Acqua privatizzata? Nemmeno nel medioevo

da | 19 Mag 2011

Poiché non possiamo, per sfinimento, seguire gli irresponsabili e devastanti attacchi che Silvio Berlusconi lancia ogni giorno contro la Magistratura ("Pm eversori" 6 maggio, "Pm cancro della democrazia" 7 maggio; "I Pm di Milano sono un cancro da estirpare" 8 maggio; "È giusto definire i Pm di Milano un cancro del sistema" 9 maggio; "Il nostro partito chiederà una commissione d’inchiesta per accertare se nella magistratura ci sia un’associazione con fini a delinquere" 10 maggio), ci occuperemo di un’altra questione che riguarda pur essa la democrazia, la libertà, l’uguaglianza.

Fra i referendum che i cittadini andranno a votare il 12 e il 13 giugno c’è quello contro la privatizzazione dell’acqua. Da che mondo è mondo l’acqua è un bene pubblico. A rigor di termini non dovrebbe essere nemmeno un bene, soggetto alle leggi di mercato, perchè, come l’aria, è indispensabile alla vita. È già grave, e indice dei guai in cui ci siamo andati a cacciare, che i cittadini la debbano pagare, è scandaloso che la sua erogazione sia data in appalto a quei pochi detentori di acque minerali che ne diventeranno monopolisti. In contemporanea è in gestazione un decreto Tremonti che dà le spiagge del nostro Paese in concessione ai privati per 90 anni e che, di fatto anche se non forse ancora di diritto (la cosa non è chiara), espropria il cittadino di quei cinque, miserabili metri di battigia che, essendo del demanio, dovrebbero essere a disposizione di tutti.

Nei secoli "bui" del Medioevo l’acqua non si pagava. La si attingeva dai pozzi. Se un contadino non aveva un pozzo sul suo terreno la andava a prendere da quello del vicino senza dovergli pagar nulla. Era una delle tante servitù che gravavano sulla proprietà e sul possesso privati. I diritti di uso dei boschi: il contadino vi prendeva la legna per riscaldamento e costruzione (servitù di legnatico), il diritto di pascolo libero, il diritto di aggregare la propria pecora o la propria vacca al gregge comune guidato dal pastore comunale pagato dalla comunità (e aveva questo diritto anche chi non era in grado di pagarselo), diritto di pesca nei fiumi e nei laghetti altrui (servitù di acquatico), diritto di spigolatura: le spighe sfuggite al mietitore appartenevano ai più poveri, erano "la parte di Dio". Non era un sistema comunista, ma comunitario, basato sul regime dei "campi aperti" (open fields) proprio per permettere l’esercizio di quelle servitù collettive. Per un secolo e mezzo, a partire dal ’500 in Inghilterra le case regnanti dei Tudor e degli Stuart si opposero ai grandi proprietari terrieri che volevano recintare i loro campi (enclosure) perchè capivano benissimo che questo avrebbe rotto lo straordinario ma delicato equilibrio del mondo rurale buttando milioni di contadini alla fame. Col parlamentarismo di Cronwell, preludio della moderna democrazia, venne introdotta l’enclosure: quel Parlamento era pieno di grandi proprietari terrieri oltre che di banchieri. E si preparò quella massa di disperati pronti a farsi carne da macello nelle fabbriche e negli slums così efficacemente descritti da Marx ed Engels. Un contadino autosufficiente, come era stato prima dell’enclosure, padrone del suo lavoro, non avrebbe mai lasciato il proprio campo per andare in quell’inferno.

Era nata la Modernità, il "mondo libero" come noi lo chiamiamo, dove siamo tutti, come scrive Nietzsche, degli "schiavi salariati". E dei sudditi cui fra non molto sarà fatta pagare anche l’aria che respirano.

Fonte: La Voce del Ribelle