Il Senso del Limite: “Cipolle di tutto il mondo, unitevi!”

da | 24 Ott 2025

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«Nè la rivoluzione nè la riforma possono, in ultima istanza,
cambiare una società, senza che ci sia da raccontare una storia nuova e potente,
tanto persuasiva da bloccare i vecchi miti e trasformarsi nella storia preferita…
Se si vuole cambiare una società si deve narrare una storia alternativa».
IVAN ILLICH

Cipolle di tutto il mondo, unitevi!”

I

La terra coltivata a Limite era considerata a tutti gli effetti un bene comune.

La proprietà privata non esisteva, almeno non per quanto riguarda le risorse naturali, come Pier Maria aveva avuto modo di constatare a suo tempo in modo alquanto traumatico. Il concetto era semplice: tutti abbiamo bisogno di mangiare, di conseguenza, per il solo fatto di essere al mondo, ci spetta quantomeno una quota di alimenti che il nostro pianeta può darci, tutto qui. Il resto veniva di conseguenza. Era molto più funzionale coltivare tutti insieme che non dividere l’altopiano in tanti orticelli. L’ubicazione delle case facilitava molto questa filosofia. Gli antenati che tempo addietro edificarono il primo alpeggio, videro che in una parte dell’area il terreno era più sassoso e per sottrarre meno terra fertile, concentrarono in quel punto tutte le costruzioni. Con il tempo e con il lavoro umano, alcune piccole porzioni di terra furono dissodate anche vicino alle abitazioni, ma qui ci si limitava a piantare erbe aromatiche e poco altro.

Con l’arrivo dei fuggitivi dalla pianura ovviamente si cercò di ampliare la superficie agricola, e la morfologia dei luoghi non consentì sempre di avere porzioni contigue alle coltivazioni già presenti. Così ne risultò inevitabilmente un relativo frazionamento della superficie. Ora, mentre i limitesi erano abituati da tempo a immagazzinare insieme i prodotti della terra ed a condividere tutto, i nuovi arrivati comprensibilmente faticarono un po’ prima di assimilare quel metodo che, nella zona di pianura da dove provenivano, era considerato alquanto desueto. Le nuove abitudini si fecero strada con forza nei loro animi, anche perché riguardando il cibo, erano soggette gioco forza ad un esercizio quotidiano. Ma psicologicamente, i nuovi terreni che si erano aggiunti alle coltivazioni precedenti, vennero sempre visti dai fuggitivi come i “loro” terreni.

Non è facile spiegare l’insieme di diversi sentimenti che albergavano nei loro cuori. Da una parte la nuova socialità tipica di Limite che imparavano a conoscere si rivelava oggettivamente migliore, più serena, persino più efficace in caso di problemi, di quanto erano abituati a vivere giù in pianura. Ma d’altro canto, l’indole profondamente individualista che la vita in pianura aveva radicato in profondità nel loro vissuto, stentava a cedere il passo a quella nuova vita comunitaria. Come Maso e gli altri Consiglieri anziani avevano notato in più di un’occasione, quando tutto andava bene i nuovi arrivati mostravano un sincero interesse per assimilare quei concetti nuovi e si adoperavano coscenziosamete. Ma non appena accadeva qualcosa di imprevisto, ecco che subito la vecchia indole, che giaceva sopita subito sotto la soglia della coscienza, mostrava di nuovo il suo vigore producendo piccoli screzi, che se non avevano mai raggiunto proporzioni tali da causare problemi, nondimeno producevano negli anziani del villaggio una sorta di lieve apprensione che in certi casi diventava vera preoccupazione.

«A Limite con il tempo abbiamo adottato tutti un regime alimentare piuttosto uniforme. La stagionalità dei prodotti è la nostra principale maestra. Il clima favorevole ci consente di coltivare abbastanza bene praticamente tutto – aveva detto una volta Nunzio ai nuovi arrivati, durante una delle riunioni serali – Ci prendiamo cura del nostro terreno, e col tempo la fertilità del suolo è molto migliorata. Le rotazioni, le consociazioni, i sovesci e l’uso di prodotti che la natura ci offre ci hanno finora permesso di far fronte al clima, ai parassiti, garantendo una produzione di tutto rispetto»

La vicenda dei cereali e dei legumi accaduta la stagione precedente, aveva colpito molto sia i limitesi che i nuovi arrivati. Nunzio e gli altri Consiglieri cercarono sempre di bilanciare le esigenze dei fuggitivi con quelle dei limitesi, anche quando sembravano molto distanti tra loro. In pianura evidentemente non si era abituati ad un uso così intenso di legumi e la dieta non era quasi mai del tutto vegetariana. Le fonti di proteine erano principalmente prodotti animali. A Limite i nuovi arrivati impararono presto a far di necessità virtù, ma ogni tanto il ricordo della varietà di alimentazione a cui erano abituati in pianura si faceva comunque sentire. E presto iniziarono anche ad emergere alcune differenze. Non tutti i fuggitivi provenivano dagli stessi ambienti. Pur avendo condiviso l’idea di fuggire, avevano estrazioni sociali assai diverse. Le loro storie erano diverse.

«Quando ero ragazzo, ricordo mio bisnonno che diceva sempre di essere cresciuto a pane e cipolle. L’ho sempre considerato un modo di dire, ma aveva un suo fondamento. Il bisnonno era operaio, la sua famiglia era una di quelle famiglie contadine che con l’avvento della grande industria vennero convinte a lasciare la terra per andare a lavorare in fabbrica. In fabbrica ci andarono, ma la terra non l’abbandonarono mai del tutto. Continuarono a fare l’orto per tutta la vita, e a sentire i suoi racconti, meno male che lo fecero, altrimenti non so se ce l’avrebbero fatta a sopravvivere!» il racconto di Bruno non era che uno tra i tanti, ma era molto rappresentativo di una memoria che ormai in pianura andava sempre più perdendosi.

«Quando le nuove generazioni perdono la capacità di ascoltare i racconti dei vecchi, la civiltà imbocca presto la strada della barbarie» aveva sentenziato quella volta il vecchio Lapo, uno dei personaggi che i nuovi arrivati stentavano di più a comprendere.

Lapo era cieco. A Limite tutti gli davano una mano e lo aiutavano, chi in un modo, chi in un altro. I nuovi arrivati non seppero mai come erano andate le cose. Da come parlava avevano intuito che non era cieco dalla nascita; i suoi ricordi erano pieni di colori, di descrizioni minute di ogni erba e ogni insetto vivente. Possibile che tanta precisione fosse frutto unicamente del suo spirito e che egli davvero non avesse mai visto le cose che raccontava? Comunque, non seppero mai come Lapo aveva perduto la vista, nè quanto tempo prima ciò fosse accaduto. Quando se ne usciva con una delle sue riflessioni, i Consiglieri più anziani – ma spesso anche i giovani – avevano preso a chiosare: «Lapo è cieco, ma vede le cose meglio di molti di noi!» e la cosa non era poi così distante dal vero…

«Almeno potessimo avere più cipolle!» aveva esternato d’un tratto Bruno, provocando un sorriso gentile e commosso in Nunzio, che vedeva in quella richiesta un ricordo rispettoso e umile di quel che, evidentemente, il bisnonno aveva trasmesso un tempo a quel ragazzo.

«Sì, dobbiamo seminare più cipolle! – avevano fatto coro alcuni degli altri. E così accadde qualcosa di inaspettato. Il bisnonno di Bruno e il suo “pane e cipolle” divennero il manifesto dell’emancipazione dei fuggitivi che, benché consapevoli della dura vita sull’altopiano, volevano prendere in mano il proprio destino e, chissà, forse anche passare alla storia!

Chiunque aveva condiviso un passato come quello di Bruno, fatto di sacrifici e di privazioni, ritenne ora che nel rivendicare quel cibo, povero e dignitoso ad un tempo, si poteva vedere quasi un premio per aver saputo mantenere vivo quel ricordo, per aver applicato quelle lezioni di saggezza popolare di una volta anche al tempo presente, segno evidente che il degrado che aveva colpito la civiltà umana di pianura, li aveva, almeno in parte, risparmiati. Le cipolle acquistavano insomma un deciso sapore politico. Erano il simbolo della vecchia classe operaia, che riveva nei racconti dei figli e dei nipoti, come nel caso di Bruno.

Ma non tutti la pensavano allo stesso modo.

I racconti della vita di pianura a volte assumevano toni diversi. Così, ad esempio, Jacopo l’ingegnere, che proveniva da una di quelle che un tempo si chiamavano “famiglie bene”, di rinomati professionisti, aveva più volte rammentato delle fantastiche tortine che in casa sua erano solite rallegrare i pasti domenicali, che una certa cugina (o era una cognata?) era solita preparare usando le carote. Una sorta di muffin che i ragazzi amavano rubare dalla dispensa di casa al momento della merenda pomeridiana e che mangiavano in quantità imbarazzanti.

«Dovremmo seminare più carote!» fu la inevitabile conclusione che produssero quei racconti, che al contrario dei precedenti, facevano colpo su quelli tra i fuggitivi che avevano condiviso un tempo un’estrazione sociale migliore ed una vita più agiata.

Presto iniziarono i litigi.

«Credevo di aver visto ormai tutto nella mia vita – aveva commentato una volta Lapo, suscitando un certo disagio negli ascoltatori, cui disturbava sempre il sentire un cieco che usava termini riferiti alla vista – Ma questa mi mancava. Adesso abbiamo addirittura il Partito delle Cipolle e il Partito delle Carote!».

In molti risero, non così Nunzio, nè i Consiglieri anziani, che erano abituati a non sottovalutare mai certi segnali. Ma se questi discorsi fatti a tavola o durante le riunioni lasciavano il tempo che trovavano, una volta che si scendeva “in campo” le cose cambiavano.

I nuovi appezzamenti coltivati da quando erano arrivati i fuggitivi potevano sommariamente essere raggruppati in due aree, anche se non sempre si trattava di campi contigui. La prima area, più spostata verso est, che si trovava prospiciente la struttura che era stata risistemata per ospitare buona parte dei nuovi arrivati, e che appunto era occupata tra gli altri anche da Bruno, Duccio e Fiorenza e Ruggero, fu subito presa di mira da quanti si erano lasciati influenzare da racconti simili a quello di Bruno. Un bel giorno di sole, l’inverno era ormai trascorso e già si sentiva nell’aria quel “non so che” che annunciava la buona stagione, di buon mattino i nostri presero il coraggio a due mani (e pure la zappa) e in men che non si dica splendide file seminate a cipolle si mostrarono in tutta la loro magnificenza. È superfluo dire che in questo terreno le carote seminate furono pochissime.

Esattamente il contrario accadde nell’altra porzione, che distava assai e si trovava spostata ad ovest, oltre in torrente in basso, più o meno all’altezza del bosco da cui usciva il sentiero che proveniva dalla pianura. Proprio lì dove i bambini avevano veduto tempo prima comparire il carro dei volontari che erano scesi per raccogliere i rottami di ferro. Qui c’erano praticamente solo carote, e di cipolle neanche l’ombra.

II

Ogni anno a primavera a Limite si ripeteva uno strano rito – o almeno tale appariva ai fuggitivi giunti dalla pianura che non ne comprendevano la natura – e nel quale Lapo ricopriva un ruolo molto particolare. Fu Jacopo uno dei primi a notare cosa stessero facendo, ed a chiedere spiegazioni; non per niente era ingegnere…

Jacopo aveva notato un luogo particolare tra i terreni coltivati. Era ben esposto, il terreno sembrava morbido, ma non c’era traccia alcuna di semina. Eppure la porzione, invero di dimensioni assai modeste, era stata contrassegnata con una sorta di palizzata di legno. Si capiva che era un luogo che ricopriva una qualche importanza, ma che i fuggitivi non erano mai riusciti a decifrare. Soltanto alcuni di loro avevano notato che, durante l’inverno, se le pioggie persistevano a lungo, quella porzione di terreno veniva protetto coprendolo con un telo. Il mistero s’infittiva…

A primavera era stato lo stesso Jacopo a notare alcuni contadini limitesi muniti di vanga intenti a scavare in quel punto. Che non si trattasse di semina fu chiaro fin da subito: lo scavo procedeva in profondità. In poco tempo a detta di Jacopo, che si era ma ntenuto a debita distanza, aveva raggiunto ben più di mezzo metro di profondità. A quel punto gli uomini si fecero più cauti, per un motivo che anche a Jacopo parve chiaro non appena vide cosa stavano dissotterrando. Erano alcune corna bovine, riempite di non so che, che i limitesi prendevano ad annusare come a sincerarsi della qualità di chissà cosa. Ma la cosa davvero curiosa Jacopo doveva ancora vederla. Una delle corna venne portata a Lapo, che sedeva fuori dalla sua abitazione accanto ad una classica botte da vino a cui era stato tolto uno dei due fondi e posizionata in piedi a mo’ di tino accanto ad un albero. Ad un ramo di questo era appeso per mezzo di una fune un robusto palo di legno che si trovava così in posizione verticale, con l’estremità inferiore immersa nell’acqua che riempiva la botte. Una manciata del contenuto delle corna era stata dispersa nell’acqua, ma solamente dopo che Lapo l’ebbe annusata, annuendo con grande soddisfazione. Al che Lapo aveva iniziato a mescolare energicamente, facendo ruotare il palo di legno appeso, prima in un senso e poi nell’altro, ritmicamente.

Dopo più di mezz’ora che andava avanti, Jacopo non resistette e si avvicinò per chiedere spiegazioni.

«Ancora un po’ di pazienza Jacopo, ti prego – gli sorrise Lapo – Lasciami terminare qui. Ne abbiamo ancora per un po’..»

Tra le tante capacità che Lapo aveva saputo sviluppare da cieco, c’era anche una considerevole precisione nel misurare il tempo. Jacopo aveva sempre sentito dire che i ciechi sviluppano naturalmente gli altri sensi, che hanno quindi un olfatto, un udito, un tatto particolarmente sensibili. Ma non avrebbe mai creduto che questo potesse estendersi anche al senso del tempo.

A Limite esistevano alcune meridiane, poiché erano lo strumento di misura più semplice e funzionale che si potesse approntare in quelle condizioni. Alcuni tra gli anziani possedevano ancora vecchi orologi meccanici a carica manuale che, finché funzionavano potevano ben supplire ai loro bisogni. Certo non avrebbero avuto nè le competenze di micromeccanica, nè gli strumenti per ripararli in caso di guasto, ma tant’è. L’uso delle meridiane era considerato più che sufficiente per i loro bisogni. Lapo invece, dal canto suo, aveva sviluppato non si sa come, un innato senso del tempo. Così anche adesso che, come aveva detto a Jacopo, avrebbe dovuto mescolare per circa un’ora, si poteva star certi che sarebbe riuscito a calcolare il tempo in modo sufficientemente preciso. A patto ovviamente che niente e nessuno lo distraesse. Jacopo quindi, ob torto collo, dovette attendere ancora un po’ prima che il vecchio potesse dargli soddisfazione.

Il preparato a cui Lapo stava lavorando sarebbe poi stato nebulizzato sui terreni a inizio stagione. Era costituito da letame bovino, mantenuto sotto terra per sei mesi all’interno delle corna, come Jacopo aveva notato. Un trattamento simile veniva effettuato con un altro preparato costituito da polvere di cristallo di rocca, anche questo mantenuto sotto terra all’interno delle corna per sei mesi, in questo caso durante l’estate. Una volta pronto veniva anch’esso nebulizzato, in questo caso sulla parte aerea delle piante, prima della maturazione dei frutti. Lapo sosteneva che donasse alla pianta sostegno durante il processo di fotosintesi, migliorassel’accrescimento e la corretta maturazione dei frutti, che avrebbero avuto migliore qualità e colore. Inoltre irrobustiva le piante, rafforzandone le difese contro funghi e insetti.

Il preparato di letame invece, sempre secondo quanto diceva Lapo, era utile per rivitalizzare il terreno aumentando la concentrazione di humus, potenziando l’attività microbica. Si aumentava anche la resistenza alla siccità creando insomma le migliori condizioni per lo sviluppo delle piante, soprattutto delle radici.

Jacopo non aveva detto niente, ma in cuor suo nutriva non pochi dubbi su quanto diceva il vecchio.

***

Il giorno della preparazione dei terreni Jacopo era stato uno di quelli che si recarono da Lapo – ovviamente su indicazione dei Custodi – per farsi dare una parte del suo preparato a base di letame diluito. Lapo, che conosceva bene la superficie che era stata destinata alla semina, dette a Jacopo un contenitore di dimensioni adeguate, spiegando come avrebbe dovuto nebulizzare il liquido sul terreno e aggiungendo, con fare sornione: «Usalo nelle quantità che ti ho indicato, ma sii comprensivo, sono cieco. Può darsi che te ne abbia dato troppo, oppure troppo poco. Non ti peritare a chiedermene altro, o a riportare quello in eccesso».

«Certamente Lapo, non dubitate. Farò come mi avete detto» aveva concluso Jacopo.

Maso che si trovava poco distante e aveva sentito lo scambio di battute, non resistette alla tentazione, e non appena Jacopo si fu allontanato si avvicinò in silenzio a Lapo.

«Maso… dimmi!» sorrise il vecchio un istante dopo.

«Davvero dopo tanti anni non ho ancora capito come fai a riconoscermi quando mi avvicino… – Maso sorrise, e Lapo fece altrettanto – E nemmeno come fai a capire quando sorrido!»

A quel punto scoppiarono entrambi in una sonora risata, al termine della quale Maso proseguì: «A che gioco stavi giocando? Con Jacopo intendo… Non credo affatto che la quantità che gli hai dato fosse casuale»

«Il tono della sua voce… quando mi ha chiesto il cornoletame… ho capito che in cuor suo non era convinto. Mi avete detto che in pianura era ingegnere, giusto?»

«Esatto»

«Mah! Non so, è solo un presentimento, ma se ho visto giusto – e Maso di nuovo sorrise – Credo che non lo userà tutto. Vedrai che ne riporterà… tanto così» e fece un gesto con la mano.

«Mmmm… riflettè a voce alta Maso Gli hai dato un recipiente con la quantità esatta per la superficie del nuovo terreno…»

«Continua…»

«E supponi che, da buon ingegnere, dal momento che non comprende il motivo per cui il cornoletame possa aiutare il terreno, faccia qualcosa per “verificare” se davvero il prodotto funziona. E, ovviamente, c’è una sola cosa che si può fare in tal senso. Ovvero, spruzzare il cornoletame solo su una parte di terreno, lasciando l’altra parte non trattata. Quindi, se hai ragione, a Jacopo dovrebbe avanzare qualcosa… ho indovinato?»

Di nuovo sorrisero entrambi.

III

La stagione procedeva, il clima era buono, e i campi coltivati erano rigogliosi. L’atmosfera era positiva, e carica di aspettative, anche se in direzioni opposte.

«Presto avremo un bel po’ di carote, finalmente! – era solito commentare Jacopo con Pier Maria – Basta con queste zuppe. Potremo tornare ad assaggiare le nostre torte di carote!»

«Non vedo l’ora di farne una gran scorpacciata! Ti ricordi il sapore dei dolci che mangiavamo un tempo?»

«Eccome Pier Maria! Devo ammetterlo, giù in pianura non ero molto… controllato per quanto riguarda il cibo»

«Nemmeno io se è per questo! Qui non si sta male, devo essere sincero… ma ogni tanto mi mancano gli stravizi che mi concedevo un tempo»

«Beh, presto almeno qualcuno potrai concedertelo di nuovo!» risero assieme.

Poco distante, altri proferivano parole simili, magnificando al contrario il prossimo raccolto di cipolle. Ma Limite non era una grande città, tutti condividevano tutto, era difficile mantenere un segreto. I campi poi! Erano lì, in bella vista. Certo, i nuovi appezzamenti erano un po’ più defilati, ma non ci volle comunque molto prima che fosse chiaro per tutti ciò che stava accadendo. Così una sera i Consiglieri convocarono i nuovi arrivati per avere spiegazioni. Non fu un dialogo facile. I nostri vennero apostrofati duramente dai Consiglieri e dai Custodi, ma la gravità del loro comportamento “non si sarebbe palesata che poco tempo dopo” così aveva detto Lapo. I nuovi arrivati ovviamente non compresero quella sorta di anatema e, tra di loro, espressero sentimenti che a molti ricordarono il gioco del “dilemma del prigioniero” a cui erano stati sottoposti tempo prima, riguardo al tema delle condutture dell’acqua. Solo Eri iniziava ad intuire qualcosa, anche se non aveva compreso del tutto la situazione.

«Non è una questione ideologica, non fraintendete» aveva detto ad un certo punto Ruggero.

«Non abbiamo nulla contro le carote! A noi piacciono le carote – aveva incalzato Bruno – Ma le cipolle ci piacciono di più! Comunque non vogliamo “imporre” niente a nessuno. La terra non manca qui, giusto? Abbiamo pensato, semplicemente, che sarebbe stato bello seminare più cipolle, tutto qui. So cosa state pensando!»

Gli anziani restarono in silenzio, l’impeto di Bruno anche se non li aveva disturbati almeno li aveva incuriositi. «Altri stanno pensando la stessa cosa riguardo alle carote. È questo che state pensando, no? Benissimo, non c’è alcun problema. Se loro hanno seminato più carote trascurando le cipolle, e noi abbiamo seminato più cipolle trascurando le carote… alla fine avremo sempre le stesse quantità delle une e delle altre! Che problema c’è?»

«Il problema – tuonò Lapo – È che parlate di qualcosa che non conoscete affatto! E questo è già di per sè molto grave, ma lo scoprirete da soli molto presto, non dubitate. Ma… – aggiunse poi in tono lapidario, rivolto a Ruggero – Per quanto inconsapevoli siate, la questione è molto ideologica! Lo è fin troppo, ragazzi miei»

«Io non…» balbettò Ruggero

«Non so cosa si intenda in pianura con la parola “ideologia”, forse la barbarie in cui il mondo sta precipitando comporta anche una degenerazione del linguaggio, o che so io, ma qui… qui diamo ancora alle parole il loro vero senso! Volete dividervi in due… “partiti”, mi disgusta solo il nome, quando è assolutamente inutile farlo, perché lo avete detto voi stessi poco fa, giusto Bruno? Alla fine avrete sempre la stessa quantità sia di cipolle che di carote, o sbaglio? Ecco, allora, ragazzi, questo sì che è ideologico! Non ottenere un bel nulla, ma pretendere ugualmente di portare avanti la propria idea senza confrontarsi con gli altri: cosa c’è di più ideologico?»

Bruno e Ruggero restarono in silenzio.

***

Quando nei giorni seguenti i Custodi presero a fare ripetute visite ai due campi di cipolle e di carote, il loro fare serio, l’espressione grave e – soprattutto – il fatto che non parlassero, iniziò a preoccupare seriamente i due gruppi di amici. Le uniche parole che udirono erano per loro incomprensibili

«Quante ne avete viste? Tante?»

«Ho paura di sì… e la prima generazione è quella più pericolosa»

«Che possiamo fare?»

«Ho paura che ormai il danno sia fatto… proviamo a vedere com’è la situazione sotto terra, ma non credo che avremo buone sorprese».

E infatti le sorprese non furono affatto buone, nè nel campo delle carote, nè in quello delle cipolle. In momenti diversi, con modalità e tipologie diverse, i nostri ebbero presto a constatare che gli ortaggi erano tutti traforati. Larve che i nostri non avevano mai visto sembravano essersi riprodotte nutrendosi dei bulbi e delle radici, rendendo di fatto pressochè immangiabili tanto le une quanto le altre.

«Ma che roba è?» aveva chiesto Pier Maria.

«Il nome scientifico ha poca importanza – aveva sentenziato Nunzio – Tutti la conoscono come mosca della carota. E nel vostro caso invece – aveva aggiunto subito dopo lanciando un’occhiataccia alquanto eloquente a Bruno e Ruggero – Si tratta di mosca della cipolla!»

«Mosca della carota… mosca della cipolla… cos’è una congiura?»

«Dillo tu a me!» sbottò ad un tratto Nunzio. Tutti si voltarono, era forse la prima volta che alzava la voce.

«Forse non vi rendete conto di quello che avete fatto!»

I nostri abbassarono istintivamente lo sguardo, costernati ed increduli ad un tempo. Fu Eri il primo che tornò a guardare in faccia Nunzio e gli altri anziani. «Perdonate – disse non senza difficoltà – Ma… anche nei vostri terren… cioè voglio dire, anche nei terreni che siete soliti coltivare si è presentato lo stesso problema?»

«No figliolo!»

La voce di Lapo era calma, ma di un rigore che non tranquillizzò affatto il giovane. Nemmeno quando il vecchio continuò dicendo: «Forse qualcuno sta iniziando a ragionare con la testa, meglio tardi che mai!».

«Non… non dipenderà dalla posizione, vero? – azzardò di nuovo Eri – Quando avete deciso di destinare i nuovi appezzamenti alla semina non avevate alcun dubbio a riguardo, se ben ricordo»

«Non è la memoria che vi difetta – sentenziò Lapo – Ma l’umiltà! Dimmi Jacopo… – aggiunse poi rivolto all’uomo che ancora stava a capo chino, imbarazzato – Quando hai spruzzato il cornoletame, non hai trattato tutto il terreno, giusto?»

«E voi come lo sapete? – rispose Jacopo allibito – Non potete certo avermi visto… cioè, intendevo… scusatemi…»

«Sono cieco ma non sono mica scemo! So bene quanto prodotto ti ho dato, e so bene quanto terreno dovevi trattare. Quando hai riportato il prodotto avanzato era chiaro come il sole che non avevi trattato tutta la terra. Dimmi solo una cosa: alle carote lo hai dato?»

«Ecco io… in parte. Solo una parte…»

«Quale parte?»

«Quella…» rispose istintivamente Jacopo indicando. La smorfia sul volto di Lapo lo fece sentire ancora più colpevole. Fu Maso ad intervenire tempestivamente.

«La parte più in alto, d’accordo, vediamo in che condizioni sono le carote lì». Ma non ci fu bisogno di altro, Costanza si era già diretta in quella direzione ed ora stava tornando con un paio di carote in mano.

«Non sono così male – aveva detto porgendole agli anziani – Certo non sono del tutto integre, ma forse qualcosa riusciremo a salvare»

«Non capiamo ancora….» insistette Eri.

«È molto semplice Eri – proseguì Lapo, stavolta più sereno – La natura ha le sue leggi, e che tu lo voglia o no, che tu appartenga al… Partito delle carote o a quello delle cipolle (qui Eri notò una sfumatura vagamente sarcastica) devi farci i conti. Questi insetti che vedi sono soliti deporre le uova vicino agli esemplari appena seminati, e come hai compreso, tuo malgrado, anche se sono minuscoli, i danni che producono sono enormi. Ora, sai cosa tiene lontane le mosche delle carote dalle carote?»

A quelle parole Eri scoppiò in lacrime. Guardando gli altri, comprese che essi non avevano ancora capito il triste segreto che la natura stava insegnando loro nel più duro dei suoi insegnamenti.

«Le cipolle?» azzardò infine tra i singhiozzi.

«Esatto ragazzo mio, esatto – si compiacque Lapo – E a questo punto dovrebbe anche essere chiaro a voialtri cosa è che invece tiene lontane le mosche delle cipolle dalle cipolle!»

«Le carote…» la voce di Bruno era poco più di un soffio.

«Per questo le nostre colture non sono state colpite. Seminare insieme carote e cipolle, le une vicine alle altre, è una delle prime regole che abbiamo imparato dai nostri avi. Perché la natura offre sempre le soluzioni ai problemi che crea, basta saperle cercare. E basta non essere troppo ingordi!» e lanciò un’altra occhiataccia a Jacopo.

«Avete messo a repentaglio una buona parte del raccolto – concluse Nunzio – Forse una parte degli ortaggi si salveranno, la parte cresciuta sul terreno correttamente trattato. I prodotti che usiamo…»

«E di cui voi non vi siete fidati…» precisò Lapo.

«Fortificano i nostri ortaggi – proseguì Nunzio – Rendendoli più resistenti all’attacco dei parassiti. Ma certo non possono far miracoli!»

«Ci dispiace…» riuscì malapena a dire Eri, ancora visibilmente scosso.

«Davvero pensavate che una cosa pura e naturale come l’agricoltura potesse tollerare queste… idiozie umane? Non avete avuto abbastanza danni giù in pianura con i partiti? Pensavate davvero che seminare fosse come far politica? Che essere pro-carote o pro-cipolle fosse una questione di preferenze? Quando si ha a che fare con la terra, i semi, le stagioni, le passioni personali è bene lasciarle da parte. Qui possiamo solo imparare la lezione che la natura ci offre. Possiamo impararla con le buone o con le cattive, ma prima o poi dobbiamo comunque impararla. Tenetelo bene a mente d’ora in avanti!»

«Noi… lo faremo»

«Una persona molto saggia, molto tempo fa, prima che iniziasse il degrado che ha divorato la società, ebbe a dire “Spesso l’operazione di prender partito pro o contro qualcosa sostituisce l’operazione del pensiero”. Vi invito a meditare su queste parole. A lungo. Per così tanto tempo gli uomini giù in pianura hanno creduto che l’unico pensiero richiesto loro di fronte ad una questione nuova fosse quello di dichiararsi favorevoli o contrari. Viene scoperta una nuova fonte di energia? Alcuni sono favorevoli e altri contrari. Un nuovo farmaco? Alcuni favorevoli e altri contrari. Scoppia una guerra tra due popoli? O si patteggia per l’uno o si patteggia per l’altro. Tutto si riduce a bianco o nero. Sapete una cosa? La realtà non è mai così semplice, ragazzi miei. Ne abbiamo viste di cose noi anziani in pianura, prima di partire per venire quassù, probabilmente prima che molti di voi nascessero!

Credeteci, è molto pericoloso cedere alla tentazione di prender partito pro o contro qualcosa. Il più delle volte finisce che il motivo del contendere passa presto in secondo piano, e resta solo il contendere: due fazioni, ognuna delle quali si ritiene migliore dell’altra, senza nemmeno più prendersi la briga di mostrare il perché. Si creano etichette, si generalizza, si semplifica, si riduce tutto ad una gara in cui il giudizio sui contenuti viene sostituito dal giudizio personale sull’altro. E l’altro, si sa, è sempre dalla parte del torto! Che idiozia!

C’è solo un insegnante in grado di estirpare queste follie dalla mente degli uomini, un insegnante severo che non ammette allievi scansafatiche: è la natura. E – sapete – è un insegnante molto, molto paziente. Per quanto proviate a far di testa vostra, la natura non mollerà mai. O cedete voi, o cedete voi. Lei non cede.

Ricordo una mia vecchia insegnante, Raffaella mi pare si chiamasse, che aveva elaborato un sistema di coltivare eccezionale. Sfruttando solo le consociazioni e poco altro, riusciva a far produrre il suo orto come non potete immaginare. Ortaggi che consideriamo annuali, che so… le melanzane, nel suo orto erano diventate piante perenni! Ho visto una pianta di melanzana con un tronco grande quanto il mio polso! Ci raccontava sempre che quando i vicini, allibiti, vedevano le loro colture stentare, mentre le sue erano vigorose ed in salute le chiedevano sempre: “Raffaella, ma tu non hai parassiti?” Allora lei ridendo rispondeva: “Certo! Ce li ho tutti!”. Tutti, capite?»

Ma gli altri restarono muti. Al che Lapo proseguì, intristendosi: «No, certo che non capite, e come potreste? Se capiste, non avreste fatto quello che avete fatto! Il problema non è che in un orto ci siano tutti i parassiti, il problema è se ce n’è uno solo! Se ce ne sono tanti, molti saranno antagonisti tra loro. Nessuno di loro potrà svilupparsi più di tanto, perché verrà limitato da qualcos’altro. La natura sa come mantenere il suo equilibrio. Sono le persone come voi che, per ingordigia, distruggono questo equilibrio. Se volete troppe cipolle, o troppe carote, finisce che non avrete nè le une nè le altre! Ecco come stanno le cose!»

Nunzio annuì: «Se gli uomini si fossero curati della politica allo stesso modo in cui i contadini si prendono cura del proprio orto, non saremmo mai arrivati a dover fuggire per venire quassù. Perciò sappiatelo: prima di proporre qualsiasi programma politico per dar vita ad una società migliore, prima di intraprendere qualsiasi progetto sociale, prima di pensare a qualsiasi forma di collaborazione tra persone diverse, bisogna imparare a fare l’orto».

***

Ci vediamo a Limite, tra due mesi, con il prossimo racconto.

Non mancare!