per giustificare la competizione capitalistica che permette a 62 super-ricchi di detenere metà della ricchezza mondiale[8]. Invocare il biologo inglese è un colpo di mano metafisico che naturalizza le disuguaglianze, disarma la lotta per la giustizia sociale e deresponsabilizza i politici, quasi sempre lacché dei poteri forti.
Alla luce di tutto ciò, bisogna allora che il Movimento attenui, forse già da adesso, il suo elogio della meritocrazia, per mettere l’accento su delle misure volte ad ampliare a tutti i cittadini l’accesso alla cultura, ai servizi, ai beni comuni e alle competenze. La proposta del reddito di cittadinanza è un primo, fondamentale passo per “non lasciare nessuno indietro”. Ma ci dev’essere molto altro, se l’obiettivo è quello di elevare tutti.
Occorrono una riforma della televisione, e più in generale dei media, ma soprattutto una riforma della scuola e di ogni altro strumento di diffusione della conoscenza. Il 76% degli italiani oscilla fra l’analfabetismo totale e l’analfabetismo funzionale[9]. Nel 2015, più della metà della popolazione non ha mai aperto un quotidiano, sei italiani su dieci non hanno letto un libro, mentre quasi sette su dieci non hanno visitato alcun museo[10]. È per questo che scarseggiano le Raggi e le Appendino. Ma bisogna dire che scarseggiano pure le biblioteche comunali: a Palermo per esempio ci sono solo tre strutture per 670 mila abitanti. A Barcellona, che di abitanti ne ha un po’ più del doppio, ci sono più di 40 biblioteche, ovvero una ogni 38 mila abitanti. A Parigi 59 biblioteche pubbliche sono a disposizione di 2.200.000 abitanti: ovvero, vi è una biblioteca ogni 37 mila abitanti.
Perché il Movimento non propone una legge nazionale coraggiosa? Una che ad esempio imponga a tutti i comuni italiani[11] di assicurare almeno una biblioteca ogni 40 mila abitanti. Ma, direte voi, chi ne usufruirà, se si considera che parliamo di un Paese in cui, dopo 30 anni di Grande Fratello e altre amenità d’impronta berlusconiana, “intellettuale” è diventato una parolaccia e il sogno più diffuso è quello di essere famosi e ricchi senza fatica? Infatti serve potenziare la scuola pubblica (importando e adattando il modello finlandese), le università (rendendo gratuita l’iscrizione; eliminando il numero chiuso e i test d’ingresso, a meno che non siano utili allo studente per suggerirgli dei corsi integrativi; mettendo in piedi un reddito minimo incondizionale universale, di modo che gli studenti non siano costretti a lavorare e possano dedicarsi soltanto allo studio), la ricerca (incrementando i fondi dall’1,25% del PIL attuale ad almeno il 3%[12]) e il budget per la Cultura (portandolo al livello della Francia). Ma un passo altrettanto fondamentale dovrebbe essere la scuola per gli adulti: perché non offrire la possibilità a tutti i lavoratori di dedicare un sesto del loro tempo di lavoro allo studio, pur lasciando intatto il loro salario? Propongo un nuovo slogan: “Tutti a scuola di nuovo”. Perché non istituire una vera formazione continua obbligatoria per gli insegnanti, un dispositivo ove non s’apprendano solo tecniche pedagogiche e aggiornamenti sulle discipline insegnate: un professore che non si coltivi mancherà della ricchezza, della passione e della vivacità necessarie per trasmettere agli allievi non solo la conoscenza, ma il piacere per la conoscenza. A questo diritto-dovere dovrebbe, beninteso, fare il paio un salario da docente tedesco (il doppio di quello italiano), poiché un insegnante demotivato e che non possa permettersi neanche l’abbonamento al teatro è come un’arma spuntata.
In definitiva, bisogna che sogniamo un Paese, un mondo in cui le disuguaglianze economiche e culturali, strettamente interdipendenti, siano appianate al massimo. Un Paese, un mondo in cui non sia difficile trovare delle Appendino o delle Raggi per la strada o fra i candidati di qualsiasi concorso pubblico. Un Paese, un mondo in cui veramente più nessuno sia lasciato indietro, e in cui tutti possano trovare un posto dignitoso nel mondo, dove eccellere senza dover competere. In un Paese, in un mondo siffatto, la meritocrazia (e la vena di aristocrazia darwiniana che porta in seno) diventerebbe allora una parola desueta, inattuale.
Fabrizio Li Vigni
Dottorando in Sociologia delle scienze all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi
[1] L’autore ringrazia Gian Marco Zappardo, Fulvio Licata, Giorgio Zappardo, Karel Li Vigni, Mauro Li Vigni, Elvira Siragusa e Mariella Forte per le loro riletture e i loro commenti.
[2] http://www.huffingtonpost.it/2016/07/05/alessandro-alfano-poste_n_10816716.html
[3] http://www.clubberconfession.com/quanti-italiani-lasciato-litalia-nel-2015-verso/
[4] https://fr.wikipedia.org/wiki/Reproduction_sociale
[5] http://thewireless.co.nz/articles/the-pencilsword-on-a-plate
[6] http://saperelb-538884594.eu-west-1.elb.amazonaws.com/sapere/strumenti/studiafacile/sociologia/La-scuola/Istruzione-e-diseguaglianza/Il-capitale-culturale.html
[7] https://it.wikipedia.org/wiki/Capitale_sociale_(sociologia)
[8] http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Oxfam-62-super-ricchi-possiedono-meta-della-ricchezza-mondiale-50ec679e-3756-4a0c-8aed-370d9f8706e4.html
[9] https://slowforward.wordpress.com/2008/04/13/tullio-de-mauro-analfabeti-ditalia-da-httpinternazionaleit/
[10] http://www.repubblica.it/cultura/2016/01/06/news/istat_cultura_teatri_musei-130704290/
[11] Dopo avere accorpato i più piccoli, come da programma.
[12] http://www.corriereuniv.it/cms/2014/08/quanto-investe-litalia-ricerca/