(di Alessandra Magliaro)
(ANSA) Riciclare, ridurre, riutilizzare. Soprattutto ripensare. Alle tre R del movimento ambientalista si fa strada da qualche anno questa quarta R, non meno fondamentale. Ri–Indirizzare il proprio stile di vita, provare a correggerlo in modo critico, distinguere le necessità basiche da quelle superflue. Non significa ‘sacrificarsi’ o ‘rinunciare’ ma cambiare sapendo che la qualità della vita migliorerà invece che peggiorare. Da oltre 10 anni, ma con la crisi economica negli ultimi anni ha avuto una spinta ulteriore, il movimento per la decrescita felice discute e promuove una vita piena al di fuori dello stile di vita consumista, mettendo in discussione l’attuale modello di sviluppo. L’obiettivo è una società equa, partecipata, sostenibile superando un modello che oltre che economico – il consumismo e i derivati del liberismo – è anche culturale e investe la pratica della vita. L’Italia con tante iniziative spontanee, è anche un cantiere di decrescita, in cui la cittadinanza sperimenta continuamente e attivamente un’economia alternativa.
Gli spunti di riflessioni sono vari: le risorse limitate del nostro pianeta dovrebbero indurci a non immaginare una crescita infinita. E il benessere di un Paese, calcolato con il Pil, vale a dire sommando la produzione di merci e servizi, per quanto dato convenzionale, non sembra più essere un indicatore adeguato, visto che non siamo necessariamente più felici se consumiamo più beni o servizi, senza contare che tante azioni di condivisione, gratuità, autoproduzione che cittadini con un consapevole consumo critico sempre più mettono in atto, non sono affatto conteggiate. Spiega Alessandro Pilo nel ‘manuale del giovane eco-attivista La Strategia del Colibrì edito da Sonda, il movimento per la decrescita felice, che si ispira al pensiero di Ivan Illich e Serge Latouche (v.il sito https://decrescitafelice.it/ ), non è ostile alla tecnologia ma è per un’altra tecnologia, sostenibile, durevole, funzionale: una casa ben coibentata, per citare un esempio, ridurrà i consumi energetici.
Si tratta di riequilibrare l’ossessione della produzione con la consapevolezza delle necessità di riproduzione, di rigenerazione, di cura delle persone, delle relazioni, dei contesti, dell’ambiente. L’aumento dell’autoproduzione di beni e servizi (es. pane, yogurt, ortaggi/ riparazione della bicicletta, babysitter) 2.L’aumento degli scambi non mercantili fondati sul dono e la reciprocità 3.La riduzione della mercificazione 4.La riduzione del tempo dedicato al lavoro salariato a favore dell’aumento del tempo dedicato alle relazioni interpersonali, all’autoproduzione e alla coltivazione delle dimensioni dell’esistenza “rimosse” (sociale, politica, culturale, artistica, spirituale, etc.) sono alcuni punti fondanti del movimento che in Italia, con l’attività portata avanti da Maurizio Pallante e dai circoli Mdf sparsi su tutto il territorio, sta diventando popolare. Gli esempi sono molti, le ciclo-officine, i laboratori di riparazione dei computer, anche una libreria recentemente aperta a Torino, e poi la banca del tempo, l’autoproduzione di cibo, i Gas gruppi di acquisto solidali, il compostaggio per il riciclo in casa dei rifiuti, il cohousing, le monete alternative, ma non solo: è in tanti piccoli nuovi gesti che nella nostra cultura si sta facendo largo la convinzione che il consumo non sia la felicità. (Al link : https://docs.google.com/file/d/0Byo8F1MuqMMRbWtfdG4tODBTVC1rTzdyY0hLTEhiMmR4Zzln/edit il Calendario del cambiamento 2014, scaricabile anche dal sito di Transition Italia, nodo italiano del network internazionale Transition
”Raggiungere un benessere materiale sufficiente, avere reti di amici e persone con cui aiutarsi a vicenda e trascorrere del tempo di qualità, partecipare alla vita sociale del proprio quartiere, della propria città o paese, sembrano piuttosto questi alcuni fattori che determinano la felicità”, dice Pilo. Il benessere materiale influisce sulla felicità solo relativamente, superata una certa soglia di agiatezza diventa ininfluente: la soddisfazione garantita dal terzo paio di scarpe non è paragonabile a quella del settimo. C’è anche una rete in Italia, collegata ai circoli, di industriali e professionisti che producono, installano e commercializzano tecnologie in grado di ridurre gli sprechi di energia e l’inquinamento ambientale, e di recuperare le materie prime secondarie contenute negli oggetti dismessi.
Sul sito Happy Planet Index la felicità di un paese è misurata così: l’aspettativa di vita, la percezione soggettiva della felicità e l’impronta ecologica. In pratica la capacità di un paese di trasformare le risorse nazionali in benessere e qualità della vita secondo l’equazione Happy Planet Index = Happy Life Years/ Ecological Footprint. Nell’ultimo rapporto, del 2012, al primo posto c’era il Costa Rica, l’Italia con il resto d’Europa nella parte bassa.
Andare a caccia della felicità: non c’è una ricetta unica ovviamente ma certo che ripensare al legame falsamente sociale di internet, in compagnia del quale passiamo giornate intere, può essere un inizio. Lontani dalla tv e dal pc: sul sito screenfree.org si leggono 101 possibili attività alternative. E’ difficile immaginare di rinunciare alle comodità cui siamo abituati: gli oggetti che accumuliamo, che riempiono le nostre case, svuotano i nostri portafogli, soprattutto ci rendono più felici? Su Adbuster.org (sono gli ideatori di Occupy Wall Street) varie iniziative su cui riflettere, come la Settimana della disintossicazione dal web o la Giornata del non acquisto. Niente di facile, ma vale la pena tentare.
Fonte: Ansa.it