Il pranzo è un pasto è come tale va mangiato. Fin qui è piuttosto banale, ma il fatto che nella maggior parte dei caso non riusciamo ad associarlo all’energia che nei fatti è può diventare un problema; è già diventato un problema. Ci nutriamo; alle elementari e alle medie ci insegnano che si tratta dell’energia per far funzionare il nostro corpo. Poi però da adulti ce ne dimentichiamo, non associamo più le due cose e accade che non ci comportiamo di conseguenza. Ingurgitiamo cose spesso senza senso, sia a livello energetico, sia a livello salutistico, sia a livello morale. Metaforicamente fa riflettere il fatto di ritrovarsi come uomini occidentali ad ingurgitare più o meno consapevolmente il proprio male. Non credo sia semplice gestire tale questione in un articoletto, dato che comprende problematiche legate a vari campi, tutti sommariamente legati dalle logiche economiche che governano quasi tutto ciò che si muove tra gli uomini sulla terra. Arrossisco però pensando con quanta nonchalance alcuni mangiano in fretta il loro pasto ghignando: “mi verrà un cancro però è tanto buono “. Buono? Gustoso forse. Si perchè sarebbe bello passasse linguisticamente la possibilità di distinguere tra un cibo buono e uno semplicemente gustoso.

Il problema energetico nel cibo come in tutto il resto sta alla base della questione. Viviamo in una società ad alta energia. Ne disponiamo a volontà ed è il motivo per cui ci troviamo nelle condizioni di benavere contemporanee. In questa società che viviamo certamente tra i migliori modi di aiutare ambientalmente il pianeta è ridurre il consumo di certi cibi energeticamente insensati (i 255g di carne al giorno medi che consumano gli USA non sono sostenibili). Vegetariani, vegani, crudisti, fruttariani, tutti sono benvenuti. Al netto dell’impatto produttivo e dei trasporti certamente tutte queste categorie fanno un grosso favore al pianeta, ma… C’è un ma per quanto mi riguarda. Stiamo parlando di una vita in una società ad alto contenuto energetico… E’ in una società a basso contenuto energetico? varrebbero le stesse prescrizioni? Credo sia uno spunto di riflessione da non trascurare. Nella mia esperienza di autosufficienza domestica sono arrivato alla conclusione che alla latitudine in cui vivo e considerando il basso input energetico avrei fatto fatica a prescindere dall’allevamento animale. La Permacultura ci insegna a mettere in sinergia, a gestire le zone in un ottica di complessità, ad organizzare le gilde, a tendere all’autosufficienza del sistema. Forse anche la storia ha qualcosa da insegnare. Per quale motivo le società del passato sprecavano pascoli ed altri prodotti agricoli per alimentare degli animali piuttosto di consumare tali “materie prime” loro stessi? Erano forse miopi? Non credo. Alla latitudine 45°46’48″72 N gli animali sembrano necessari in un ottica di basso input energetico. Farò fatica ad avere verdure per coprire il fabbisogno invernale, ma l’animale è una riserva preziosa in tale periodo, anche se sempre meno rigido.

Certo si tratta di una riflessione controversa, ma credo e spero stimolante…