Ogni europeo consuma in media 16 tonnellate di risorse all’anno, mentre un indiano si ferma per ora a quota 4. Ma con l’attuale tasso di crescita economica globale, entro il 2050 il consumo di risorse naturali potrebbe esplodere, fino a diventare il triplo di quello attuale: 140 miliardi di tonnellate di minerali, metalli, combustibili fossili e biomasse. Che, ogni anno, verrebbero trasformate in prodotti destinati a non tornare più alla Terra, se non sotto forma di rifiuti o emissioni di CO2. A lanciare l’allarme è il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep) con uno studio, incentrato sugli effetti dell’insostenibile brama di beni naturali che caratterizza quasi tutte le economie mondiali. Tesi: è possibile crescere ancora, ma senza compromettere ulteriormente l’ambiente. Basta “disaccoppiare” il rapporto fra crescita economica e consumo di risorse. Grazie alle nuove tecnologie, i Paesi in via di sviluppo possono ridurre l’impatto della loro crescita.
Lo studio, eseguito dall’International Resource Panel, si concentra proprio sul decoupling, termine utilizzato in campo economico-ambientale per descrivere la capacità di un’economia di crescere senza un corrispondente aumento dell’impatto sulla Terra. Una contraddizione in termini? Forse. Per Unep, però, prosperità economica non significa necessariamente uso smodato di risorse. Secondo questo nuovo studio (Decoupling: natural resource use and environmental impacts from economic growth) è infatti possibile fare di più con meno. Come? Tramite un “disaccoppiamento”, appunto, fra la crescita economica e il consumo di ricchezze naturali, ottimizzando le produzioni grazie all’utilizzo strategico di nuovi strumenti tecnologici. “Serve ripensare alla crescita”, si scrive nel rapporto, spesso unicamente associata ad un mero aumento della crescita del GDP (il nostro PIL).
I 4 casi-studio analizzati nel rapporto dimostrano come oggi la prosperità comporti sempre e comunque un eccessivo uso di risorse: vengono analizzati da un parte due Paesi in via di sviluppo, Cina e Sud Africa, in cui la costante crescita economica corrisponde a un continuo incremento delle risorse utilizzate; dall’altra, due Paesi già fortemente industrializzati, Germania e Giappone, in cui si sono invece fatti i maggiori sforzi di decoupling; ma nei quali, rivela il rapporto, in realtà il “disaccoppiamento” ha comportato semplicemente una “esportazione” della loro impronta ecologica, grazie all’utilizzo di materiali e di pratiche altamente impattanti, provenienti da altre nazioni.
I cittadini dei Paesi più ricchi, ogni anno, consumano mediamente 16 tonnellate pro capite delle risorse naturali maggiormente utilizzate: minerali, metalli, combustibili fossili e biomasse. Una quantità di per sé eccessiva, che in alcuni Paesi arriva addirittura a superare le 40 tonnellate a persona. Oggi, ad esempio, mentre in Canada un cittadino consuma annualmente 25 tonnellate di beni naturali, in India ne consuma 4. Una situazione destinata a cambiare nell’arco dei prossimi decenni, durante i quali i Paesi economicamente più arretrati seguiranno le orme di quelli industrializzati, creando così una situazione che, per l’appunto, diverrà insostenibile.
Il disaccoppiamento è quindi “parte di una transizione verso un’economia verde basata su basse emissioni di carbonio e uso efficiente delle risorse”, afferma Achim Steiner, sottosegretario generale delle Nazioni Unite e direttore esecutivo dell’Unep, per far sì che “l’impronta ecologica dell’umanità non superi i limiti del pianeta”. Serve un’urgente riorganizzazione delle politiche economiche, a partire da un arresto ai livelli attuali del consumo procapite, almeno nei Paesi ricchi. In questo modo, secondo il Programma UN per l’Ambiente, si potrebbero indirizzare anche le nazioni più “povere” a seguire un modello di sviluppo meno impattante sull’ambiente.
Il rapporto indica poi come soluzione l’immediata implementazione di tutte quelle tecnologie che permettano di ridurre l’uso di energia, acqua e minerali. Ma anche lo sviluppo di mercati che dimostrino quanto vantaggiosa sia la transizione verso un’economia dalla ridotta impronta ecologica. “Il disaccoppiamento è una soluzione vincente su tutti i fronti: economico, sociale e ambientale”, continua Steiner: “La gente crede che il danno ambientale sia il prezzo da pagare per i benefici economici. Tuttavia non possiamo continuare a comportarci come se questo compromesso sia inevitabile”.
Fonte: ilfattoquotidiano.it