Gli scontri del 14 dicembre e l’altra Italia

da | 16 Dic 2010

Poteva essere una giornata che avrebbe cambiato la storia di un Paese. Invece quelli che lo avevano sperato sono stati definiti “ingenui”. Il Governo si è salvato per tre voti, e la campagna acquisti ha funzionato per un pelo. Poco prima delle 14.00 di ieri la Camera ha approvato la fiducia al Governo con 314 voti favorevoli e 311 contrari. Nelle strade delle città italiane piene dalla mattina di giovani, lavoratori, immigrati, cittadini esausti, la marcia verso una possibile svolta è diventata protesta accesa. A Roma gli scontri più violenti.

Non succedeva dagli anni ’70 nella capitale, hanno ricordato in molti. Quelle di ieri sono state scene che hanno richiamato alla ormai breve memoria collettiva la violenza vista al G8 di Genova, nell’estate del 2001.

Saranno ricordati come ‘i fatti del 14 dicembre’. Una giornata strana. Strana perché non classificabile tra quelle di torpore politico a cui siamo abituati. Strana perché partecipazione e tensione, rassegnazione e rabbia, risentimento ed esasperazione, speranza e passione, si sono manifestati insieme. Esplosi con i petardi davanti alle vetrine di Via del Corso a Roma.

Nelle strade della penisola ieri è scesa l’altra Italia, non quella della delega e della rappresentanza, non quella dei partiti e dei sindacati, ma quella dei cittadini oscurati dalla videocrazia. Studenti, ricercatori, terremotati, alluvionati, lavoratori precari, immigrati, valsusini No Tav, campani minacciati dall’emergenza rifiuti. È la parte viva di un Paese, quella che dopo sedici anni di berlusconismo, sta pagando sul proprio corpo, sulla propria salute fisica e mentale il prezzo di una crisi che prima ancora di essere economica è una crisi politica e culturale.

Ma ieri Roma bruciava nel vero senso del termine. Pali della segnaletica stradale sradicati dal cemento e conficcati nelle vetrine di lusso, SUV incendiati, camionette della polizia che arretrano, teste insanguinate, ragazze e ragazzi buttati a terra dalle forze dell’ordine, sassaiole, cordoni di resistenza, esplosioni. Questo racconta chi c’era.

La guerriglia dei “Black Bloc” come l’ha definita il giornalismo delle etichette, quasi gli scontri avvenuti fossero il risultato di una strategia precedentemente condivisa e consapevolmente scelta da un insieme di persone come strumento politico. Cosa che non è stata, perché erano in molti a gridare “fermi”, in molti a riconoscere che ricadere nel vandalismo avrebbe tolto efficacia alla protesta, creato disorientamento e dispersione dell’energia comune.

Degli scontri di ieri a Roma, sono stati forniti diversi bilanci. Si parla di feriti tra manifestanti e forze dell’ordine (tra i 90 e i 100) e di arresti (oltre 40). Si parla soprattutto di poliziotti prepotenti che hanno aggredito gruppi di studenti, di un finanziere con la pistola, di piccoli branchi facinorosi di ragazzi disorganizzati che con la birra in mano distruggevano un pezzo di città. Petardi e lacrimogeni. La consegna della città ai violenti.

Quasi nessuno parla degli altri ragazzi e ragazze, quelli che nelle settimane scorse sono saliti sui tetti e sulle torri, e che in questi giorni stanno dormendo nelle aule fredde delle facoltà occupate, che hanno fatto dei cordoni lunghi e forti per sperimentare la tenuta della resistenza dei loro corpi in relazione, fino a formarne uno grande, collettivo, multiforme. Il corpo condiviso che manca ai giovani italiani di oggi e che questi giovani si stanno gradualmente riprendendo. E insieme a loro gli immigrati sulle Gru, i terremotati dell’Aquila, i precari sui tetti delle fabbriche, i cittadini della ‘monnezza’.

Sono tanti, sono forti. Sono quelli che vogliono la raccolta differenziata e non gli inceneritori, i treni e non le autostrade, i diritti e non le grandi opere, il lavoro e non i favori. Non sono ancora abbastanza per la coscienza disfatta degli omini che li rappresentano in un’aula di poltrone rosse messe all’asta. Non abbastanza visibili per quelli che hanno rinunciato alla cittadinanza in nome del consumo, e che accanto alle vetrine spaccate di una Roma addobbata per le feste, hanno continuato a fare acquisti spazientiti dal disordine imprevisto.

La domanda è una sola: quante Italie ci sono in Italia?

Fonte: Il Cambiamento