Breve storia della crisi durante il governo guidato dal sagace Mario Monti. Prima parte

da | 14 Ott 2014

Pubblichiamo la prima parte di un corposo intervento di Maurizio Pallante su IlFattoQuotidiano del 14/10/14. Decidiamo di pubblicarlo a puntate per dare modo a tutti coloro che non hanno potuto o voluto acquistare il giornale, di avere una piena informazione e farsi una reale idea della situazione italiana degli ultimi anni su un tema tanto sbandierato, quale il PIL. Fare memoria è spesso cosa molto utile per capire da dove si viene e dove vogliono portarci. Un grazie sentito a Maurizio Pallante per il resoconto degli ultimi TRE Governi sulla questione Prodotto Interno Lordo.

Preghiamo tutti di dare massima diffusione delle notizie che riporteremo.

Breve storia della crisi durante il governo guidato dal sagace Mario Monti, prima nominato senatore a vita e subito dopo incaricato di formare l’esecutivo, dal perspicace Giorgio Napolitano.

 

Il 9 novembre 2012 Mario Monti viene nominato senatore a vita dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il 13 novembre viene incaricato di formare il governo. Il 16 novembre scioglie la riserva ed entra nelle sue funzioni.

Per Berlusconi la crisi non c’era mai stata. Sosteneva la sua tesi con una prova empirica, dicendo che i ristoranti erano sempre pieni. Forse quelli frequentati dal suo entourage lo erano. Comunque per lui valeva più di tutti gli indicatori economici che dimostravano il contrario. Monti manifestò la sua differenza professionale, culturale e di stile sin dai suoi primi atti di governo. Non negò la crisi e per risolverla si propose di risanare il paese, riducendo il debito pubblico e lo spread tra i buoni del tesoro italiani e i bund tedeschi, tagliando gli inaccetabili privilegi accumulati dalle classi subordinate, in particolare le pensioni, riducendo i costi del lavoro che non rendevano competitive le aziende italiane e, poiché i tagli deprimevano la domanda interna, potenziando le esportazioni. Due colpi magistrali in successione e, oplà, la crisi si sarebbe risolta.

Fatti subito i tagli, il 2 aprile 2012 volò verso i mercati dell’estremo oriente. Prima tappa: la Cina, dove a Boao, una sorta di Davos asiatica, davanti a 2.000 delegati, tra cui il vice primo ministro cinese Li Keqiang e il premier pakistano Gilani, disse: «lasciatemi osservare che la crisi dell’Eurozona c’è stata, ma credo sia superata». Lo sosteneva in questa convinzione la sapienza di Pier Carlo Padoan, capo economista Ocse e futuro ministro nel governo Renzi, che il 30 marzo, mentre la sua organizzazione rendeva pubblica una previsione di riduzione del Pil italiano dell’1,6 per cento, la borsa di Milano perdeva il 3,3 per cento e nel solo Veneto gli imprenditori suicidi erano saliti a 30, aveva dichiarato: «Il momento peggiore sembra passato, ma non siamo ancora in una zona di assoluta sicurezza». A confermare la lucidità di queste analisi, il 10 aprile la borsa di Milano avviava un lungo ciclo negativo con un tonfo del 4,98 per cento, cui il 13 aprile se ne aggiungeva un altro del 3,43 per cento. Il 17 aprile veniva reso noto che le vendite di automobili in Europa avevano registrato una flessione del 6,6 per cento rispetto all’anno precedente, ma per la Fiat la flessione era stata del 25,8 per cento. Nel primo trimestre in Italia le imprese erano diminuite di 26.000 unità. Tuttavia, il 21 aprile a Washington il vice ministro dell’economia, Vittorio Grilli, dichiarava: «la fase acuta della crisi è stata superata». Doveva ammettere che nel primo semestre il Pil sarebbe stato negativo, ma aggiungeva: «ci sono segnali di miglioramento che suggeriscono una moderata ripresa a partire dal terzo trimestre». Infatti, il 23 aprile il differenziale tra i nostri buoni del tesoro e quelli tedeschi saliva a 409 punti, la borsa di Milano chiudeva la seduta con una perdita del 3,83 per cento e continuava a perdere più delle altre piazze europee, le vendite di automobili facevano registrare un’ulteriore diminuzione del 18 per cento, che faceva salire al 12,50 per cento il calo complessivo rispetto all’anno precedente. Il numero dei disoccupati saliva a 2.506.000, con un incremento del 2,7 per cento rispetto al mese precedente e del 23,4 per cento (476.000 unità) su base annua, ma l’Ilo, l’Agenzia internazionale delle Nazioni Unite sul lavoro sottolineava che, considerando anche i 250.000 lavoratori in cassa integrazione, il tasso reale sarebbe stato superiore.

Contraddicendo i suoi colleghi economisti, il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, commentava laconicamente i fatti dicendo: «Tutto sta andando come purtroppo si prevedeva». In effetti, a giugno la perdita complessiva della borsa di Milano rispetto all’inizio dell’anno era salita al 17 per cento, il mercato della casa registrava una diminuzione di circa il 20 per cento sull’anno precedente, gli ordinativi dell’industria del 12,3. A fine giugno il Centro studi della Confindustria rivedeva al ribasso le stime del Pil: -2,4 anziché -1,6 per cento nel 2012 (azzeccata); -0,3 anziché + 0,6 nel 2013 (sarebbe arrivato a -1,9). E commentava: «Non siamo in guerra, ma i danni economici fin qui provocati dalla crisi sono equivalenti a quelli di un conflitto e a essere colpite sono state le parti più vitali e preziose del sistema Italia: l’industria manifatturiera e le giovani generazioni».

A luglio la disoccupazione crebbe ancora, coinvolgendo il 36,2 per cento dei giovani italiani tra i 15 e i 24 anni, con un aumento dello 0,9 per cento rispetto al mese precedente. Bankitalia previde una riduzione del Pil del 2 per cento alla fine dell’anno in corso (sarebbe stata di -2,4) e dello 0,2 nel 2013 (sarebbe stata di -1,9). Il mercato dell’automobile registrò a giugno il nono calo consecutivo. In questo contesto, il 31 luglio iniziò dall’Eliseo una tournée europea di Mario Monti accompagnato dal viceministro dell’economia, Vittorio Grilli, e dal ministro delle politiche europee, Enzo Moavero. Intervistato prima di partire, il Presidente del consiglio disse: «Stanno succedendo due cose: la fine del tunnel sta cominciando a illuminarsi e ci stiamo avvicinando alla fine di questo tunnel». Il giorno dopo la borsa di Milano chiuse con un tonfo del 4,64 per cento. Lo spread tra Bpt e Bund tedeschi schizzò da 456 a 510 punti base. Il 7 agosto l’Istat fece sapere che il calo del Pil era stato il peggiore dal 2009: nel secondo trimestre del 2012 era diminuito dello 0,7 per cento rispetto al trimestre precedente e del 2,5 per cento rispetto al secondo trimestre 2011; nel primo semestre dell’1,6 per cento rispetto al secondo semestre del 2011. Il peggior risultato tendenziale dal quarto trimestre del 2009 (-3,5 per cento) e il terzo calo consecutivo dal quarto trimestre del 2011. La produzione industriale era diminuita dell’1,4 per cento rispetto a maggio; nella media del trimestre aprile-giugno dell’1,7 per cento rispetto al trimestre precedente, nella media dei primi sei mesi del 2012 del 7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011.

Incurante di questi fatti non irrilevanti, il presidente del Consiglio, il 19 agosto a Rimini, al meeting di Comunione e liberazione disse: «Un anno fa stavamo peggio ma non ce ne rendevamo conto» e aggiunse che l’uscita dalla crisi «è un momento che per certi versi vedo avvicinarsi». Il giorno dopo il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, confermava: «Sì, la vedo l’uscita dalla crisi». Difatti le borse, dopo aver archiviato la settimana migliore degli ultimi sette anni, con i listini risaliti ai livelli di 13 mesi prima, ripresero con sedute al ribasso. Il tasso di disoccupazione nel secondo trimestre era salito al 10,5 per cento: 2,7 punti percentuali in più su base annua. Il più alto, rilevò l’Istat, dal secondo trimestre del 1999. I dipendenti a termine nello stesso periodo furono 2.455.000, una cifra che non si raggiungeva dal 1993. Di fronte a tanta evidenza, intervistato il 5 settembre da TG Norba 24, Monti disse che la ripresa «non la si vede nei numeri, ma io invito a constatare che, se riflettiamo un attimo, è dentro di noi ed è una cosa che adesso è alla portata del nostro Paese e credo anche che arriverà presto». Anzi, aggiunse: «Siamo ripartiti», rispondendo a una domanda relativa al fatto che il clima di ripresa non si avvertiva. In effetti, come avrebbe potuto avvertirsi, se l’economia continuava a rallentare e la crisi peggiorava? Lo certificava il 10 settembre l’Istat, rivedendo al ribasso il dato sul Pil nel secondo trimestre dell’anno: il calo era stato dello 0,8 per cento rispetto a gennaio-marzo e del 2,6 per cento in relazione allo stesso periodo dell’anno precedente. Il peggiore dal quarto trimestre 2009, quando aveva raggiunto il 3,5 per cento. A pesare era soprattutto il crollo della spesa delle famiglie che nel periodo aprile-giugno aveva registrato una discesa del 3,5 per cento.

L’11 settembre, all’inaugurazione del Salone del Tessile Milano Unica, il presidente del consiglio, ammise: «Il Governo ha contribuito ad aggravare la congiuntura economica già difficile con i suoi provvedimenti, che però serviranno ad un risanamento e ad una crescita duratura. […] Solo uno stolto può pensare che sia possibile incidere su elementi strutturali che pesano da decenni senza provocare nel breve periodo un rallentamento dovuto al calo della domanda. Solo in questo modo si può avere la speranza di avere più in là un risanamento per una crescita duratura». Ribadì questo concetto il 24 settembre, aprendo a Roma la conferenza internazionale dell’Ocse alla presenza del segretario generale Josè Angel Gurria. «Il 2013 sarà un anno in crescita – disse – anche se il motore dell’economia si avvierà lentamente». Poiché la nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza prevedeva nel 2013 una diminuzione del  Pil dello 0,2 per cento, Monti spiegò, ma i giornalisti evidentemente non capirono, che «Si tratta della media annua, ma nelle nostre previsioni l’andamento dell’economia sarà ascendente nel corso del 2013, per questo parliamo di crescita». E il segretario dell’Ocse confermò che «l’azione realizzata in questi mesi produrrà nei prossimi 10 anni un aumento di 4 punti percentuali del Pil». Dato ribadito dallo stesso Monti il 26 settembre nella seduta generale delle Nazioni Unite: «Abbiamo posto le premesse perché il Pil italiano cresca del 4 per cento nei prossimi dieci anni».

In controtendenza con queste previsioni, il 3 novembre la cancelliera tedesca Angela. Merkel dichiarò: «Ci vorranno più di cinque anni per superare l’attuale crisi economica». E il 5 novembre l’Istat divulgò uno studio intitolato Prospettive per l’economia italiana, in cui si legge che il Pil sarebbe sceso del 2,3 per cento nel 2012 e dello 0,5 per cento nel 2014. La sua riduzione, iniziata nel terzo trimestre del 2011 sarebbe proseguita, con intensità sempre più contenute, fino al secondo trimestre del 2013. La durata della crisi in corso avrebbe così superato sia quella del biennio 2008-09 (5 trimestri) sia quella del periodo 1992-93 (6 trimestri). Il tasso di disoccupazione avrebbe raggiunto il 10,6 per cento alla fine dell’anno, mentre nell’anno successivo sarebbe salito all’11,4 per cento. Cosa dedusse da questi dati l’economista Mario Monti promosso per chiara fama alla presidenza del Consiglio? In un incontro organizzato il 20 novembre dalla camera di commercio a Dubai, ribadì quello che era diventato il suo chiodo fisso: «L’Ocse recentemente ha stimato che le riforme messe in campo contribuiranno a una crescita di 4 punti percentuali sul Pil nei prossimi 10 anni». In realtà i giornali del 27 novembre riportavano che l’Ocse aveva rivisto al ribasso le stime di crescita dell’Eurozona, prevedendo un calo del Pil dello 0,4, anziché dello 0,1 per cento, nell’anno in corso (sarebbe stato di -2,4), e dello 01 per cento nel 2013, invece di un aumento dello 0,9 (sarebbe stato di -1,9). Il tanto agognato aumento si sarebbe avuto nel 2014 e sarebbe stato dell’1,3 per cento. Previsione che, naturalmente, non si è verificata. A quattro mesi dalla fine del 2014, le stime attuali indicano un calo di 4 decimi di punto. Destinato a diventare più alto nel consuntivo?

Il 21 dicembre 2012 Monti rassegnò le dimissioni, ma il suo governo rimase in carica per l’ordinaria amministrazione fino al 28 aprile 2013, perché in quell’intervallo di tempo si svolsero le elezioni politiche e le elezioni del presidente della Repubblica, che avrebbero riconfermato nell’incarico Giorgio Napolitano.

Continua…