AUTOMOBILE DECRESCENTE, UNA NUOVA SPERANZA…

da | 14 Gen 2019

di Silvio Colapaoli

I trasporti, secondo un recente rapporto ISPRA,1 sono responsabili praticamente del 25% delle emissioni totali di gas serra nel nostro Paese. Per contenere l’innalzamento della temperatura media globale entro 1,5 °C, come richiesto dall’autorevole studio IPCC2 dell’ottobre scorso (che quindi “sconfessa” gli accordi di Parigi 2015, che si limitavano al contenimento entro 2°C), è necessaria una vera e propria rivoluzione in cui il settore dei trasporti gioca un ruolo chiave. Tutti abbiamo beneficiato e continuiamo a beneficiare dell’automobile, inutile nascondersi, ma adesso ognuno è chiamato a fare la sua parte, non possiamo più ignorare le notizie allarmanti provenienti dalla comunità scientifica. Quindi, come si deve orientare un cittadino consapevole in procinto di acquistare un’auto, qualora tale acquisto sia necessario ed inevitabile? Cercheremo di capire se esiste un’automobile veramente ecologica e decrescente, o che più verosimilmente si avvicini a tali concetti, premettendo che è sempre preferibile utilizzare altri mezzi di trasporto laddove possibile (bicicletta, trasporto pubblico, treno).

Il mondo dell’automotive è ultimamente finito sotto i riflettori per una serie di eventi, di portata più o meno grande, che in ogni caso ci invitano a delle riflessioni. Partendo dallo scandalo Dieselgate, ( qui trovate un sunto), che ha coinvolto il colosso tedesco Volkswagen, per arrivare ai nuovi test Wltp necessari per omologare le vetture, passando dalle forme di mobilità alternativa (car sharing, car pooling, trasporto intermodale) e dai nuovi tipi di alimentazione(elettrica, ibrida e idrogeno).

Il Dieselgate ha avuto un’eco mediatica enorme: è stato scoperto e accertato nel settembre 2015 dall’EPA, l’Agenzia Americana Protezione Ambiente, che certi motori diesel del gruppo Volkswagen, in fase di test per l’omologazione, adottavano un regime di funzionamento ad hoc per moderare le emissioni (in particolare dei NOx, ossidi di azoto deleteri per la salute nostra e delle piante), grazie ad un software della centralina che era in grado di riconoscere quando la macchina era sottoposta al test. Ovviamente poi su strada, il motore avrebbe lavorato in tutt’altro modo, con emissioni maggiorate anche di 40 volte3. Un imbroglio gravissimo. Ci sono stati arresti eccellenti , multe salatissime e class action per i rimborsi ma le vendite, ad oggi, ci dicono che la gente continua a comprare Volkswagen come se nulla fosse4. Un indice preoccupante: di cosa abbiamo bisogno per indignarci e cambiare le nostre scelte?

Oltretutto una conseguenza del Dieselgate è stata la riforma europea dei test di omologazione: adesso a partire dal 1 settembre, le macchine per essere omologate devono sottoporsi al più severo test WLTP, che sostituisce il vecchio ciclo NEDC (in vigore dal 1990) il quale restituiva dei dati di consumo e di emissioni molto accomodanti…Anche qui molto abbiamo permesso e perdonato per anni alle case costruttrici, che ci pubblicizzavano auto ecologiche dai mirabolanti parchi consumi, quando all’atto pratico lo scarto medio era del 30% minimo,5 guidando con piede gentile.

Stiamo assistendo a una vera e propria battaglia fra UE e lobby delle auto, con la prima determinata ad imporre standard sempre più severi per contenere emissioni di CO2 (anidride carbonica), il principale dei gas serra responsabili del surriscaldamento globale. L’industria automobilistica cerca invece di guadagnare tempo, giudicando apertamente irrealizzabili gli obiettivi fissati dall’UE in un lasso di tempo così breve (le emissioni medie delle vetture nuove immatricolate nell’UE dovranno essere inferiori del 15% nel 2025 e del 35% nel 2030, rispetto ai limiti di emissioni validi nel 2021) . E’ vero che i costruttori hanno investito molte risorse per migliorare la tecnologia dei motori per renderli più efficaci e meno impattanti e che molto stanno investendo per sviluppare modelli elettrici, ma i numeri ci dicono che non basta: gli spostamenti su gomma aumentano, le emissioni non calano come dovrebbero6 e bisogna accelerare la transizione a nuovi modelli di mobilità…Già, ma come?

Entriamo nel vivo: come faccio io, singolo cittadino desideroso di contribuire a questo cambiamento necessario, per non fare finta di niente e voltarmi dall’altra parte? Innanzi tutto c’è da notare che, in particolar modo per gli abitanti delle grandi città, il concetto di possesso di automobile non è più così prioritario: possiamo utilizzare bicicletta, mezzi pubblici (meglio treno o metropolitana quando possibile), o utilizzare le novità di questi ultimi anni: sono sorte molte compagnie di car sharing (qui una lista), con flotte di macchine (anche elettriche) disseminate per la città. Basta registrarsi sui portali di queste compagnie, associare una carta di credito (anche prepagata) e dotarsi di uno smartphone: il gioco è fatto, Possiamo noleggiare l’auto che più ci aggrada o che ci è più vicina, ed andare da A a B all’interno delle zone della città coperte dal servizio. I costi per tragitti medio-brevi e saltuari, sono contenuti. Con lo stesso principio funzionano anche compagnie di scooter sharing (anche elettrici! Qui una lista aggiornata).

Un’altra variante interessante è la mobilità intermodale: ad esempio vado da A a B in bicicletta e da B a C con il treno e bici al seguito, ma le combinazioni sono tante ed includono anche l’automobile ovviamente. Magari impiegheremo più tempo (che comunque può essere impiegato per una buona lettura), ma quasi certamente ci risparmieremo delle attese snervanti incolonnati, o lo stress della guida o della ricerca del parcheggio, senza contare il fatto che ritroveremmo presto una buona forma fisica.

Da segnalare anche il car pooling, un servizio che mette in contatto persone che condividono un qualsivoglia tragitto, anche lungo, e quindi abbiamo un proprietario che mette a disposizione la sua macchina, e i passeggeri che contribuiscono alle spese di viaggio: un fenomeno che se implementato porterebbe grandi giovamenti ad es. decongestionamento delle strade, ma anche aumento delle relazioni sociali.

Queste premesse sono doverose per ribadire il concetto che l’auto più ecologica in assoluto è quella che non si utilizza, quindi se abbiamo possibilità di scelta, dovremmo relegare l’automobile privata in fondo alle nostre opzioni.

Se invece abitiamo dove non c’è grande offerta di questi servizi e/o abbiamo necessità di un’autovettura, per il nostro lavoro e/o per la famiglia o per qualche valido motivo che ci induca all’acquisto, allora è giunto il momento di mettersi a tavolino e studiare l’opzione migliore per noi ma non solo: la scelta dovrà essere la migliore possibile anche per chi ci circonda e per la nostra “Casa comune”, come la chiama Papa Francesco nella sua ottima “Laudato Sii”, enciclica che invito a leggere essendo la prima parte trattata con un approccio “scientifico” rivolto a tutti, anche ai laici.

Dunque, partiamo subito con l’accantonamento delle motorizzazioni tradizionali benzina e diesel: nel primo caso si ha produzione di ingenti quantità di CO2 , e se si tratta di motori a iniezione diretta, anche di notevoli quantità di particolato, fenomeno mitigato dalla recente adozione dei filtri antiparticolato anche per questi motori7 (ma non tutte le Case li hanno adottati); nel caso del diesel, il problema è soprattutto la produzione e la emissione degli ossidi di azoto NOx, (che gli ultimi modelli contrastano con degli additivi a base di urea), e delle polveri sottili (le famigerate PM10 e PM2,5), bloccate in parte dal filtro antiparticolato, il cui trattamento di rigenerazione in passato ha però suscitato numerose polemiche (qui). E’ giusto sottolineare che oltre alle succitate emissioni, ve ne sono altre, costituite ad esempio da residui di idrocarburi incombusti e ossidi di zolfo; ringraziamo i suddetti motori per il lavoro svolto fino a qui e mandiamoli in pensione.

Per comprendere quale motore sia opportuno adottare per il futuro, occorre valutare l’impatto di un’automobile lungo l’intero ciclo di vita (LCA, Life Cycle Assesment) , vale a dire energia spesa e conseguenti emissioni CO2 durante :

  1. la costruzione dell’automobile stessa e delle sue componenti;

  2. estrazione e/o creazione del combustibile necessario per la trazione, ad es. gasolio, benzina, ma anche elettricità per le batterie delle auto elettriche (analisi WTT, Well-to-tank, dal pozzo al serbatoio);

  3. emissioni connesse all’utilizzo effettivo dell’automezzo (analisi TTW , Tank to wheel dal serbatoio alla ruota).(fonte RSE (Ricerca sul Sistema Energetico) che compara le emissioni di CO2 WTW di varie motorizzazioni con dati al 2017)

Come si può notare dal grafico, i migliori risultati in termini di riduzione delle emissioni di CO2 si ottengono dai veicoli elettrificati PHEV ed elettrici puri, sulla parte destra del grafico.. Pertanto approfondiremo in primis gli aspetti relativi a questi tipi di alimentazione, ma sicuramente daremo un’occhiata all’ottimo risultato che promette una macchina che sfrutta il biometano.

Dal momento che il problema del surriscaldamento globale è sempre più stringente, ecco arrivare all’orizzonte il momento della scossa! Si può optare per un’ibrida o una elettrica; analizziamole in breve. Per le ibride abbiamo tre sottoclassi principali: mild-hybrid, full hybrid e plug-in hybrid. Le mild-hybrid sono vetture che affiancano al motore termico tradizionale un impianto elettrico , sorretto da batteria a 48 Volt e da un piccolo motorino elettrico aggiuntivo: nelle fasi di frenata la batteria si ricarica, e questo le permette di avviare il motorino elettrico nelle fasi di partenza e accelerazione, traducendo il tutto in una riduzione dell’ordine del 10% di consumi ed emissioni di CO2 . In nessun caso però la vettura si potrà muovere sono con la spinta elettrica: il motore termico è sempre necessario per la trazione. Le auto full-hybrid (alla voce ibride sul grafico di pagina 4) invece hanno batteria e motore elettrico da affiancare al termico più grandi rispetto alle mild-hybrid, permettendo così al mezzo una costante collaborazione fra i due motori, nell’ottica di ottimizzare i consumi e massimizzare le prestazioni. Auto di questo tipo sono, ad esempio, le Toyota, che iniziarono con la tecnologia ibrida già vent’anni fa. In questo caso la trazione può anche essere solo elettrica, seppur per pochissimi chilometri e a velocità ridotte. La batteria viene ricaricata sia nelle fasi di decelerazione, sia ad opera del motore termico nella funzione di generatore. Il costo di queste vetture è leggermente maggiore delle “sorelle” a motorizzazione classica, ma ragionevole poiché acquistandole si beneficia di bonus quali esenzione parziale o totale del bollo per alcuni anni, possibilità di parcheggiare gratuitamente sulle strisce blu, entrare nelle zone a traffico limitato, evitare blocchi del traffico: in realtà su questi aspetti non c’è una normativa nazionale ma varia da Regione a Regione e può anche differire da un Comune all’altro. Inoltre, in alcuni casi stanno perdendo questi “privilegi” a favore di altre classi di macchine meno impattanti (elettriche pure e ibride plug-in). Dato quindi che la situazione generale ambientale ci sta sfuggendo di mano, E’ DOVEROSO OSARE DI PIU’: vediamo le ibride plug-in (PHEV: plug-in hybrid electric vehicle). Queste macchine potrebbero rappresentare un importante compromesso: contengono batterie capienti e uno o più motori elettrici in grado di farle muovere a emissioni zero per alcune decine di Km, diciamo nell’ordine dei 40-50 km. Con la trazione esclusivamente elettrica è possibile raggiungere anche velocità di tutto rispetto (120-130 km/h), prima che il motore termico entri in gioco. Una volta esaurita la carica della batteria, l’auto si muove grazie al motore tradizionale (benzina o diesel in qualche raro caso). Il pacco batterie si può ricaricare sia attaccando la macchina ad una presa di corrente opportuna (che può essere quella domestica del box o la colonnina per strada) sia sfruttando, in marcia, il motore termico come generatore (opzione però poco conveniente). Vantaggi? Sì, ed enormi: posso fare il tragitto casa-lavoro (nella stragrande maggioranza dei casi sotto i 50 km giornalieri) muovendomi in modalità esclusivamente elettrica a emissioni zero, e nei viaggi più lunghi utilizzerò anche il motore termico. Svantaggi : costi di acquisto elevati, complessità generale del sistema, oltretutto se il motore a benzina abbinato è a iniezione diretta si ripresenta il problema del filtro antiparticolato (vedi nota 7), che non tutte i modelli adottano ancora.

Passiamo ora ai veicoli totalmente elettrici (BEV, Battery Electric Vehicle): qui il motore classico non c’è più, l’auto si muove grazie a enormi batterie (collocate sotto il pianale) che alimentano uno o più motori elettrici. L’autonomia dipende in prima istanza dalla capacità della batteria, e da condizioni al contorno quali stile di guida, utilizzo urbano/extraurbano o autostradale, conformazione del terreno, accensione o meno del climatizzatore, peso caricato etc etc. In città, dato che tutte le macchine elettriche hanno sistemi di frenata rigenerativa, con i continui rallentamenti e ripartenze l’autonomia sarà maggiore che in autostrada a velocità sostenuta. Stanno comunque uscendo alcuni modelli che garantiscono autonomie quasi paragonabili alle macchine “fossili”, in grado di placare la cosiddetta ansia da autonomia, da molti additata come uno dei principali freni alla diffusione delle macchine elettriche. Il costo iniziale di acquisto è ancora elevato, però tutti i vantaggi elencati prima per le ibride vengono aumentati, in più si viaggia a emissioni zero e se si ricarica la batteria con energia proveniente da fonti rinnovabili (ad es. pannelli solari) l’impatto sull’ambiente è significativamente ridotto (cfr. grafico a pagina 4, colonnine blu 50 e 100% FV). Oltretutto sono macchine silenziose, e chi le guida riporta di un’esperienza al contempo emozionante (hanno uno scatto bruciante, dal momento che la coppia è immediatamente disponibile) e rilassante (sembra di veleggiare sulla strada). Io ho avuto la fortuna di farlo e confermo le impressioni suddette. Un altro vantaggio è dato dalla ridotta manutenzione di cui hanno bisogno, in quanto sussistono molte meno parti in movimento rispetto al motore termico, e il meccanismo generale di funzionamento ne risulta semplificato nonché molto più efficiente. Naturalmente si risparmia tanto anche sul “pieno” rispetto a benzina, diesel o gas. Quindi se consideriamo l’arco di vita intero della macchina, la differenza di costo iniziale tende ad azzerarsi8.Gli svantaggi sono principalmente legati all’autonomia, specialmente per chi viaggia tanto ed è quindi costretto a fermarsi spesso per ricaricare: la ricarica avviene normalmente in qualche ora, a seconda della potenza elettrica installata e purtroppo , nel nostro Paese, le colonnine ad alta potenza in grado di ricaricare velocemente le auto elettriche sono ancora poco presenti in autostrada. Voglio sottolineare però che è possibilissimo fare un viaggio, anche lungo, con questi mezzi: basta organizzare bene il tragitto, che dovrà necessariamente tener conto dell’autonomia e dell’ubicazione delle colonnine, ma non è niente di sconvolgente, basta farci l’abitudine! Oltretutto potremmo adoperare il tempo di attesa durante la ricarica per fermarci a mangiare o esplorare i dintorni, insomma un altro modo di viaggiare magari ma non per questo meno emozionante.

A questo punto è anche importante non cadere nella trappola delle fake news, che puntano a sminuire la portata rivoluzionaria della macchina a elettroni, con notizie allarmanti riguardanti :

  • la produzione altamente inquinante delle batterie con le materie prime utilizzate (grafite, cobalto, nichel) e il problema del loro smaltimento a fine ciclo: esistono già consorzi specializzati nel riciclo di queste batterie, sia all’estero9 che in Italia10, e in più quando le batterie non sono più efficienti per la trazione possono essere utilizzate per lo stoccaggio di energia, avendo praticamente una seconda vita; quanto all’inquinamento generato dalla loro produzione, esiste ed è misurabile ma nel computo generale delle emissioni la BEV vince comunque (cfr. grafico pag. 4)

  • possibili blackout: se tutti comprassero l’auto a batterie, la rete elettrica non sarebbe in grado di sopportare il surplus di richiesta energetica. In realtà, le stime11 parlano di un aumento contenuto e tutto sommato gestibile, nell’ipotesi di avere (in Italia) 5 milioni di auto elettriche nel 2030. Il problema sarebbe semmai nella potenza elettrica di picco impegnata, nel caso di un numero importante di ricariche simultanee: in questo caso la soluzione sarebbe data da sistemi intelligenti di accumulo, in grado di stoccare energia elettrica prodotta in eccesso e rilasciarla nei momenti di maggior richiesta. Questa funzione può essere assolta anche dalle batterie di alcune macchine elettriche, dotate della tecnologia V2G (Vehicle to Grid, dal veicolo alla rete), in sostanza la bidirezionalità della carica: ipotizzando quindi una rete elettrica intelligente (smart grid) in grado di dialogare con le strutture ad essa collegate, la macchina elettrica potrebbe anche permettere al suo possessore un guadagno derivante dalla cessione di energia alla rete. In Germania, un esperimento in tal senso è già cominciato12. Questa smart-grid, con la sua rete di accumulatori, sarebbe anche un’ottima alleata per stabilizzare, e di conseguenza implementare, l’energia prodotta da fonti rinnovabili, per loro stessa natura intermittenti.

Già, ma vi starete chiedendo dov’è la nuova speranza del titolo, visto che i costi iniziali per sedersi su una vettura elettrica sono ancora cosi elevati e tutto sommato pochi possono permetterselo?? Una start-up13 formata da tre giovani imprenditori tedeschi ha avuto quest’idea e la sta sviluppando: una macchina totalmente elettrica, la cui batteria si può ricaricare sia tramite colonnina o presa domestica sia tramite il Sole. Infatti 330 celle fotovoltaiche ricoprono la superficie del veicolo, dal cofano alle fiancate al tetto e al portellone posteriore, e in condizione di massima insolazione (in Germania) questo sistema garantisce circa 30 km di autonomia, che si aggiungono ai 255 km offerti dalla batteria. Il famoso tragitto casa-lavoro potremmo quindi farlo solo grazie al Sole! Le celle sono protette da un sottile strato di policarbonato, materiale duro ma leggero. L’auto è predisposta per il car-sharing, per il ride sharing (è come il car pooling) o per il power sharing, ovvero la possibilità accennata prima di poter cedere energia, ed ha buone prestazioni generali pur essendo spartana nel suo complesso. Il prezzo è accessibile: 16000€, esclusa la batteria che ne costa altri 9500, ma si potrà anche noleggiare a circa 100€ al mese. Attualmente esistono dei prototipi che hanno girato l’Europa per fare dei test drive, la fase di produzione è attesa per la seconda metà del 2019, il numero dei clienti che la prenotano è in continuo aumento (adesso, circa 9000) e alcuni manager di brand più blasonati hanno sposato questo progetto. Forse si tratta di quel game changer di cui avremmo tanto bisogno per ripulire il mondo dell’automotive, infatti già si sente di qualche grosso gruppo (VW?) che si appresta a lanciare nel 2020 un’elettrica “di massa” sotto i 20000€.

Un’ altra alternativa, per chi macina tanti chilometri, è l’auto a metano: per sua composizione chimica (1 solo atomo di carbonio per molecola) è più pulito nella combustione ed emette meno anidride carbonica della benzina (a parità di potenza della macchina) e, in condizioni ottimali, zero polveri sottili. Inoltre la sua produzione può essere svincolata dalla filiera del petrolio, essendo possibile ricavarlo in vari modi, alcuni dei quali anche vicini al concetto di economia circolare. Infatti, tornando per un attimo ad analizzare il grafico di pag.4, si nota un ottimo risultato nell’abbattimento delle emissioni di CO2 solo in caso di rifornimento 100% biometano. Il biogas è il risultato della digestione anaerobica di fanghi, letami e colture da parte di batteri, ma si può produrre anche a partire dal legno e dai rifiuti urbani, e una volta purificato dà luogo al biometano, utilizzabile nell’autotrazione. In Italia il settore è in espansione, e a Pesaro abbiamo già un distributore attivo di biometano14. Secondo la ONG T&E (Transport and Environment), tuttavia, anche ipotizzando che tutto il biometano prodotto in Europa sia destinato all’autotrazione, questo non coprirebbe che il 9% della richiesta.

Le auto a idrogeno fuel-cell sfruttano la reazione fra idrogeno e ossigeno, per produrre l’energia necessaria a ricaricare le batterie che fanno muovere il veicolo: sono una meraviglia tecnologica, dal tubo di scappamento esce solo vapor acqueo ( di cui va valutato bene però l’impatto come gas serra) e alcune case stanno investendo decisamente su di esse; il problema è dato però dalla produzione e logistica relative all’idrogeno (nella forma necessaria, H2, non è presente in Natura e sebbene vi siano vari modi per ottenerlo, anche rinnovabili, il più utilizzato è ancora quello legato al petrolio; oltretutto l’idrogeno necessita di temperature bassissime e pressioni elevate per essere stoccato allo stato liquido). Il nostro Paese, rispetto ad altri in Europa, è in ritardo e conta un solo distributore di idrogeno a Bolzano.

Conclusioni

Tirando le somme, oggi chi abita in grandi centri ha la possibilità concreta di non averla proprio, la macchina: i vari servizi di car sharing, car pooling, scooter sharing e bike sharing offrono una valida alternativa al possesso, e si possono integrare con i mezzi pubblici. QUINDI LA PRIMA SCELTA CONSAPEVOLE E’ USARLA IL MENO POSSIBILE, LA MACCHINA.

Se poi dobbiamo proprio procedere all’acquisto, abbiamo visto come le auto ibride plug-in e più ancora le elettriche pure rappresentano, al momento, l’unica strada percorribile per abbattere le nostre emissioni (per quel che riguarda i trasporti) velocemente, visto che l’emergenza da gas-serra pare concederci non più di 12 anni per correggere la rotta15.

Chi ha nelle corde (e nel portafogli) la possibilità, deve virare decisamente su questo tipo di automobile, in modo da permettere, nel tempo, l’abbassamento dei prezzi, a favore di tutti.

Mentre scrivo, pare siano stati finalmente approvati dal governo italiano, per la prossima legge di Bilancio, gli incentivi all’acquisto di auto elettriche ed ibride( fino a 6000€);

inoltre è bene ricordare che esistono agevolazioni relative a bollo, assicurazione, parcheggi ed ingressi nelle ZTL, la manutenzione delle BEV è meno onerosa rispetto alle macchine “fossili”, e i “pieni” sono molto più economici (meglio ancora se l’energia elettrica proviene da fonti rinnovabili), quindi il TCO (Total Cost of Ownership, Costo totale di possesso) è già comparabile con quello delle auto tradizionali.

È già presente anche un mercato dell’usato “elettrico”, dove si può risparmiare qualcosa, ma bisogna controllare chilometraggio e data di prima immatricolazione, in quanto le batterie hanno una durata garantita normalmente per otto anni, e la sostituzione del pacco batterie è operazione costosa. Alcuni modelli vengono proposti con la batteria a noleggio.

Se poi avete un pizzico di incoscienza in più, date un’occhiata qui16

Vi segnalo infine la presenza di Gruppi di Acquisto17 inerenti a queste tipologie di macchine, che permettono di ottenere qualche sconto in più, puntando sull’aggregazione e sul relativo maggiore potere contrattuale di tanti potenziali acquirenti.

Per chi non può o non vuole comprare una macchina elettrica, si può orientare sul metano, con le orecchie e gli occhi tesi allo sviluppo nella propria zona della filiera del biometano.

L’idrogeno è ,al momento, un’ipotesi del futuro.

P.S. OVVIAMENTE CI PIOMBERANNO ADDOSSO LE PIU’ DISPARATE OFFERTE DI VEICOLI “FOSSILI” , ALL’APPARENZA ANCHE CONVENIENTI, MA LA CONVENIENZA LA SI OTTIENE SCARICANDO I COSTI AMBIENTALI SULLA COLLETTIVITA’, E SE CEDIAMO AVREMO PIANTATO UN ALTRO PICCOLO CHIODO SULLA BARA DEL PIANETA, QUINDI SULLA NOSTRA.