La società dei minuti contati

da | 20 Gen 2011

L’uomo e la donna d’oggi non riescono più a uscire dal ciclo lavoro-casa-famiglia. Sono sempre occupati a fare qualcosa per gli altri, e hanno sempre meno possibilità di fare qualcosa per se stessi. Il "me time", il tempo "per me", è in precipitoso declino: tra il 2005 e il 2010 è calato di otto ore e mezza a settimana. Ne rimane poco, pochissimo.

Secondo un sondaggio condotto in Gran Bretagna, un quinto degli adulti che lavorano hanno appena tre ore alla settimana di tempo dedicato a se stessi: per distrarsi, fare sport, leggere un libro, guardare un film, andare dal barbiere o dal parrucchiere, passeggiare, al limite riposarsi, dormire, godere il dolce far niente. Ma anche quelli che ne hanno un po’ di più devono accontentarsi di poco: la media nazionale, nel Regno Unito, è di un’ora e 15 minuti di "me time" al giorno per gli uomini, 50 minuti al giorno per le donne.

Le statistiche così raccolte indicano che gli uomini hanno un po’ più di tempo per se stessi delle donne (25 minuti di più al giorno, per la precisione), perché il carico di faccende domestiche e attenzioni da dare ai figli è più alto sulle madri che lavorano rispetto agli impegni dei padri. Le cifre del sondaggio, commissionato dalla società Windows Live Hotmail, dicono inoltre che le professioni in cui il "me time" è più ridotto sono nel campo delle "risorse umane" (medici, infermieri, assistenti sociali, insegnanti), della ricerca scientifica e dei media.

La colpa, è di un carico lavorativo sempre più alto, in una società sempre più competitiva, dove settimane di 60 ore in ufficio stanno diventando sempre più spesso la norma. Non solo, anche chi lavora un po’ meno in ufficio tende a portarsi il lavoro a casa, perché non ha fatto in tempo a fare tutto quello che doveva fare, perché si sente in colpa, perché è quello che ci si aspetta da lui/lei se è un lavoratore dipendente o che lui/lei ritengono comunque necessario se sono lavoratori autonomi o liberi professionisti.

Un altro aspetto del calo del "me time" sono le tecnologie: con personal computer e telefonini super intelligenti, l’ufficio ci segue dovunque siamo, in treno, al bar, a casa, ed è più difficile per non dire impossibile staccarsene completamente anche quando la giornata di lavoro è terminata o comincia il week-end. "Spegnere il Blackberry, l’iPhone o il computer è diventato praticamente impossibile".

Negli anni ’60, un avviato professionista di 50 o 60 anni, in qualsiasi campo, che fosse un medico, un avvocato, un architetto, un ingegnere o un manager, poteva rallentare l’attività, godersi i frutti di una carriera di successo, dedicarsi finalmente, per l’appunto, a se stesso, per dare sfogo a hobby, sport, passioni che in precedenza aveva dovuto trascurare. Oggi la competizione sul lavoro è diventata tale che nessun cinquantenne o anche sessantenne si azzarda a ridurre la giornata o la settimana lavorativa, per timore di essere sorpassato e surclassato da altri pronti a sostituirlo.

Infine la diminuzione del "me time" è anche conseguenza del vivere sociale; si perde la rete degli aiuti familiari, i nonni, gli zii, pronti a dare una mano per occuparsi dei figli o di altre piccole incombenze. E così la famiglia tipo corre da mattina a sera inoltrata, presa dal lavoro, dai figli, dalle faccende domestiche, da bollette da pagare e lavoro portato a casa. Quando la giostra finalmente si ferma, resta un’oretta al giorno, se va bene, da dedicare a se stessi. Ma a quel punto molti sono troppo stanchi e stressati per fare qualsiasi cosa.