La “sobrietà sostenibile” non è eresia

da | 18 Dic 2010

Le risorse non sono eterne: l´antidoto alla produzione illimitata è la decrescita sostenibile.

Destra/sinistra: dalla Rivoluzione francese in poi, ma soprattutto nell’800 e ‘900, la schiera delle opzioni politiche si è incardinata attorno a questa polarizzazione. Negli ultimi anni, la cosiddetta fine delle ideologie è poi a sua volta divenuta un’ideologia del «pensiero unico con il prevalere delle logiche puramente amministrative ed economiciste sfumando e riarticolando questa distinzione politica che però continua a rappresentare, magari in forme più attenuate (centrodestra, centrosinistra) un riferimento mediaticamente consueto. Vi è da chiedersi allora se la persistenza, se pur sbiadita, di questa nomenclatura sia dovuta solo ad abitudini giornalistiche o a residui di affezione dell’elettorato più anziano, oppure se si tratti comunque di categorie dotate di un irrinunciabile valore descrittivo. In quest’ultimo caso occorrerebbe chiedersi se vi siano e quali siano, allora, i principi costitutivi dell’una e dell’altra posizione. Tra i pensatori più anticonformisti in merito, esemplare è il caso del francese Alain de Benoist.

Le sue idee sono sempre state radicali, ma in direzioni cangianti. Un pensatore oltre la destra e la sinistra, allora? Più che altro un intellettuale che è – com’egli stesso preferisce dire – sia di destra che di sinistra; ovvero in grado di pensare la contraddizione. Lo abbiamo incontrato nella sua Parigi, confrontandoci sui temi attuali dell’ecologia e della sostenibilità, oggetto del suo recente Demain, la décroissance! Penser l’écologie jusqu’au bout, a partire dall’idea ereticale della post-crescita, che si basa sulla constatazione che lo sviluppo produttivo non può essere illimitato, date risorse naturali limitate.

Ultimamente le sue analisi hanno approfondito i temi della cosiddetta "decrescita", presentata spesso come un’utopia, o peggio come un ritorno al passato. Ma lo scrittore a questa critica risponde con un ragionamento, andando oltre le polemiche. «La teoria della decrescita non solo non promuove un "ritorno al passato", ma neppure ambisce a fermare la storia», spiega. «La constatazione da cui si parte è che le risorse naturali si stanno esaurendo e che non può esservi una crescita materiale infinita in un mondo finito». In altri termini, de Benoist si pone contro la logica del "sempre di più!", contro la dismisura che i greci chiamavano hybris. «In un mondo sempre più impegnato a portare avanti questa deriva, tali proposte possono, ad alcuni, apparire utopiche. Sono tentato di rispondere che l’utopia sta piuttosto nel credere che la fuga in avanti in cui ci siamo imbarcati possa proseguire all’infinito. Gli alberi non possono crescere fino al cielo». De Benoist è anche molto critico le tesi dell’attuale "green economy" che riprendono l’idea ambientalista di "sviluppo sostenibile".

Viene allora da chiedere come la sua idea di ecologismo si colleghi alla decrescita. «L’idea di "sviluppo sostenibile" è sicuramente accattivante, ma corrisponde soprattutto a una posizione mediatica», risponde. « All’origine dei problemi con i quali ci confrontiamo c’è la crescita materiale, con il suo seguito di danni all’ambiente, di distruzione degli ecosistemi, di inquinamento. Conciliare la crescita materiale con il rispetto per l’ambiente equivale a voler credere che il cerchio possa essere quadrato. La teoria dello "sviluppo sostenibile", enunciata al Summit della Terra di Rio nel 1992, porta al "capitalismo verde", ovvero all’ecologia di mercato. L’applicazione del principio "chi inquina, paga", ad esempio, ha creato una specie di mercato dell’inquinamento: le grandi imprese multinazionali, che sono quelle che inquinano di più, possono pagare senza problemi i danni da loro causati. Alla fine la spesa ricade sul costo iniziale, e di conseguenza sul prezzo di vendita. È proprio in virtù dell’applicazione della "teoria dello sviluppo sostenibile" che si favorisce oggi la produzione di automobili che inquinano sempre meno. E questo fa dimenticare la realtà dell’"effetto di rimbalzo": dato che si costruiscono sempre più automobili – anche se il consumo di energia diminuisce per unità – il consumo globale continua ad aumentare, in modo che l’aumento delle quantità prodotte, annulla i vantaggi ecologici: un milione di automobili poco inquinanti lo sono molto di più nella totalità di cento auto molto inquinanti! Il filosofo Michel Serres – continua de Benoist -fornisce una immagine molto esemplificativa dello "sviluppo sostenibile" paragonandolo al capitano di una nave che accorgendosi che sta andando dritto contro uno scoglio, decide di ridurre la velocità invece di cambiare rotta. In questa logica dovrebbe cambiare l’idea di natura». È evidente che per favorire la decrescita occorre auspicare un possibile cambio di paradigma. «Gli antichi pensavano che l’uomo appartenesse alla natura, che si trovasse in un rapporto di co-appartenenza con essa. Al contrario, nella Genesi, l’uomo riceve l’ordine di "dominare la natura". Con Cartesio la natura diventa un semplice oggetto e l’uomo vi si erge a "padrone sovrano". Ed è proprio questo rapporto di dominanza che ci interessa rompere. Il mondo naturale non è una semplice tela di fondo su cui si muovono le nostre esistenze, una sorta di magazzino di risorse naturali, erroneamente considerate inesauribili e gratuite all’infinito: è invece una delle condizioni sistemiche della vita. Distruggere la natura non solo significa l’eliminazione del nostro luogo ma anche di noi stessi, come se fossimo a scadenza. Nella prospettiva di una decrescita sostenibile, è necessario riconoscere il valore intrinseco della natura, un valore autonomo rispetto all’uso che noi ne facciamo.
Nel suo libro de Benoist si sofferma spesso sul concetto di "limite" da opporre alla hybris, la dismisura tipica della civilizzazione industriale. «Ogni cosa ha un limite. Qualsiasi tendenza spinta al suo estremo si trasforma bruscamente nel suo contrario. La logica del profitto, la cui attuazione è accelerata dalla globalizzazione, tende per la sua propria dinamica alla soppressione di tutti i limiti. Il capitalismo si caratterizza per il suo carattere illimitato e del suo tentativo di omogeneizzazione del mondo.

«È quello che il filosofo tedesco esistenzialista Martin Heidegger definì il Gestell. Ora, tra le realtà che possono ostacolare l’espansione planetaria del capitale e la trasformazione della Terra in un immenso mercato omogeneo, ci sono le culture popolari e i modi di vita ben radicati nel territorio. L’unico modo per restituire al mondo la diversità, che costituisce la sua reale ricchezza, è quello di opporre all’espressione chiave vogliamo "sempre di più!" – che caratterizza un principio fondante della modernità – quella di saper dire, secondo una riflessione critica più audace, ma non meno razionale, ne abbiamo "a sufficienza". Quali sono allora le misure che si possono adottare per fermare il treno in corsa e adottare uno stile di vita improntato alla sobrietà? Risponde de Benoist: «Si tratta di applicare tutto questo atteggiamento critico di cui ho appena parlato. Di non adottare un qualsiasi gadget, solo per il fatto che è nuovo. Di rompere con l’ossessione produttivistica, con la conseguente ossessione della merce o l’idea che "di più" è sinonimo di "meglio". Si tratta di riconoscere che l’uomo non vive di solo pane. La logica dell’essere non è quella dell’avere e, ancor meno, la qualità non può essere ridotta a quantità. In modo più ampio, si tratta di "decolonizzare l’immaginario simbolico", come sostiene Serge Latouche, ovvero di non dare più dimora alla convinzione che l’uomo è solo produttore-consumatore, o che l’economia è il fine di ogni cosa. Il valore non può essere sempre abbassato al valore di mercato, o di scambio. I prezzi si negoziano, i valori no. È ora di venir fuori da un mondo in cui niente ha più valore, ma tutto ha un prezzo».

Fonte: Arianna Editrice