Se si guarda con occhio critico agli avvenimenti del passato ci si rende conto che a volte la Storia subisce delle accelerazioni. Il contemporaneo verificarsi di più condizioni di tipo sociale, economico, politico, naturale, porta spesso a una precipitazione degli eventi e pone le basi per un’epoca di trasformazioni. È ciò che è successo per tutte le grandi rivoluzioni della Storia.
di Francesco Lombardi, circolo di Brescia.
È da questa considerazione che durante la quarantena di questa primavera si alimentava la mia speranza di un rinnovamento generale: la speranza che lo scoppio della pandemia fosse un’occasione per tutti i cittadini, ma specialmente per la nostra élite politica e intellettuale, per un profondo ripensamento del nostro modello di sviluppo.
La riapertura delle attività ha affossato tutte le aspettative. Ho atteso mesi invano ad aspettare che una voce, almeno una, si scostasse dal coro degli adepti al pensiero unico della santa madre crescita. Invece l’unica parola d’ordine che ho sentito pronunciare è stata: “Si riparte!”. Che il “mea culpa” non sia arrivato dal mondo politico non mi ha stupito più di tanto. Ma che non ci sia stato nemmeno un intellettuale (parlo degli intellettuali “di sistema”) capace di affermare che le cause della pandemia derivano proprio dai pilastri fondanti del capitalismo (l’estrazione incontrollata delle risorse, la deforestazione, la libera circolazione delle merci e delle persone), questo è stato, almeno per me, fonte di grande delusione.
Né è servita la banale constatazione che durante lo stop delle attività produttive durante la quarantena la qualità dell’aria è migliorata e l’impatto ambientale si è ridotto. Questo fatto è dimostrato anche dalla data dell’Earth Overshoot Day (EOD) del 2020, precisamente ieri 22 agosto. L’EOD è un parametro che indica il momento virtuale in cui l’uomo esaurisce le risorse rinnovabili disponibili per quell’anno entrando, da quel momento, in deficit. Se da una parte spaventa che già dal 22 agosto fino al 31 dicembre consumeremo a debito le risorse naturali del pianeta, deve far riflettere il fatto che nel 2019 l’EOD è stato il 29 luglio: grazie alla quarantena del 2020 abbiamo guadagnato quasi un mese. Ma neppure questo servirà per chi non ha orecchi per intendere.
È da questo enorme vuoto di pensiero che si chiarisce il ruolo del Movimento Decrescita Felice. La Decrescita rappresenta a mio avviso la più globale tra le visioni alternative all’attuale modello di sviluppo. Non è una ricetta per uscire dalla crisi: è una proposta di un nuovo modo di vivere individuale e sociale che rimette al centro la persona, liberandola da tutte le alienazioni della società dei consumi, e che si svolge in armonia con l’ambiente, non a suo discapito. Questa nuova visione è ancora troppo poco conosciuta nella popolazione e, per causa/effetto, tra gli intellettuali: penso sia compito del Movimento interrompere questo circolo vizioso agendo sul piano nobile della cultura. Siamo chiamati ad essere i sostenitori (e i fautori!) di una cultura della Decrescita. E ritengo altresì che non dobbiamo avere timore di affermare che quella che proponiamo è una vera e propria rivoluzione antropologica, perché chi conosce la Decrescita e cerca di metterla in pratica avvia sempre una piccola rivoluzione innanzitutto della propria vita. Ma affinché questo cambiamento si attui le conquiste personali degli individui nel modo di vivere devono diventare patrimonio di un’intera comunità, della società. Ciò che appunto viene definito, in senso antropologico, come cultura.
Rispetto alla miriade di associazioni che perseguono a vari livelli la difesa dell’ambiente e la giustizia sociale, il ruolo ambizioso che si prospetta per il Movimento della Decrescita è dunque quello di guida culturale, proprio per la sua capacità di proporre la più globale delle alternative. E chissà che ciò possa costituire davvero quella piccola spinta in grado di mettere in accelerazione la Storia verso nuove trasformazioni.